Minicommedie per leggere scrivere e recitare
[di Anna Lucia Cagnazzi]
La copertina e la quarta di copertina di Il sole col cappello. Minicommedie per scrivere leggere e recitare, di Maria Luisa De Rita Bari (Armando Armando Edizioni, 1975).
Quando si fa il teatro, le luci si affievoliscono, i rumori si spengono e i suoni si fanno più percettibili, anche quelli più piccoli, anche quelli più lontani. Tutto si ferma, anche l'incredulità: si può finalmente sospendere l'idea che il mondo sia così e possa essere solo così. Per questo motivo, il teatro è connaturato all’esistenza stessa del bambino, all’infanzia che normalmente abita l’idea di vestire i panni di altri, di dare il potere a una cannuccia di farsi bacchetta magica, di trasformare un pezzo di stoffa logora in mantello pregiato, una cesta di scarti di carta colorata in merce esotica.
L’immaginazione è una pratica di sopravvivenza e in questo spazio di fantasia e creazione sta il destino dell’uomo. Il valore del teatro, dell’inventiva, della finzione, della poesia, erano cose care a Maria Luisa Bari, autrice e donna sconosciuta ai più, lavoratrice instancabile e rigorosa di cui rimangono tracce nascoste e, a oggi, perlopiù custodite dalla famiglia.
Questa storia comincia nel castello di Sermoneta, vicino a Latina, nei primi anni Cinquanta. Anche se in ogni cosa, in quel giro d’anni, si percepiva un senso di rinascita collettiva, erano passati, in fondo, pochi anni dalla fine della guerra. Vi era, cioè, quella condizione di azzeramento che poteva dare avvio a una creazione nuova. In quel momento, tra le tante cose che accadevano, un gruppo di giovani prendeva il treno dalle città più o meno vicine a Sermoneta per raggiungere le sale che ospitavano le prime riunioni del MCC (Movimento di Collaborazione Civica). Il Corso di educazione civica era tenuto da Cecrope Barilli – nipote dell’omonimo pittore parmense –, educatore e figura rilevante per un ramo della storia socio-pedagogica.
In queste fila di ragazzi carichi di nuove visioni e nuove volontà, c’era Maria Luisa Bari, e c’era Giuseppe De Rita, che poi sarebbe divenuto compagno di tutta la vita, padre dei loro otto figli.
Poco dopo gli incontri al castello di Sermoneta, Maria Luisa cominciò a occuparsi di scrittura producendo un centinaio di copioni per la trasmissione RAI, Giocagiò, giungendo a scrivere anche sei puntate a settimana mentre i bambini cominciavano ad abitare e animare anche la sua vita privata. Giocagiò era un programma televisivo dedicato all’infanzia che mostrava attività da poter condurre in casa con i piccoli, presentando e mettendo in scena giochi attivi e dinamici.
Un ritratto di Maria Luisa Bari.
Un frame dalla sigla di Giocagiò.
Erano ormai giunti gli anni Sessanta e sui bambini, sulla loro crescita, sulla società che sarebbe venuta, si metteva grande cura e attenzione. Maria Luisa Bari era immersa in quel dibattito, come nelle pratiche preziose e articolatissime che lo animavano. Questa esperienza fu anticipata da una simile che, pochi anni prima, la interessò come autrice di un programma radiofonico che si chiamava Radio Circolo in Circolo: uno spazio che aveva sempre l’obiettivo di rivolgersi a un pubblico molto giovane, direttamente coinvolto nel programma.
Maria Luisa Bari aveva la caratteristica della precisione del linguaggio, dei particolari dei dialoghi. Concepiva, cioè, la scrittura come fatto educativo già nelle parole, oltre che negli atteggiamenti. Parliamo, in fondo, di una figura autoriale legata all’ultima generazione di scritture per trasmissioni costruite su copione: per lei questo si traduceva anche nell’esattezza del messaggio educativo che indirizzava ai suoi piccoli uditori.
L’eleganza di questo fare, la pedagogia fatta attraverso i copioni, la narrazione stessa vista come spartito, si tradusse, negli anni a seguire, in produzioni editoriali di grande raffinatezza ed efficacia. Negli anni Settanta, in effetti, la Bari inaugurò, insieme ad altre tre amiche, La vallicella, ovvero la prima libreria di Roma dedicata all’infanzia. Fu proprio in questo periodo che iniziò, contestualmente, a mettere le mani nella pasta editoriale vera e propria. Iniziò, a progettare libri: li pensava, li scriveva, talvolta si occupava anche del corredo visivo con illustrazioni e collage in collaborazione con Armando Armando Edizioni, piccolo editore romano di grande spessore.
Ricevuto fortuitamente, Il sole col cappello. Minicommedie per leggere scrivere e recitare, (1975), illustrato da Gabriella Gozzano, mi è parso subito un gioiello per vari aspetti. Intanto perché è una guida drammaturgica per piccoli, ovvero un libro che ha lo scopo esatto di accogliere il bisogno narrativo e interpretativo dell’infanzia a cui si dà, nel progetto editoriale, dignità centrale. I piccoli autori vengono guidati a mettere in scena storie, a mettersi in gioco, interpretando personaggi nati dalla loro fantasia, creando relazioni, individuando travestimenti simbolici o reali, illustrando, quasi, uno storyboard delle scene.
Il secondo motivo sta nella veste grafica che si dichiara subito nella forte espressività degli anni Settanta, nell’uso pulito di linee e colori, nella scelta di mettere, anche in questo, al centro di tutto, il gioco comunicativo e visivo dei bambini.
Il terzo motivo sta nella struttura stessa del libro, diviso idealmente in due parti: una prima parte con testi teatrali semplici da mostrare ai più piccoli, e una seconda parte, più libera, che presenta solo griglie, idee, spazi vuoti da riempire secondo uno schema proposto.
Pur essendo, il teatro, uno dei fulcri del pensiero pedagogico novecentesco – come laboratorio e strumento di lavoro sull’espressività, sul linguaggio, sulle relazioni e sulla socialità – , l’editoria appare tutt’oggi piuttosto manchevole da questo punto di vista. E invece Maria Luisa Bari ha portato la propria esperienza professionale, culturale, creativa e umana a servizio dell’infanzia con ogni strumento, giungendo a produrre un libro di cui ancora si sente la mancanza e approdando, infine, alla scrittura poetica.
Sfogliando Il sole col cappello – guida laboratoriale che ha il sapore del passato, ma anche della modernità – si percepisce quel lieto vivere d’infanzia in cui la fantasia può prendere strade impensabili, in cui tutto può diventare vero; lì, in quello spazio, non c’è nulla che possa rompere la quiete del pensiero, il lavoro dello spirito, il gioco serissimo.
Ho avuto la fortuna di ricevere diverse copie di questo libro e ho avuto cura di distribuirle tra i miei alunni o in alcune biblioteche scolastiche, dando forma al desiderio della famiglia di fare in modo che la dedizione di Maria Luisa Bari continui a operare, insieme alla visione di quel mondo delicato che l’autrice aveva e a cui sapeva dare voce, lavorando con i più piccoli, sporcandosi le mani con loro ed eleggendo l’infanzia a stato sociale in cui riconoscersi.
Ora siamo pronti: si spengano le luci, si faccia silenzio. Il sipario si scosta e la scena si apre.
Al castello del Sole arriva un mercante.
Ha con sé un carro pieno di merce da vendere.
Bussa al portone, ma nessuno risponde.
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