Il pensare ai bambini

[di Valentina Pellizzoni]

Howard Gardner è molto conosciuto per la sua teoria delle intelligenze multiple, che ha rivoluzionato l'approccio pedagogico e che si basa sull'assunto che esistano diverse intelligenze che fanno capo a diverse aree del cervello e che queste conoscenze possano andare perse nel tempo, così come alcune di esse possano dominare all'interno di una persona.

Nei suoi studi successivi Gardner è andato oltre, cercando di approfondire molti temi educativi. In questi giorni di segregazione in casa con i miei tre figli, impegnati in tre ordini di scuola diversi con le lezioni online, mi è tornato alla mente il suo testo Sapere per comprendere. Discipline di studio e disciplina della mente, edito da Feltrinelli.

Penso che questo testo possa essere d'aiuto per rispondere alla domanda che molti adulti e molti ragazzi si stanno facendo, ossia: «Cosa mi aspetto dalla scuola oggi?».

Intanto Gardner inizia il libro con una frase semplice e mastodontica allo stesso tempo: «l'educazione non è un processo esclusivamente scolastico». Per quanto possa apparire lapalissiano, pare che spesso noi genitori ce ne dimentichiamo e non a caso Gardner lo scrive in apertura del capitolo sui suoi princìpi di riferimento. Poi continua chiedendosi in che modo i contenuti debbano essere presentati e trasmessi all'altro e scrive: «Sarò molto preciso. Secondo me, l'educazione deve ruotare attorno a tre componenti estremamente importanti […]: c'è la sfera della verità, nella quale rientrano anche i corrispettivi negativi del falso e dell'indeterminabile; quella della bellezza e della sua assenza dalle esperienze e dagli oggetti brutti o kitsch; e c'è la sfera della morale, ossia di ciò che consideriamo bene e di ciò che consideriamo male». Verità, bellezza e morale che poi Gardner trasla in vero, bello e bene. Già grazie a queste affermazioni potremmo riflettere su quale occasione possa avere oggi la scuola per far riflettere i propri ragazzi su questi tre aspetti fondamentali per la trasmissione della conoscenza e forse anche per la qualità della loro stessa vita.

Questa pandemia che blocca le vite di tutti ci dà la possibilità di ripensare a come stiamo vivendo e questa riflessione tocca adulti e bambini. La valanga di informazioni ci frana addosso e noi fatichiamo a trovare appigli tra le innumerevoli notizie false, ma soprattutto non abbiamo parole di fronte all'indeterminabile. Questa è una situazione in cui l'indeterminabile regna, non sappiamo dare risposte esatte, perché non ce ne sono sempre e la mancanza di allenamento, rispetto alla possibilità di ignoto a cui tutti siamo siamo soggetti, getta nel panico le persone. Potremmo un domani cominciare a ripensare all'ignoto come categoria valida e non per forza perturbante? Oppure possiamo pensare di lasciarci perturbare almeno un po'? Potrebbe l'ignoto essere insegnato a scuola? Forse oggi sì.

Come esempio di bellezza Gardner cita Le nozze di Figaro di Mozart: «la bellezza è premio a se stessa», dice. Anche questo ci sembra un buon piano d'azione per pensare alle video-lezioni. Poter affidarsi alla musica, all'arte pittorica, agli albi illustrati di qualità o a tutto l'insieme di gesti affettivi familiari sui quali si riflette così poco e che premiano solo se stessi: imparare a separare albume e uovo, leggere insieme a un adulto, ricamare, fare cose belle, senza altro scopo nobile se non il farle per la bellezza di farle. Sulla morale in questi giorni abbiamo davvero molto esempi, sull'idea di bene e di male, ma io vorrei riflettere un attimo cercando di mettermi nei panni di questi alunni immersi nelle lezioni online. Sono indubbiamente giorni difficili, siamo impauriti per la nostra salute e allo stesso tempo e con lo stesso peso, per la salute dei nostri cari; siamo impauriti per il lavoro, per la ripresa della normale vita che in alcuni giorni pare una chimera irraggiungibile. Siamo preoccupati: chi lavora da casa fatica a concentrarsi e rende molto meno, tutti hanno cose importanti da fare e la possibilità di forti tensioni tra le mura domestiche è altissima. Non penso che bambini e ragazzi siano meno preoccupati di noi, non penso riescano a concentrarsi con molta facilità, penso che sia difficile per loro stare davanti a un pc o a un tablet se sono fortunati, o a un cellulare se lo sono meno, per due o tre ore al giorno. Fanno fatica, come noi. Un mese è passato dalla chiusura delle scuole in Lombardia, quasi due settimane dalla chiusura di molte attività: è stato uno shock, possiamo dirlo? Possiamo dirlo anche per i bambini? O deve valere solo per noi?

Il pensare ai bambini non mi pare si possa riassumere solo nella questione se farli uscire o meno per un'ora: quello pertiene alla sfera della salute pubblica, per la quale mi pare giusto delegare la risposta a chi ne sa di più. Il pensiero al bambino deve però almeno riconoscere che anche lui sta attraversando un momento difficile, delicato e potenzialmente traumatico, al pari di me adulto. In questo la scuola può aiutare, può riconoscere la difficoltà e cercare di non pretendere con atteggiamenti ansiosi ora, oggi, di portare avanti programmi o dare voti. Stiamo vivendo un momento di eccezionale singolarità, al programma penseremo a settembre, se non si farà tutto non succederà nulla, perché l'obiettivo (e mi riferisco quanto meno alla scuola dell'obbligo) non è la nozione ma è la comprensione: «si dà comprensione di un concetto, di un'abilità, di una teoria o di un campo del sapere, quando l'individuo è in grado di applicare opportunatamente tale comprensione in una situazione nuova», scrive Gardner.

Questa è una situazione nuova, così nuova che sfonda la quarta parete e la casa, la cameretta dei piccoli alunni, diventa la scuola, non più luogo asettico e decontestualizzato (vi siete mai chiesti perché tutte le aule di tutti i paesi del mondo sono così simili? La scuola è uno dei pochi luoghi pubblici sempre uguale a se stessa). Con questa entrata in scena prepotente l'istituzione scolastica deve tener conto delle fragilità, delle difficoltà degli alunni magari con dei famigliari malati o senza mezzi elettronici adeguati, del pensiero impaurito di fronte a un'eventuale loro lacuna scolastica, insomma della loro legittima paura, come legittima è la nostra paura adulta.

Chiosa Gardner verso la fine del libro: «Scopo dello studio disciplinare nelle istituzioni scolastiche pre-universitarie non è creare scienziati, storici o esteti in miniatura, ma far sì che i giovani adottino un punto di vista intellettuale sulle cose e sperimentino il potere analitico dei vari modi di affrontare il mondo».

Adesso, senza il voto a fare da scudo, possiamo chiedere alla scuola di osare un po' di più?