Oggi 11 settembre, inauguriamo la riapertura del blog, presentandovi la prima novità della stagione: La cosa nera, della giapponese Kiyo Tanaka.
[di Giovanna Zoboli]
La prima volta che ho letto il nome di Kiyo Tanaka, autrice e illustratrice di La cosa nera, è stato in caratteri giapponesi. Qualcuno su Facebook aveva segnalato il libro, mi pare Loredana Baldinucci con cui da tempo, anche se ci si vede poco, c’è un legame fatto di libri, storie, immagini. In quelle poche figure a disposizione sullo schermo qualcosa mi incuriosì, così chiedemmo all’editore giapponese di inviarci il pdf del libro.
La cosa nera è un libro sobrio: illustrazioni in bianco e nero; segno essenziale; storia minima. Nonostante questo, mi conquistò più di tanti libri sontuosi, vistosi, d’impatto. Kiyo Tanaka ha un’illustrazione che si potrebbe definire semplice e tradizionale, ma se andate sulla sua pagina Instagram dove potete avere un saggio del suo lavoro, e di come costruisce le immagini, vi renderete conto della sua raffinatezza. Le sue incisioni sono eleganti, studiate nei dettagli, la composizione dell’immagine, funzionale al racconto, è pensata con dissimulata, ma estrema sapienza e ha particolari squisiti, mai accessori, finalizzati a definire con precisione gli spazi e i momenti in cui si articola la sequenza narrativa.
Kiyo Tanaka in queste pagine permette al lettore di accedere con naturalezza all'universo infantile. Quello che vediamo è ciò che vede e vive la protagonista, una bambina di cui seguiamo lo sguardo e il pensiero, pagina dopo pagina. L’apparizione della piccola cosa nera che un giorno si manifesta lungo la strada percorsa dalla bambina, forse per andare a scuola, è un’epifania sospesa fra quotidianità e straordinario, realtà e fantasia. La bambina ne è incuriosita, non sorpresa: la cosa nera fa parte, infatti, di una dimensione che appartiene a ogni infanzia, e che ogni bambino sperimenta: l’incontro con un essere sconosciuto e a lui unicamente destinato, capace di condurlo in un altrove parallelo assai prossimo. Un mentore, insomma, un compagno segreto.
Nel paesaggio domestico, quotidiano di una cittadina come tante, all’improvviso si apre il grande occhio curioso della cosa nera che vede la bambina e da essa è guardato. È un riconoscimento reciproco grazie al quale la storia ha inizio. La cosa nera appare solo alla protagonista, il lettore si accorge, infatti, che gli adulti e gli altri bambini presenti del libro non sono in grado di percepirla. A un certo punto la vediamo apparire in un micromondo vegetale: un’esposizione di bonsai. Seduta fra alberi secolari in miniatura, la cosa nera dichiara la propria appartenenza a una sfera dove le misure sono sovvertite – nel presente, suggerisce, convive un tempo diverso abitato da presenze antiche e misteriose - e invita la bambina a entrarvi. Lo fa in silenzio, con gesti misurati e gentili.
La casa della cosa nera, dove si entra da una breccia nascosta, è circondata da un giardino rigoglioso e curato. Vi è ordine e spazio, e vi sono oggetti interessanti, come un tavolino basso, con tutto l’occorrente per disegnare, sormontato da un telo su cui sono appesi piccoli quadretti. Finito di prendere il tè, la cosa nera e la bambina entrano in un armadio, e da qui, attraverso una sorta di abbaino, in un vasto territorio buio attraversato da rami e radici, dove si accendono piccole luci, dove camminano e volano luminose presenze animali, e dove ci si può abbandonare a corse e a giochi. Per non guastare la sorpresa al lettore, non anticiperò il finale della storia, sorprendente e, insieme, delicato come il suo inizio.
Osservando gli studi a matita e a penna eseguiti per questo libro incantevole si scopre la passione dell’autrice per piante e oggetti che rimandano alla cultura di appartenenza, la vocazione per una bellezza sobria, dimensione che ha che fare con gli haiku, una delle più note espressioni letterarie del Giappone, perfetti microracconti di un istante carichi di lieve, nostalgica grazia.
Anni fa, mi occupai per un periodo di quel paradigma estetico giapponese denominato wabi-sabi, espressione che maldestramente può essere tradotta con bellezza imperfetta. Secondo la filosofia wabi sabi, vera e propria arte del sentire, la bellezza è un evento silenzioso che si rivela in modo inatteso. La visione wabi-sabi ingenera nell'osservatore un cambiamento di prospettiva capace di portare a un mutamento interiore, ad avvicinare e cogliere i dettagli della realtà circostante in tutte le sfumature più squisite ed evocative. Questa piccola storia me lo ha ricordato. Richiamano la dimensione wabi-sabi la sua semplicità un po’ rustica, la freschezza, la modestia, il silenzio, l’eleganza non ostentata delle illustrazioni, ma anche degli interni e degli esterni rappresentati, della natura.
L’incontro fra la cosa nera e la bambina racconta della capacità di vedere la dimensione quotidiana, oltre l’apparente banalità, l’essenza profonda delle cose, cogliendone la dimensione invisibile. Personalmente mi ha colpito in modo particolare l’interesse e l’attenzione con cui Kiyo Tamaka ritrae le piante, specialmente quelle spontanee che crescono a bordo strada, fra le fessure dei marciapiedi e dell’asfalto, veri e propri micro giardini, mondi selvatici compiuti che testimoniano con esattezza un pensiero ecologico, quello che da tempo botanici ed ecologi ci dicono: che ogni singola erba o pianta, anche quelle più trascurate e neglette che crescono nei territori urbani meno accoglienti, è importante per il nostro futuro.