Ed eccole qui le prime due uscite del 2022. Sono i due nuovi, brillanti librini della serie Poka e Mine di Kitty Crowther: Al cinema e Un regalo per la nonna. Li presenta, con la brillantezza che le è consona, Chandra Candiani che li ha anche tradotti e che qui ringraziamo per ciò che ha pensato e scritto.
[di Chandra Candiani]
Illustrazione da Un regalo per la nonna di Kitty Crowther (Topipittori, 2022).
Quand’ero piccola, soffrivo già d’insonnia o forse no, forse è meglio dire che nella situazione in cui mi trovavo a vivere era più prudente vegliare. Così, molte notti le passavo non solo leggendo ma guardando le figure dei libri. Non avevo ancora incontrato la terribile delusione di un libro senza figure. E non si chiamavano illustrazioni ma figure. Illustrazioni dà ai disegni un posto secondario, illustrano le parole, accompagnano il racconto, lo doppiano. Le figure no. Loro sono un altro modo di raccontare. Non solo fanno leggere anche chi non sa (ancora) l’alfabeto, come fanno i dipinti delle chiese, ma anche raccontano un’altra storia. Aprono una porta in cui puoi entrare e andare a vivere in un luogo diverso, qualche volta, e anche spesso, più sicuro di quello in cui vivono i bambini in frantumi. Certe volte, di notte tenevo il libro sospeso davanti a me e con la testa spingevo forte la pagina dipinta per attraversarla e accedere nel suo mondo e spesso ci riuscivo.
Ci sono libri che vanno letti proprio così, addentrandosi con un tuffo di testa nelle immagini. Non sempre sono libri con grandi scene, paesaggi spettacolosi, mari in tempesta, foreste intricate, belve parlanti. Certe volte, come con Kitty Crowther, ci si infila in immagini quiete di case non sovraccariche, di due insettini corposi con quattro zampette, due piedi calzati di belle scarpe, un paio di ali azzurrine trasparenti a testa e vestiti semplici ma scelti con gran cura, insettini che sono appunto Poka e Mine.
Le copertine di Un regalo per la nonna e Al cinema, i nuovi libri della serie di Kitty Crowther Poka & Mine (Topipittori, 2022), tradotta da Chandra Livia Candiani.
Poka e Mine sono figli delle matite. Colorate. E si sente. Non solo si vede, dalla delicatezza, certe volte fremente, certe volte irrequieta, altre volte follemente precaria e taciturna del tratto, dalla precisione dei particolari, dalle sfumature delicate, dai dettagli che fanno ridere di tenerezza solo chi li vede. Si sente perché Poka e Mine sono segreti, come segreto è il tratto delle matite, non sfacciato, non dimostrativo mai chiassoso. E così è la loro personalità di figli delle matite, colorate. Ma prima di tutto c’è da chiedersi se le figure le guardiamo davvero e se iniziamo i nostri lettori di altri alfabeti a soffermarsi, a leggerle. Le figure, non tutte, ma molte, dei libri per bambini, non hanno granché a che fare con l’esplosione di immagini che ci circondano, con le vetrine, con le pubblicità, con i cartelloni, nemmeno con i film. Le figure sono una porta di mondi che altrimenti non vedremmo, come le foto di Massimiliano Tappari, che sono normalissime foto ma ti fanno vedere un mondo visibilissimo, solo che non lo guardi o se lo guardi non lo vedi. Un mondo per un tipo speciale di cecità, la cecità alla banalizzazione, alla piattezza di una sola dimensione, quella esclusivamente utile, che spegne la dimensione dei sogni che la realtà fa di continuo.
Quando traduco Poka & Mine, leggo e guardo le figure, non posso tradurre senza guardare anche le figure. Una volta, proprio in uno dei due libri appena usciti, Un regalo per la nonna, avevo tradotto: «Mine è tutta contenta, perché ha trovato un regalo per la sua nonna.» Mi hanno corretto, togliendo sua e spiegando che in francese… Ma non m’importava, sentivo che le regole non c’entravano. Sua nonna avrebbe potuto starci se ci fosse stata una relazione stretta stretta, esclusiva e cullante. Sono andata a guardarmi la faccia della contentezza di Mine: una faccetta intenta, concentrata, gli occhi guardano in basso il terreno, le braccia stringono una conchiglia. Decisamente non c’è nessun mia in quella nonna di una nipotina tutta presa dal dono e dalla futura felicità di un’amata nonna. E ho detto: “Sì, va bene” e ho corretto convintissima. Altrimenti, mica l’avrei fatto.
Due pagine da Un regalo per la nonna.
