I regni dell'immagine/5. Indizi di umanità

Vi ricordate? Nello scorso post su Alan Bennettavevamo terminato con due parole: confidenzae occhi. La confidenza, la familiaritàcon cui si può praticare l'arte. Gli occhi che, dotati diprovvidenziale coda, consentono alla mente di essere toccatadalla pittura e dalle visioni che apre. Da qui riprendiamo perparlare di Una visita guidata,iter attraverso le sale della National Gallery incompagnia del più brillante scrittore inglese contemporaneo. Unoche, quando lo leggi, sembra di averlo al fianco a infilareosservazioni intelligenti e che, in più, spesso ti fanno piangere dalridere. Un'occasione non da poco. Ci sarebbe un milione di cose da dire,su questo libro. Diremo il minimo indispensabile, lasciando campo liberoalle parole di Bennett stesso, che meglio di altre spiegano che saperguardare è un'arte che si apprende con disincanto (sì, disincanto,parrà strano, ma è questo il termine giusto: prima di leggereBennett non sapevo quanto potesse essere proficuo non abbandonarsiall'estasi di prammatica davanti ai capolavori), attenzione e sensodell'umorismo. Le tre cose non vanno disgiunte, a mio avviso. InLettere ad Aldo Buzzi. 1945-1999, Saul Steinberg scrive:

Io ammiro sempre di più le qualitàletterarie della gente, cioè la possibilità di raccontare unfatto o fare un'osservazione giusta e vera. La maggior partedella gente trasforma cose successe a loro in cose lette sulgiornale. Chi non sa raccontare fa paura. 

Jan van Eyck, I coniugiArnolfini. National Gallery.

Alan Bennett è unnarratore sopraffino capace di percorrere le sale di uno dei museipiù importanti al mondo con onesta ammirazione e spavalda curiosità,facendo di ogni cosa – custodi, visitatori, pensieri, quadri, ricordi– racconto. Difficilmente si possono leggere scritti più piacevolisull'arte. E non fate l'errore di prendere sottogamba questa piacevolezza,che rivela un autore gentile, direi quasi caritatevole, verso i suoilettori (ho in mente certi tromboni da far tremare i polsi), ma chesolo apparentemente è semplice. Il primo passo che riporto tratta diiconografia e del perché questa disciplina può essere di grande utilitànell'approccio all'arte anche per i non addetti ai lavori, e a mio avvisomolto anche nella didattica dell'arte. 

Per lo sviluppo della storia dell'arte, in questo paese,fu cruciale, negli anni Trenta, l'arrivo di molti storici dell'artein fuga dalla Germania nazista. Molti di loro erano anche espertiiconografi. Berenson invece aveva poco tempo perl'iconografia, essendo molto più interessato all'estetica di un quadroche non al suo significato. Può sembrare un atteggiamento incredibilmentemiope, dato che uno dei pregi dell'iconografia – che consiste neldischiudere i significati di un'immagine – è che ci trattiene più alungo davanti a un dipinto. Come i dossi di rallentamento sulla strada,l'iconografia ci costringe a frenare e quindi a rimanere sul dipinto conuna certa attenzione, e allora, come effetto collaterale (e si tratta diun effetto collaterale in senso stretto perché è qualcosa che avvienea lato e si vede con la coda dell'occhio), la bellezzadel quadro, difficile da affrontare direttamente, comincia a farsi stradain noi. Come dice E. M. Forster: «Solo quello che vedicon la coda dell'occhio ti tocca nel profondo.» Scoprire, insomma,che i dipinti potevano essere decodificati, che erano anche esperienzeintellettuali e non solo estetiche mi confortò parecchio, perchéli inserì in un contesto più familiare e anche più inglese – senon altro perché gran parte dell'iconografia, raccontandoci chi èchi e cosa è cosa, può essere vista come una forma più elevatadel nostro passatempo nazionale: il pettegolezzo.

