Dal 30 gennaio al 5 giugno 2022 la Biblioteca Comunale Villa Dora di San Giorgio di Nogaro (Ud) ospita la mostra Poetica del gioco, la prima retrospettiva dedicata a Roberto Papetti. Un percorso espositivo che conduce il visitatore in un viaggio sul gioco, attraverso un centinaio di manufatti originali del giocattolaio e artista che da 40 anni conduce in Italia una ricerca straordinaria sui giochi e i giocattoli della tradizione. Il progetto è promosso dal Comune di San Giorgio di Nogaro e dal Sistema Bibliotecario InBiblio in collaborazione con l’Associazione Culturale 0432 a cui sono affidate le visite guidate per le famiglie e i laboratori per le scuole. Allestimento esterno di Emanuele Bertossi, fotografie di Stefano Tedioli, progetto grafico di Marilena Benini, con il patrocinio dell’Associazione Italiana Biblioteche FVG, il sostegno della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e del Ministero della Cultura.
Qui di seguito proponiamo un’intervista inedita a Roberto Papetti condotta da Francesca Berti, curatrice scientifica della mostra e ricercatrice presso la Libera Università di Bolzano. Li ringraziamo entrambi. Ringraziamo anche Stefano Tedioli che ha realizzato tutte le fotografie che corredano questo articolo, e Massimiliano Tappari grazie al quale oggi pubblichiamo questa conversazione.
Pensieri attorno alla mostra Poetica del gioco. Roberto Papetti artigiano artista
Non ricordo esattamente quando è nata l’idea della mostra Poetica del Gioco. Roberto Papetti artigiano artista. Con Roberto abbiamo da anni delle imprese nel cassetto - un libro, una mostra retrospettiva, un documentario - cose da realizzare assieme. Sono desideri che prendono forma in ore di chiacchierate, passeggiate, letture ad alta voce, talvolta vivaci battibecchi attorno ad una passione comune, un’affinità elettiva, che da ormai 20 anni accompagna anche la mia ricerca personale sul gioco. Condividiamo i progetti con gli amici Stefano Tedioli e Marilena Benini, il fotografo e la grafica che da anni collaborano con Roberto nella realizzazione di mostre e libri (a partire da Tintinnabula. Giocattolo museo, pubblicato da Artebambini nel 2006) e assieme ci perdiamo in visioni. Ridiamo tanto. Nell’agosto 2020 è affiorata l’idea della “poetica del gioco” e ci è parsa un buon modo per porre l’attenzione sul fenomeno universale del gioco e sulle emozioni che suscita.
F: Poetica del gioco. Una mostra itinerante. Quali suggestioni ti richiama oggi questo titolo?
R: Mi vengono in mente i giocattoli fatti a mano dai bambini, le cose che fanno quando prendono un oggetto, un materiale, e lo trasformano in un giocattolo: arrivano sempre a famiglie o tipologie di base, a modelli che si ripetono, non sono mai nuovi e tuttavia non invecchiano mai. Ripresi da un adulto artigiano, questi giocattoli da costruire incontrano materiali raccattati così come vengono, e diventano una ripetizione differente, una scienza delle eccezioni, un fatto poetico. Infatti, ogni giocattolo costruito con le proprie mani, considerato in sé e per sé è una eccezione, è un oggetto unico e irripetibile. Ciò non significa che non rappresenti il risultato di una cultura, di una tradizione, di un’epoca storica intrecciata con il mondo da cui sorge, tessuta dai suoi fili: pur riprendendo modelli di riferimento - la bambola, i birilli, le trottole, gli aquiloni, il bilboquet, le funicelle ecc, - fa i conti con l’inatteso perché sottoposto a naturali processi immaginativi.
Un giocattolo fatto con le proprie mani è letteralmente senza uguali, non conosce progettazione e produzione in serie. Raccolto nella sua aura, impronta digitale, prodotto individuale fatto a mano e fatto per passare di mano in mano, il giocattolo ha un valore eminentemente d’uso e mai di scambio. Lo costruisci, ci giochi, lo demolisci a forza di usarlo o cercargli l’anima, lo doni quando vuoi donarlo, e quando si rompe lo accompagni a disperdersi nell’ambiente da cui è venuto.
La prima volta che ho costruito un giocattolo secondo questo spirito, da adulto, è stato a Torino, quando ho visitato il Museo della Cultura Ludica di Giancarlo Perempruner: lì ho visto una pipa a vento. Il maestro Giancarlo mi ha detto che era fatta con ramo di sambuco: una volta tolto il midollo spugnoso diventava un tubo uso cerbottana, o schioppetto, o appunto, una pipa che fa rotolare una pallina per aria. Sono andato subito sull’argine del Po, e l’ho costruita con il poco e niente a disposizione, provando una curiosa emozione.
Fotografie di Stefano Tedioli.
