Rappresentare l'essenza

[di Barbara Mazzoleni]

Mi chiamo Barbara Mazzoleni, sono una illustratrice, graphic designer e docente free lance: dal 2011 mi occupo di libri tattili e multisensoriali. Per questo blog ho già scritto tre post (che trovate qui, qui e qui) nei quali racconto la mie esperienze con questo particolare genere di libri, sia nella progettazione che nella divulgazione attraverso corsi, laboratori e convegni.

Il 10 e 11 febbraio 2018 ho tenuto, presso lo Spazio BK di Milano, la sesta edizione del corso per adulti sui libri tattili e multisensoriali: ogni volta è un onore per me essere seduta a quel grande tavolo di lavoro che tutti i fine seetimana vede alcune delle figure più interessanti del panorama italiano condividere idee e riflessioni dentro, fuori e intorno a libri e albi illustrati.

In questa edizione, oltre alla formula rodata negli anni, ho deciso di apportare alcune modifiche i cui effetti mi hanno entusiasmato e che vorrei quindi raccontarvi.La mattina del sabato, dopo un primo momento di accoglienza alle 14 partecipanti, e un po’ di tempo libero per sfogliare i diversi libri tattili che ho portato, ci sediamo, rigorosamente intorno al tavolo, in modo che ogni persona sia, nell’economia di quel grande spazio, importante quanto e più di me, che voglio essere il collante di tutti e mai dispensatrice unica di verità.

Durante il corso a Spazio BK.

Si inizia a occhi chiusi: ancor prima di presentarmi e chiedere a loro di fare altrettanto, spiego che siamo qui liberamente, per parlare, osservare, toccare, annusare, sentire, sperimentare. Quindi chiedo loro di affidarsi e provare a lasciarsi andare; perciò, se se la sentono, di ascoltare la mia voce tenendo gli occhi chiusi: voglio iniziare leggendo delle citazioni ricavate dal catalogo di De Luca Editore della mostra Le mani guardano (Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma 24-IX/2-XI-1980).

Ne riporto una:

Hanno uno stretto legame con il cuore.
Obbediscono al cervello che ha bisogno di loro - azioni, sentimenti, emozioni - perché la persona sia completa.
Fanno incontrare corpo e spirito.
Vengono spesso descritte come degli attrezzi.
È troppo semplice. Le mani non sono separate come un’isola.
Costituiscono due lunghe penisole rispetto al continente corpo.


Hubert Comte

Durante questi istanti ho la sensazione e la consapevolezza che sarà un bel corso: ancora prima di conoscerle una a una, percepisco che queste persone sono motivate e preparate. Gioisco nel capire che anche questa volta ho incontrato un gruppo fantastico, con storie, motivazioni e aspettative differenti: grazie a loro verrà fuori un cortocircuito di scambio magico.

Durante il corso a Spazio BK.

Dopo questo momento ci presentiamo reciprocamente, e anche io mi racconto. Nel farlo non posso evitare di parlare dell’amarezza che provo nello svolgere il mio lavoro principale, che è quello di docente di Digital Design e Tecniche di Illustrazione Digitale in tre diverse scuole di Milano. Quest’anno, in modo più accentuato degli scorsi anni accademici, ho percepito nei miei allievi (che hanno dai 20 anni in su) qualcosa di preoccupante: la crescente incapacità di consolidare informazioni, di trattenerle ed elaborarle, di portare avanti progetti in autonomia, di sperimentare, fare ricerca. Questo è assurdo, specialmente perché gli strumenti che usiamo nelle mie materie sono tecnologici e quindi in teoria non ostici per ventenni definiti nativi digitali: computer con software di elaborazione delle immagini, tavolette grafiche per disegnare, scanner e dispositivi per acquisire ed elaborare soluzioni visuali, che sia un moodboard di moda, una illustrazione di un libro per bambini, o un disegno di un pattern per tessuto.

Tutti questi strumenti prevedono la possibilità di sperimentare e sbagliare senza nessuna conseguenza: si torna indietro annullando, o salvando più versioni dello stesso file, quindi nessun rischio. Al massimo una perdita di tempo minima. Eppure gli allievi non lo fanno!

Pannelli realizzati dagli allievi del corso di Textile Design del professor Paul Jackson.

Certo, non posso pretendere che abbiano il mio stesso approccio. Ho iniziato a disegnare e progettare quando ancora i computer e i software grafici non esistevano. Loro non possono immaginare cosa voglia dire fare tutto interamente a mano, ma nemmeno cosa voglia dire anche solo, ad esempio, lavorare in Photoshop senza i livelli (eh già, perché non esistono da sempre!)

Ma qui la questione si fa più subdola: non solo per questa nuova generazione già risulta difficile mettere insieme e ricordare una serie di passaggi per elaborare immagini e disegni: a loro risulta impossibile soprattutto osare e trasgredire questi passaggi per scoprire risultati nuovi e inaspettati.

Usano quotidianamente centinaia di app su smartphone o tablet, ma appare loro impensabile che un progetto creativo con il computer (figuriamoci a mano!) comporti una serie di step che ritengono complicati e lunghi, quando con una app fanno tutto - (tutto? semmai le operazioni limitate e chiuse che la app consente di fare!) - solo con un dito che sfiora lo schermo.