Ora mi chiedo: noi lettori guardiamo abbastanza le figure? In questa fretta di carpire significati e profondità, sappiamo ancora stare con la semplicità conquistata con arte di Poka e Mine e con i particolari minuziosi disegnati da Crowther? Sì dai, ditemi di sì. Si dice che una cosa bella è completa solo quando, dopo averla creata, un altro la guarda e la coglie. E che il lavoro, di chi crea e di chi guarda, deve quasi essere pari. Beh, beh, Kitty lavora un sacco con le matite, direi. Allora, rallentiamo e guardiamo. Soprattutto con i disegni della natura, i gesti delle matite sono vibranti, fanno sentire quel brivido che si avverte quando si è da soli in un bosco o al mare o in montagna o non so, e si sentono come degli spiritelli viventi che se si è in compagnia ci scappano, a meno che si stia tutti zitti e in attesa. Di che? Di niente, naturalmente. Di quello che c’è.
Le figure in genere portano in un altro tempo, un tempo sospeso, né contingente, né eterno, un tempo di ricerca dello sguardo, di caccia senza prede, caccia di capacità di vedere a strati, ora in profondità, ora galleggiando, un tempo di avventura. I disegni di Kitty, in particolare, hanno questa attesa di niente, questa soglia. Sono disegni sonori e insieme silenziosi. Quando Poka ha i piedi nell’acqua di un ruscello, si sente il suono ruscellante dalla vibrazione delle matite intorno alle sue gambette nere. Quando Mine gli mostra la conchiglia trovata per la nonna, i colori della conchiglia sono gli stessi degli aghi sui rami degli alberi e anche il tracciato si somiglia, sono tracce indecise eppure nette, forti ma precarie. Mine ha in mano un pezzo di mondo, sta per regalare alla nonna un pezzo del suo mondo. Il posto in cui Mine trova la favolosa conchiglia sembra un anfratto di mare, un braccio dove si insinua l’acqua salata e Poka ci fa il pediluvio. Spesso i paesaggi sono inquieti e Poka e Mine tranquilli. Questo dà pace, molto di più di un paesaggio tutto grazioso e ben sistemato dove i bambini in pericolo si aspettano subito il disastro la pagina dopo. Invece un paesaggio mosso, precario e inclinato, dove Poka e Mine dicono cose dolci e si scambiano pareri, dà molto conforto: si può vivere bene anche se le cose intorno vacillano un po’, vacillano parecchio certe volte, ma l’affetto tiene, le faccette sorridono, le sorprese non sono minacce, ma possibili doni. I pensieri non sono difficili né contorti, i desideri sono possibili e si riescono a soddisfare con qualche piccola rassicurazione.
Per esempio, si possono portare tutti i propri peluche al cinema con Poka perché, come spiega Mine: «Ma Poka, non sono mai stati al cinema!» E se non si guardano le figure, non si vede che Mine è quasi scandalizzata dall’iniziale rifiuto di Poka, ma appena Mine spiega che per loro sarebbe la prima volta, non solo Poka risponde che sarà il caso allora che si comportino bene, ma ci vanno, al cinema, volando. E questo nel testo del libro Al cinema non si dice, ma lo si vede.
Due pagine da Al cinema.
Se si leggono solo i testi, sono libri di una disarmante semplicità, e non è poco, ma se si guardano anche le immagini, si scopre una raffinatezza psicologica, una quantità di sfumature nella relazione tra Poka e Mine e tra loro e l’ambiente e con le situazioni che si presentano che è come guardare il mondo attraverso la tela iridescente di un ragno.
Altre pagine da Al cinema.
E come perdersi la scena del cinema con tutti gli animaletti di Mine seduti all’inizio uno per sedia a occupare quasi tutta una fila e poi, dopo l’esasperazione di Poka, ben sistemati su una sola poltrona? E gli altri spettatori? E le poltrone a righe colore su colore? Il grillo con il completo a righine, la cravatta in tinta e quattro braccia conserte e l’espressione annoiata? E la moglie grilla con una leziosa mantellina azzurra che lo guarda e con le antenne tasta nell’aria l’umore del marito e il campo energetico della sala? E il bar del cinema? Il barista con una giacca bianca sciccosissima e Mine seduta sul banco che lo intrattiene con in braccio un peluche Mine in miniatura? E Poka che ha già il portafoglio in mano ed è perplesso dalla nonchalance di Mine?
E che dire nel libro Un regalo per la nonna del disegno in cui Mine dorme sotto la coperta con le pareti dipinte a matita e dalla conchiglia, che è già mimetizzata con il pavimento, esce la testa di un paguretto? E se lo stesso paguretto si scopre che è un fanatico del gioco delle carte e sta di fronte a Mine sotto il fascio di luce di una lampada da tavolo e dice: «Vinco io!»?
Due pagine da Un regalo per la nonna.
Insomma, per me i libri con figure sono libri multipli, vanno letti alfabeticamente ma insieme decifrati figurativamente, decifrati… insomma voglio dire osservati minuziosamente e sorridendo. Il sorriso è importante perché è la gioia della scoperta di un mondo scrupoloso, disegnato con tanta cura per noi. Quindi il sorriso è la risposta a un altro sorriso, implicito in chi disegna per noi. Le figure vogliono essere lette, non solo guardate di sfuggita, così si offendono e si nascondono. Un mondo con le figure è un bel mondo, un mondo plurimo, una matrioska di mondi.