F: Ci teniamo in equilibrio tra il gioco e l’arte…
R: Sì, spesso mi soffermo ad osservare le opere di certi artisti: il circo di animali di filo di ferro di Calder, certe reinvenzioni di materiali di Picasso, di Alighiero Boetti, di Munari, e dico a me stesso che il confine tra opera d’arte e strumento di gioco è molto labile. I miei sono oggetti di questo genere, legati ad una manualità gratuita e incantata, credo, che dimostrano che sempre altre vite sono possibili, come nell’arte. Giunto nel regno del fare giocattoli, il posto che mi riguarda, ho avvertito una travolgente benedizione. L’ingresso in uno stato d’animo particolare, quello in cui i pensieri diventano vivaci come la natura.
F: Al centro della mostra c’è l’artista giocattolaio Roberto Papetti o ci sono i giocattoli?
R: Il mio desiderio sarebbe mostrare i risultati del fare artigianale, mostrare che faccio parte dal mondo degli artigiani, valorizzare quello che tutti, in potenza, potrebbero costruire con o per i bambini, dedicando loro un po’ di tempo.
F: La tua creatività, dunque, può essere il filo conduttore. Studiando il tuo lavoro, ho osservato due periodi, Roberto responsabile del Centro Gioco Natura La Lucertola, un centro di sperimentazione didattica per l’ecologia del Comune di Ravenna, e un periodo successivo, dal 2010 circa, in cui apri un laboratorio personale. Mentre nel primo la tua ricerca è aderente alle figure guida di giochi e giocattoli della tradizione, nel secondo talvolta rimane solo un’eco, una “sopravvivenza” per usare un termine dello storico dell’arte Aby Warburg, delle tipologie di base e vai sempre di più nella direzione dell’arte. Le due essenze si sono ribaltate: da artigiano artista ad artista artigiano. Nella mostra, a quale vorresti dare risalto?
R: Preferirei venisse data più importanza all’artigiano, a quanto lui fa e al significato d’uso strumentale di quello che fa. Il giocattolo serve per giocare non per essere contemplato esteticamente. Aver messo in gioco una “poetica” complica ma è una occasione per riflettere e rendere intellegibili gli spostamenti di ottica, di visione, di prospettive.
Fotografie di Stefano Tedioli.
F: Capisco. Poi c’è l’aspetto di sperimentazione didattica. L’amico Roberto Farné, professore presso l’Università di Bologna, una volta ti disse “Cavoli Robi, ma con tutte queste cose che hai fatto, sai quali suggestioni potrebbero ancora arrivare a chi ancora lavora nella scuola… il racconto dov’è?” Ecco, noi ora con una mostra retrospettiva andiamo a ripercorrere alcuni momenti di questo percorso. Tuttavia, non è possibile recuperare i tanti progetti passati, tantomeno dilungarci in lunghe descrizioni. Inoltre, molto del tuo lavoro si svolge nell’oralità. Come possiamo sciogliere questi aspetti nella mostra?
R: Tutto quello che ho appreso viene da un sapere artigianale. Sento una profonda vicinanza con le culture orali primarie, cioè totalmente ignare della scrittura. Queste praticano una profonda saggezza, ma non “studiano”. In queste culture si impara non attraverso lo studio in senso stretto ma mediante una sorta di apprendistato o come discepoli, ascoltando, ripetendo ciò che si sente, padroneggiando i proverbi e le loro combinazioni, assimilando altro materiale formulario e infine partecipando ad una specie di esame corporativo. Il mio confronto con i pochi e sempre più rari mastri giocattolai e le loro narrazioni è continuo.
Ho fatto negli anni piccole mostre in forme discrete e contenute. Con Gianfranco Zavalloni, la mostra 1 mondo, 10 giocattoli, 1000 combinazioni, con Mario Lodi La scienza in altalena. Durante gli anni della prima guerra in Iraq, Lippe non truppe. Giocattoli per la pace da cui ha poi avuto origine il progetto dei Pacifici che gira ancora oggi. E ancora, Giocattoli da una cassetta da frutta, Cos’è un’idea, Una volta da dove. Paul Klee e i bambini di Ravenna, Giocattoli dopo la tempesta. Le mostre hanno la forma di strumenti agili senza grandi apparati esplicativi, capaci di tenere viva la circolazione di idee attraverso gli oggetti e le narrazioni che questi suscitano. La suggestione che dà l’incontro con gli oggetti, le foto di Stefano Tedioli, una narrazione leggera.
Foto di Stefano Tedioli.
F: Ecco, un momento significativo è l’amicizia con un fotografo, Stefano Tedioli, come te immerso da anni nel mondo dei giocattoli. Stefano, tuttavia, prima di incontrarti era conquistato dal kitsch dei giocattoli di plastica che fotografava negli ambienti esterni, animandoli. Due sensibilità apparentemente opposte: cosa è scattato tra di voi?