QuentinMassys, Vecchia grottesca. NationalGallery

Il secondobrano riprende il tema della confidenza. In questo passo mi hacolpito un'espressione usata da Bennett, quella di indizidi umanità, che mi è parsa illuminante. A proposito diquesto tema, ricordo un noto letterato italiano che tuonava indignatocontro il fatto che i ragazzi di oggi (di oggi?) leggessero i romanziidentificandosi con i personaggi, approccio da lui considerato primitivo esuperficiale. Intimidita quanto infastidita, mi chiesi in che altro modoun ragazzo, ma anche un adulto, potesse avvicinare un'opera letteraria,e più in generale d'arte.

Oggi permolti ragazzi capire i quadri della National Gallery dev'essere piùdifficile di trent'anni fa: la conoscenza del cristianesimo è moltopiù lacunosa di allora, per non parlare dei miti classici. Eppure,anche essere informati ha i suoi svantaggi, perché moltiplica leoccasioni di errore. Verso la fine dell'Ottocento, il romanziere Samuel Butler descrisse sul suotaccuino una visita alla National Gallery con sua zia Worsley:
 

Leonardo da Vinci,Caricatura

 «Citrovammo davanti al dipinto di van Eyck che rappresenta Giovanni Arnolfini con la moglie. Miazia scambiò il quadro per un'Annunciazione ed esclamò: “Ma cheidea bizzarra... mettere il cappello allo Spirito Santo!”»
In realtà  qualsiasi reazione davanti a un quadro èmeglio che niente. Di fronte alla
Vecchia grottescaattribuita a Quintin Massys, una signora chedica: «Hmm... sembra una po' la nostra vicina» potrà sembrareche non abbia capito nulla, ignora che nel passato del dipintoc'è un disegno di Leonardo, e nel suo futuro la duchessabrutta di Alice nel paese delle meraviglieillustrata da Tenniel. Ma se è la vicina a mantenervivo il ricordo del quadro, va benissimo lo stesso.

Duchessabrutta, John Tenniel

Ilritratto di Alexander Mornauer è arrivato nella collezionesolo nel 1991, ma vent'anni prima un ragazzino avrebbepotuto stupirsi della sua somiglianza con Raymond Burr– il Perry Mason della serie TV. Ovviamentequesto non è il tipo di osservazione che si sarebbe potutafare ai Tatti o, immagino, in presenza disir John Pope-Hennessy, ma nonimporta. Bisogna pur cominciare da qualche parte, e qualsiasicosa ti attiri in un quadro è meglio di niente. Ed ècertamente più utile che sentirsi dire: «Guarda. È uncapolavoro».

Alexander Mornauer, Portrait, NationalGallery.



A volte,leggendo un libro – un romanzo, ad esempio –, ci imbattiamo inun pensiero o in un sentimento che abbiamo provato anche noi: perònon ne avevamo mai parlato con nessuno, credendo che si trattasse diun fatto del tutto personale. Poi lo ritroviamo lì, nero su bianco,ed è come se l'autore ci avesse teso la mano.
Ho messouna riflessione simile in bocca a Hector, il preside eccentrico di
The History Boys; macose del genere, che potremmo chiamare indizi di umanità, sitrovano anche nei quadri. L'esempio più notevole è in una delleopere più celebri della National Gallery, ovvero Il battesimo di Cristo diPiero della Francesca – ed è l'uomo chesi toglie la camicia. 


RaymondBurr

C'èqualcosa di misteriosamente rasserenante nel fatto che cinquecento annifa ci si togliesse la camicia proprio come facciamo noi oggi, e questoelemento di naturalismo è ancora più vivido per il contrasto con lefigure ieratiche del Cristo e del Battista in primo piano, che sono, cometutte le figure di Piero della Francesca, austere e per niente sorridenti,pochissimo adatte alla pubblicità di un dentifricio.

Piero dellaFrancesca, Il battesimo di Cristo. NationalGallery, London.