ovvero Face(death)wall
[di Giorgia Atzeni]
Nonostante non sia più una prof precaria per scelta - bensì a tempo indeterminato alle superiori - continuo a pormi domande e a rincorrere risposte, ovvero a escogitare metodi per coinvolgere e mai annoiare gli studenti e le studentesse con dissertazioni d’ambito storico-artistico e letterario. Gli alunni più crescono, ahi noi, meno sembrano essere curiosi e attenti. Se poi sei un giovane che sceglie il Tecnico o il Professionale la speranza è che la letto-scrittura sia pratica marginale perché “a noi piace fare le cose e sporcarci le mani, ma non d’inchiostro”. Oggi, in controtendenza, dirò di adolescenti appassionati di cinema, collezionisti di fumetti, lettori forti, abili caricaturisti, batteristi e pure giornalisti in erba dell’Istituto Tecnico Industriale Dionigi Scano. Perché le nuove generazioni nascondono passioni. Se gli parli dei tuoi interessi musicali o cinematografici, se gli dici iodisegno, anche loro ti confesseranno di farlo, nel tempo libero. Oltre le formule matematiche e i circuiti elettronici, insomma, c’è molto di più.
Vi dirò in particolare dei numerosi illustri personaggi imagine praesenti nelle classi del triennio, indirizzo Trasporti e Logistica, in cui insegno. Letterati, filosofi, regine e imperatori, pittori e pittrici, generali e dittatori, icone del nostro passato, compaiono piano piano, come per magia, sui muri bianchi delle nostre spaziose e nude aule.
Devo per forza descrivervi la mia nuova scuola. L’edificio è immenso, ha i corridoi più lunghi del mondo e il mio famoso trolley pieno di sorprese scorre rumorosamente sul pavimento Bolflex in PVC nero.
“Mì, la Atzeni!”
Qui gli anditi sembrano piste d’atterraggio, ma anche di decollo quando finalmente sei maturo, com’è giusto che sia in un istituto dove sei avviato alla tecnica delle costruzioni aeronautiche. I lunghissimi camminatoi, ampie corsie con le pareti dipinte di bianco, giallo e azzurro, sembrano uscite da un film di Samuel Fuller.
Il corridoio di scuola.
Un fotogramma da Shock Corridor di Samuel Fuller.
A seconda della sezione e dell’indirizzo di studi, Meccanica/Informatica/Logistica, sulla parete cambia il colore, ma non la sostanza. I muri hanno qualcosa in comune fra loro: uniscono e separano, silenziosi come pagine intonse.
Non espongono messaggi per i passanti. I tramezzi son lì, zitti zitti. Aniconici. Manca quel dettaglio, quel punto di riferimento, che so un adesivo o un avviso per orientarsi più agevolmente nell’andirivieni da un ambiente a un altro. Per non perdersi ci vorrebbero i sassolini bianchi o le molliche di Bucchettino. Niente. Sentieri muti. Ciò mi è apparso, da subito, molto strano e un poco inquietante.
Solo un cartello mi colpisce. VIETATO SPUTARE. Sarà la mia bussola. “Per andare dove devi andare”, ecco, “ora gira a destra”.
Se frequenti la primaria o anche la secondaria di primo grado, varcata la soglia di un’aula qualsiasi ti assale l’horror vacui. Un chiasso tremendo. L’occhio è iper stimolato: planisferi, poster, abbecedari, disegni. Il muro non c’è più, è fagocitato dai contenuti esposti in formato maxi come in un libro aperto. L’aula trasuda contenuti da sindrome di Stendhal. C’è grammatica vicino a matematica, geografia vicino a scienze, tutto condensato e affastellato sul muro intorno alla LIM. La lavagna delle lavagne, quella che ti apre al mondo e ti fa uscire virtualmente dall’aula.
Alle superiori, invece, le pareti spesso sono vuote, nessuno sembra voglia riempirle. Io i muri a un certo punto li abbatterei, sia chiaro, come Pink in The Wall. Ma dal momento che esistono perché non attribuire loro una funzione didattica, espressiva, comunicativa? Mi viene subito in mente Wordwall*. Conoscete questa applicazione? Deve avere qualche attinenza con l’idea che le parole possono abbattere i muri dell’ignoranza. Si impara con le parole e si impara con le figure. Allora mi sono detta, squillinoletrombe, perché non usare le pareti a scopo didattico? Come fanno questi ragazzi a fissare i fatti senza fissare gli occhi delle figure centrali del passato? Sarebbe bello ospitarli.