R: Fin da subito abbiamo compreso che la nostra passione aveva delle analogie e la sua ricerca ci ha portato a riflettere sul fatto che potrebbe esserci una seconda vita dei giocattoli quando questi vengono messi in relazione strettissima con il mondo fuori. Voglio dire attratti dalle apparenze, da ciò che si vede nel paesaggio di oggi, nella mutazione antropologica vertiginosa dei luoghi abitativi: case, palazzi, strade, piazze, natura, luoghi turistici, zone di dismissione industriale, raffineria, cementifici. Ci siamo detti che bisogna fare presto, tutto sta scomparendo. Abbiamo cominciato a portare i giocattoli costruiti da me nel paesaggio per fotografarli per vedere l’effetto che fa, per cercare corrispondenze nel disincanto e nella catastrofe in atto.
Fotografie di Stefano Tedioli.
F: Il titolo Poetica del gioco accompagna, dunque, visitatori e visitatrici di tutte le età, in una visione personale dell’artista Roberto Papetti. Cosa ti piacerebbe arrivasse loro?
R: Stimoli per riflettere e invitare a fare con le proprie mani.
F: In passato, soprattutto nei progetti nelle scuole realizzati assieme all’amico Gianfranco Zavalloni, hai chiamato questi stimoli “esche”, più di recente “pungoli”…
R: Sí, pungolo è molto bello, pungolo educativo, o meglio, ludico. Si riferisce ad un’idea che invita ad uscire dalla scuola e andare ad esplorare il mondo. Come, di recente, la bambola Marina la sirena, pensata e realizzata dai bambini di Marina di Ravenna, che passa di scuola in scuola, per città e paesi delle coste del Mediterraneo, dentro un baule da marinaio tutto dipinto, traghettato da un porto all’altro grazie all’aiuto della gente di mare. I bambini eccitati la aspettano, ci giocano, inventano delle storie, partono percorsi che gli insegnanti possono sviluppare come vogliono, collegando le materie ma soprattutto ascoltando quel che viene dai bambini, abitando con loro il gioco.
Foto di Stefano Tedioli.
F: «Nel loro mondo di cose, un piccolo mondo all'interno di quello più grande», come disse il filosofo Walter Benjamin. Seguendo il filo conduttore del tuo percorso, mi piacerebbe dare spazio a questi sguardi sulla letteratura, sulla poesia, sulla filosofia che ti hanno sempre accompagnato. Le suggestioni, come il verso della poesia di Hölderlin che spesso ricordi «Molti meriti ha l’uomo ma poeticamente abita la terra» o la lettura di Massa e potere di Elias Canetti che ti ha stuzzicato l’idea sui mucchi. Che dici?
R: Sì, è così. Canetti è formidabile, quando parla di mute e masse, di quei simboli del potere che sono i mucchi di cose, e cioè i granai, le monete o la riserva d’oro di Fort Knox, le fiamme. Nelle case dove abitano oggi i bambini ci sono mucchi di giocattoli, a centinaia, che spesso finiscono nelle discariche. I bambini giocano per la prima volta con la quantità. La mercificazione ha aggredito l’arte del gioco: i giocattoli sono diventati pezzi in quantità spropositata, con storie e caratteri definiti. I bambini hanno sempre meno possibilità di smontare e riassemblare, possono agire solo in funzione di proprietari, con un contradditorio potere sulle cose, non più creatori.
F: Intendi dire che non costruiscono più?
R: Sono sempre più adultizzati a stretto contatto con strumentazioni complicatissime. Quello su cui lavoro è una ricerca che parte dal passato e arriva alla contemporaneità, quando conferiamo al termine ‘contemporaneo’ il suo significato letterale, vale a dire di compresenza di tempi diversi, anche molto lontani. Faccio ricerca in sintonia con gli storici quando si definiscono storici della contemporaneità. Per esempio, sul piano paradigmatico, un giocattolo antico può esserci più vicino e più importante di tanti giocattoli elettronici. È quello che i filosofi chiamano “genealogia”, vale a dire la ricerca del significato di un fenomeno o di un evento a partire dalla sua origine. In questa prospettiva quanto accade oggi rimanda, può trovare risonanza e perfino una spiegazione, in eventi accaduti diversi secoli prima.
Fotografie di Stefano Tedioli.
F: Un’ultima domanda: con questa mostra il tuo laboratorio si svuoterà, come ti senti?
R: Da tempo penso alla dispersione e al dono. Mi frulla per la testa l’idea di trasformare il laboratorio in una “bisca Papetti”, in un festival delle lotterie o nel “gioco del mattone d’oro”, ispirato al gioco tradizionale romagnolo dello Zachegn: chi colpisce il lingotto, vince qualcosa da portarsi a casa.
F: …aspetta aspetta, prima della bisca facciamo la mostra, okay? Alla fine facciamo la bisca Papetti, ma prima la mostra, va bene?
Robi ride.
[Le fotografie che accompagnano questa intervista sono di Stefano Tedioli.]