Ovvero di come gli albi illustrati ci raccontano parti di noi
[di Maria Sole Pipino e Valentina Mossa]
La bambina e l'armatura, di Raffaella Pajalich e Alicia Baladan (Topipittori, 2021).
Libroterapia è uno di quei termini che, oggi, viene spesso abusato. Tutto sembra diventare libroterapico: un consiglio letterario che possiamo trovare su Instagram, un gruppo di lettura all'interno di una libreria. Libroterapia, come resilienza, sta diventando uno di quei termini che tanto piacciono perché sembrano offrire una panacea a tutti i mali, rapida e indolore.
Tuttavia, non è così. Faremo, infatti, qui di seguito, riferimento a una specifica declinazione del termine libroterapia: la libroterapia clinica, intesa come metodo per psicologi e psicoterapeuti che parte dalla condivisione di libri e, nel nostro caso specifico, di albi illustrati, per promuovere il benessere psicologico e la crescita personale. Nel tempo, nel contesto di cura, grazie alla libroterapia la lettura è diventata parte essenziale dei nostri percorsi psicologici e psicoterapici, individuali e di gruppo. Siamo Maria Sole Pipino e Valentina Mossa, una psicologa perinatale e una psicoterapeuta che hanno trovato nel linguaggio analogico e metaforico degli albi illustrati uno strumento prezioso, tanto che è entrato a far parte sempre più della nostra pratica clinica, tanto da diventare elemento fondante dei nostri gruppi. In questo breve articolo proveremo, quindi, a raccontarvi qualche frammento del nostro lavoro con i gruppi e gli albi illustrati.
I gruppi di libroterapia generano le condizioni per portare alla luce il rimosso, hanno la potenza intrinseca in grado di mostrare la polvere nascosta sotto il tappeto, una capacità, che nasce solo dal confronto con gli altri membri del gruppo, di far riconoscere e immedesimare in un personaggio, in una storia, in un'illustrazione e trovare in loro conforto, spiegazione e, a volte, riconoscimento dei propri vissuti. La libroterapia così intesa non è questione semplice: affonda le radici in un lavoro di storytelling clinico e narrativo e nella tanto bistrattata pratica della psicoterapia di gruppo. Ci vuole fiducia nel gruppo, nei suoi conduttori, ma, soprattutto, fiducia nella narrativa: credere fortemente che, sì, una pagina ben scritta, un'illustrazione ben disegnata, possano salvarci la pelle.
Una doppia tratta da La bambina e l'armatura, di Raffaella Pajalich e Alicia Baladan (Topipittori, 2021).
Negli ultimi anni, accanto ai nostri gruppi di libroterapia ‘classica’, quindi con l'utilizzo di narrativa ad ampio spettro, ad accompagnarci ci sono gruppi libroterapici un po' sui generis. Strumento fondante di questi gruppi sono gli albi illustrati che diventano, nelle nostre mani, un ponte capace di creare legami e uno spazio narrativo per andare oltre le difese, oltre le paure e i muri che abbiamo eretto intorno a noi. Un ponte per incontrarsi, al di là del giusto e dello sbagliato, per muoversi, insieme, nel terreno dell’immaginario, del possibile, nel luogo di tutte le ipotesi.
Nei picture book, la sinergia che nasce tra la parola (qualora ci sia) e l’immagine genera nuova profondità e ulteriore capacità di significazione creando uno spazio terzo, uno spazio vuoto da riempire in base alle proprie risonanze, ai propri vissuti. Capita, così, nel contesto gruppale, che ci si addentri insieme in una storia, fra immagini e suoni, lasciandosi trasportare nel mondo dell’altro, aprendosi all’incontro, a interpretazioni nuove, alla possibilità di fare e ricevere domande, di andare avanti e tornare indietro, cambiare. Girare la pagina implica il procedere insieme alla ricerca di nuovi significati, di una possibile rilettura della propria storia. Proprio tra immagini e parole, in questo luogo dove il giudizio è sospeso, nasce ed esiste un posto sicuro, intimo, introspettivo dove tutti possiamo cercare rifugio.
Le storie sono terapeutiche perché portano il lettore a cercare le proprie soluzioni, riflettendo sulle risonanze suscitate dalla storia, sui conflitti interiori che emergono. Proprio da questo presupposto gli albi illustrati, da grande passione, sono diventati inseparabili compagni di lavoro nella nostra stanza delle parole, in cerchi delle donne, in colloqui individuali, ma soprattutto nei nostri gruppi.
Il gruppo dedicato alla maternità, conclusosi in estate, è stato un viaggio meraviglioso. Complesso, talvolta doloroso, potente. È stato uno spazio di incontro per neo mamme, mamme in attesa, mamme di bambini già grandi, che si sono permesse, autorizzate a fermarsi, ascoltarsi, condividere e rileggere la propria narrazione della maternità.
Nei cinque incontri, cinque diversi albi illustrati ci hanno accompagnate nell’esplorare le diverse sfumature dell’esperienza della maternità, dalla dimensione intergenerazionale legata all’essere figlia oltre che madre, alla progettualità della coppia. Abbiamo parlato di cambiamento, di dolore, rabbia, vulvodinia, bambini che tardano ad arrivare. È stato viaggio, è stato terremoto emotivo. Abbiamo attraversato la fatica del post parto, di tutte quelle mani che toccano, che invadono, che coccolano. Ci siamo soffermate, una a fianco all’altra, nella dimensione della coppia, nella sessualità, corpi che cambiano, si allontanano, si cercano. Si incontrano, di nuovo.
Abbiamo osservato le aspettative, i dover essere, la ricerca di quella perfezione che di fatto poi non è reale. Ci siamo abbracciate, autorizzandoci a dirci che va bene così, che ogni mamma è mamma a modo proprio. Il gruppo ha lasciato spazio a nuove narrazioni: le cose sono andate diversamente da come ce lo saremmo aspettati, e va bene così.
A concludere questo primo viaggio ci ha fatto compagnia Una mamma è come una casa di Aurore Petit. Forte, colorato, sincero, autentico, ha dato modo alle giovani madri e future tali di dare voce – o trovarla - a tutti quei sentimenti che le hanno abitate. L'essere madre, inteso come una trasformazione in un qualcosa che è abitato e che, allo stesso tempo, dona vita – e quindi dona casa - ci ha permesso di tessere una tela in cui lacrime, sorrisi, parole, immagini, canzoni, spaccati di vita quotidiani hanno nutrito i nostri gruppi. Aurore Petit attraverso poche parole e illustrazioni dai colori accesi ha descritto in 48 pagine scene di vita in cui ogni mamma può riconoscersi, generando quindi una universalità che abbatte barriere geografiche, socio-economiche e culturali. Ogni partecipante è stata in grado di rivedersi, di rispecchiarsi, di sorridersi, di commuoversi. Ogni gruppo si è fatto, allora, casa lasciandosi abitare, contenendo rabbie, paure, preoccupazioni e gioie.
I nostri gruppi di libroterapia sono case un po' particolari. Come ne Il castello errante di Howl sono case-creature itineranti, sempre in movimento grazie alla possibilità offerte dalla rete, in grado di farsi abitare da chiunque ne sentirà il bisogno e la necessità.
Potete scoprire i nostri prossimi viaggi libreschi seguendoci su Instagram (Valentina Mossa, Maria Sole Pipino), iscrivendovi alla nostra Newsletter o ancora scrivendoci alla mai libroterapia.albi@virgilio.it - Noi vi aspettiamo con un libro in mano e un caffè nell'altra.