Così ho iniziato a portare in classe i ritratti dei personaggi storici di cui parliamo. Fotografie, dalla seconda metà dell’Ottocento, dipinti e incisioni se siamo ancora nell’età moderna. Una volta ogni due settimane, procedendo con i nostri ritmi lenti coi discorsi di storia o letteratura entrano in classe Pietro e Alessandro Verri, Ariosto, Galileo Galilei. Emile Zola, Giovanni Verga, Henry Ford, Grazia Deledda, Franca Kafka. “Oggi vi presento Karl Marx!” E sulla parete si moltiplicano i volti.
È stato un processo lento e graduale, un po’ come in una clessidra che si riempie secondo il principio del discusso imbuto di Norimberga.
Ormai siamo quasi alla fine dell’anno, i personaggi ci guardano, chiacchierano con noi e magari quando la scuola è chiusa, di notte, confabulano fra loro, lì schierati. Una folla silenziosamente eloquente, come la pagina dei necrologi. L’aula è diventata la nostra stanza della memoria**. Per noi ormai è un gioco di immagini e associazioni, di stati d’animo ed elaborate costruzioni mentali.
Nel passato la visualizzazione è stata essenziale per raccontare le storie e per mandarle a memoria spesso si usavano degli schemi molto simili a mappe concettuali disegnate. Come nell’infografica che correda la migliore stampa nazionale e internazionale, o i migliori allestimenti della didattica museale che vuol raccontare come nascono le collezioni.
Foto scattate al Museo Egizio di Torino.
Infine, come in moltissime edizioni che hanno inaugurato un genere editoriale biografico per ragazzi, per esempio Storie della buonanotte per bambine ribelli di Francesca Cavallo ed Elena favilli o Perché? 100 storie di filosofi per ragazzi curiosi di Galimberti oppure come in un calendario autoprodotto sulle eccellenze sarde che recentemente ho illustrato per promuoverle.
Rita Levi Montalcini, da Storie della buonanotte per bambine ribelli.
Epicuro, da Perché? 100 storie di filosofi per ragazzi curiosi.
Eccellenze sarde illustrate dall'autrice.
Io non so per certo se agli studenti piaccia questo Facedeathbook, ma certamente hanno rispettato l’installazione cartacea.
Sarebbe pure bello fare un gioco come sulla prima pagina della Settimana Enigmistica o su alcuni manifesti pubblicitari: prendiamo i pennarelli e interveniamo con barba, baffi e monociglio per cambiar loro i connotati. Sarebbe divertente o forse dissacrante? Mi è capitato di giocare con i cataloghi di facce insieme a diversi insegnanti ospiti di un mio corso di formazione (organizzato da Tuttestorie/MIUR nel 2016). Si trattava di un laboratorio ispirato ad alcune pagine del mitico Come diventare esploratore del mondo di Keri Smith.
Alcuni alcuni ragazzi di quarta mi hanno detto: “Prof, ma quando andiamo in quinta, se cambiamo aula, li portiamo con noi?”. Io spero certamente di poter portare con noi le nostre icone, ma soprattutto che i ragazzi, essendosi a loro affezionati, possano portare con sé, nei loro ricordi, visi, idee, pensieri e illustri parole.
* È un ambiente per l'insegnamento e l'apprendimento basato sui giochi, con template per creare cruciverba, parole mancanti, apri la scatola, labirinto. Insomma si tratta di una utilissima risorsa digitale e una community contenente tanti modelli per imparare giocando online. Io l’ho scoperta per caso. Me l’ha fatta conoscere mia figlia Giulia, di 9 anni. Lei frequenta la quarta elementare a Cagliari, la nostra città con la spiaggia e un bel quartiere storico detto Castello, dove un castello-marcondirondello se lo cerchi a dire il vero non c’è! Le sue brave maestre e maestri hanno introdotto questa pratica per far funzionare la DAD con il digitale.
** Lina Bolzoni, La stanza della memoria (Einaudi, 1995)