Le parole sono case

[di Monica Bisi]

Ci sono libri in cui è bello perdersi. Sono libri che si possono percorrere in tutte le direzioni, dalla fine all’inizio, con approdi casuali, o con continuità. E tornarci tante volte, perché ogni volta c’è qualcosa di nuovo che illumina.

Tra questi libri, che definirei “densi”, si possono tendere fili e sottili reti di senso.

Uno di questi libri per me è la raccolta poetica E sulle case il cielo di Giusi Quarenghi.

In una recente rilettura, mi sono soffermata a lungo sulle parole dell’autrice nella postfazione.

«E sulle case il cielo: le case, quelle che abitiamo e quelle che parliamo; le parole, che abitiamo e che ci abitano … perché LE PAROLE SONO CASE, “piccole case con cantina e soffitta”, come scrive il filosofo Gaston Bachelard. Parole come case, parole casa: ben salde sulla terra e su, fino al tetto. E sopra, il cielo.»

Le case hanno un piano terra, una porta principale per uscire e per entrare. E così anche le parole. «La porta delle parole è il loro significato più immediato e condiviso. Di solito parliamo stando sulla porta delle parole, ce le scambiamo stando al piano terra. Per capirci subito e senza fatica.»2

Vi è un dentro e un fuori. «Molto esce di quel che è dentro, ma non tutto; molto entra di quel che è fuori, ma non tutto, a volte si ferma sulla porta, e sta lì, ma nessuno apre. Vale così anche per le parole.»3

Vi è poi la dimensione della verticalità per cui le case possono avere una soffitta e una cantina dove si conservano cose dimenticate, abbandonate, nascoste, ricordi e segreti.

Infine vi sono le scale.

Sostiene Bachelard: «Le scale portano ai vari livelli. Tutte sono differenziate. La scala che va nella cantina la si scende sempre: la sua discesa passa nei ricordi, la discesa caratterizza l’onirismo (…).

La scala della soffitta, più ripida, più consumata, si sale sempre. Essa è caratterizzata dall’ascensione verso la più tranquilla solitudine. Quando torno a sognare nelle soffitte di un tempo, non ridiscendo mai.»4

Se queste sono le fondamenta su cui è costruito il testo, e oramai ci siamo addentrati tra le sue stanze, possiamo comprendere che «Poeta è chi ama fare le scale e va su e giù nelle parole e ne tiene vivi tutti i significati, quelli alti e quelli bassi, quelli luminosi e quelli bui, quelli semplici e quelli complessi, quelli oscuri, nascosti, segreti, quelli comuni e noti, quelli rari, insoliti, sconosciuti, quelli antichi, vecchi, quelli nuovi, quelli morti, quelli capaci di durare, quelli grandi, quelli piccoli, quelli che consolano e quelli che feriscono, quelli che rivelano e quelli che nascondono, quelli che fanno bene e quelli che fanno male. E sa che altri significati, a volte sorprendenti, si sprigionano da come si mettono vicine le parole.»5

Ho pensato che questo tema sarebbe stato molto appropriato per parlare di poesia ai bambini della scuola primaria, in un contesto laboratoriale.

Per trasformare la metafora - le parole sono case – in qualcosa di tangibile e concreto, ho chiesto ai bambini di realizzare una piccola casa di carta in cui ospitare una parola che loro stessi avrebbero scelto.

I bambini hanno creato la loro casa con molta cura; inizialmente era bianca; successivamente è stata 'arredata' e colorata a piacere.

  

Ho visto così nascere dei piccoli mondi; ogni casa era una parola, in tutte le sue dimensioni, spazialità e profondità. I bambini vi hanno riposto i loro ricordi, sogni e desideri. 

Abitare le parole tranquillità e gioia, mi è sembrato rispecchiare perfettamente ciò che sostiene il filosofo Bachelard che configura la poetica dello spazio come azione dell’abitare lo spazio felice.

Una parola molto amata è la parola mare che in tutti ha evocato ricordi felici. I giochi in spiaggia, i castelli di sabbia, la ricerca delle conchiglie con il papà, gli spaghetti con le vongole fresche…

Grazie all’intervento dell’atelierista e formatore Hans Hermans, tutti abbiamo potuto creare la nostra casa al mare in cui ospitare l’orizzonte.

Tutti possiamo abitare l’infinito.

Ma quante case esistono?

Per assonanza, ho trovato il libro Case di Maria Jose Ferrada e Pep Carrió.

Ci sono entrata in punta di piedi, per poi rimaner folgorata. Sono pagine commoventi.

Ci sono case che stanno sul palmo di una mano.

La casa che si trova nel cuore di una foglia di ontano.

Una casa di una sola stanza in cui incredibilmente ci stanno un letto, un divano, un bosco, tre stormi d’uccelli e il sole del pomeriggio…

I bambini hanno osservato le immagini con incanto. È stato come aprire loro una porta su un mondo nuovo, o forse, sul mondo dei sogni.

Dice Bachelard: «… esiste per ciascuno di noi una casa onirica, una casa del ricordo-sogno, perduta nell’ombra di un aldilà rispetto al passato vero».

E ancora: «La poesia svolge la grande funzione di restituirci le situazioni del sogno: la casa natale è qualcosa di più di un insieme di camere, è un corpus di sogni.»6

Nelle nostre case abbiamo cercato il silenzio.

Abbiamo chiuso gli occhi e abbiamo ascoltato. Un giorno, in quel silenzio abbiamo sentito una voce mai sentita prima.

Era come lo scorrere di qualcosa, un suono profondo e continuo. Di chi era quella voce?

Era quella del calorifero. La sua voce è quella dell’acqua che in lui scorre.

Allora è vero che le cose hanno un segreto. Ma cosa avrà mai da dire il calorifero? I miei bambini mi avevano già detto che occorre leggere il cuore di un calorifero. Che storie saprà raccontare?

Ancora una volta ci è venuta in aiuto la poetessa Maria José Ferrada, con il suo libro Il segreto delle cose, illustrato da Gaia Stella.

Le cose dormono,

sognano piccoli sogni

e si svegliano.

A volte si mettono persino a parlare…

 

La poeta Ferrada, in una recente intervista, ha detto di ricordare come da piccola vedesse le cose, non come realmente appaiono, ma con occhi bambini. Ha saputo mantenere quello sguardo e sa trasformare ciò che vede in parole.

I bambini comprendono questa lingua, è proprio la loro.

Ma le parole… le parole sono case.

Le case hanno pareti colorate, sabbiose, fumose e noi possiamo abitarle.

Amiamo le nostre case.

Ogni parola ospita un significato per ciascuno diverso, nonostante il significante sia uguale.

Un fiore disegnato da un bambino italiano sarà una margherita, da un bambino belga un tulipano. Eppure è sempre un fiore. Il principio è antropologico ed evidente.

Ancora una volta 'Mago Hans' ci incanta.

I bambini ascoltano, comprendono e realizzano le loro case, poi scrivono:

La mia casa rossa nella giungla.

La mia casa è la mia vita.

La mia casa è un silenzio.

La parola è una farfalla.

La luna è una casa e dentro lei mi nascondo.

Sono io la mia casa.

E una bambina conclude:

La mia vera casa sono io.

Penso che abbia ragione quella bimba; noi siamo le parole che abitiamo e le parole che abitano in noi.

In queste pagine ho condensato il lavoro condotto in alcuni incontri laboratoriali in più classi; spero che possa essere una buona traccia per altri esploratori del mondo della poesia e, soprattutto, per chi cerca la propria casa.

La poesia «… non è una decorazione, non è una grazia, non è qualcosa di estetico, è come mettere la mano sulla punta più sottile del reale. E nominandolo, farlo accadere.»7

[1] Giusi Quarenghi, E sulle case il cielo, Ed. Topipittori, postfazione.

[2] Ibid.

[3] Ibid.

[4] Gaston Bachelard, La poetica dello spazio, Edizioni Dedalo, p. 53

[5] Giusi Quarenghi, Ibid.

[6] Gaston Bachelard, La poetica dello spazio, Edizioni Dedalo, p. 43

[7] Christian Bobin, Abitare poeticamente il mondo, Ed. Animamundi, Otranto, p.33.