Il punto è questo: trovo che tutte queste applicazioni belle e pronte sui loro cellulari riducano il potenziale di creatività (sappiamo tutti che la creatività, intesa come capacità di provare strade e soluzioni diverse, sta alla base di tutto: nella ricerca scientifica, nella programmazione informatica, nella tecnologia, nell’arte e nel design, oltre che nella vita). Non ho nulla contro le app, ma semmai contro il loro uso sconsiderato e passivo.

Cosa vogliamo che facciano della loro vita questi ragazzi? Che seguano strade già indicate da tracciati da cui non si esce, o che provino percorsi e soluzioni personali? In questo momento storico a me sembrano ben addestrati a svolgere compitini, già dalle scuole primarie e anche prima, purtroppo (le schede, i lavoretti etc.).

Pannelli realizzati dagli allievi del corso di Textile Design del professor Paul Jackson.

Mi scuso per essermi dilungata su questo argomento, ma proprio perché utilizzo i mezzi digitali quotidianamente sono testimone di questa situazione. Io appartengo a una generazione fortunata (ho 50 anni tondi tondi), cresciuta con poco o niente nella primissima infanzia e che poi ha conosciuto gradualmente le cose fatte di plastica, ha imparato a disegnare a mano, a lavorare a maglia e uncinetto copiando la nonna, ha vissuto l’epopea dei primi videogiochi rudimentali, e solo a 20 anni ha approcciato i primi computer grafici. Possiedo cioè quella confidenza e padronanza con la materia e il reale che mi ha permesso di utilizzare un computer come uno fra i tanti mezzi a disposizione, ma in modo equilibrato, senza mai diventarne succube. Quando chiedo ai miei allievi: «Ma perché l’hai fatto così? Non avevamo parlato di un ltro effetto/soluzione visiva?». Mi sento rispondere: «Perché con Photoshop mi veniva fuori così.» Punto. Con Photoshop mi veniva fuori così. Quello che propone di default il computer, o la app, viene accettato. Io ribalto il tavolo di lavoro pur di far uscire il risultato che ho in testa.

Oggi, ritengo quindi urgente far scoprire ai nativi digitali la multisensorialità come strada alternativa per esprimersi dal profondo, come ponte fra noi e gli altri, anche come momento di divagazione o di anarchia rispetto al resto delle attività iper impostate che riempiono le nostre giornate. Come ho scritto prima, credo fermamente che la confidenza e la padronanza della materia e la realtà siano un presupposto nella formazione della persona che non possiamo permetterci di omettere, non solo per non perdere le abilità manuali/creative/artistiche, ma soprattutto per lo sviluppo del pensiero laterale a 360 gradi.

Pannelli realizzati dagli allievi del corso di Textile Design del professor Paul Jackson.

Le mie interlocutrici colgono in pieno il senso di questo discorso, e iniziano a raccontare episodi vissuti e situazioni scolastiche o professionali dove l’impoverimento che ho appena descritto appare sempre più evidente.

Sappiamo tutti che avere meno, o meglio, avere a disposizione materiali il più possibile primitivi e semplici, sviluppi maggiormente la manipolazione e la fantasia. Meno industrializzato è il giocattolo, ad esempio, nel caso dei bambini, più cose può diventare. Ricordo quante cose è diventato un semplicissimo cartone da imballaggio che avevo regalato a Viola, mia figlia, quando era piccolina: una macchina da corsa il cui volante era lo scolapasta, un’astronave sulla rampa di decollo, una barca dei pirati pronta per salpare.

Il materiale principe da trasformare per me è sempre stata la carta (e i suoi derivati): spesso nei miei laboratori con i bambini chiedo di provare a enumerare i nomi delle azioni che si possono fare con la carta, anche solo per scoprire che possiamo trascorrere ore, facendolo.

Viola e il cartone.

Ecco, la manipolazione è un altro tasto dolente: ma quanto poca motricità fine hanno oggi i bambini e ragazzi? Ormai non sanno più nemmeno piegare un foglio in due o fare un ventaglio di carta o un aeroplanino.

Una partecipante ci racconta in proposito che conosce una bimba cinese che non sa quasi per nulla l’italiano, ma comunica con i compagni attraverso gli origami, e fa delle cose meravigliose che dona loro: animaletti o lanterne di carta. Una magia!

A questo punto mostro una serie di immagini di pannelli realizzati dagli allievi del corso di textile design allo Shenkar College in Ramat Gan, Israele, del professor Paul Jackson (un luminare nel settore, che ha scritto numerosi libri dedicati al surface design e all’arte dell’origami, e alle tecniche di manipolazione della carta). Ho conosciuto tempo fa il professor Jackson tramite Facebook, scrivendogli e chiedendogli di poter pubblicare queste immagini sul mio blog PatternPrints Journal e di mostrarle durante i miei corsi. Inutile dire che è stato gentilissimo. Impossibile non reagire con espressioni di meraviglia: vibranti superfici tattili realizzate sono con carta, con pazienza e perizia di mano.

Viola e il cartone.

Poi mostro altre immagini di manipolazione tessile, altra mia passione che ho la fortuna di soddisfare quotidianamente visionando i research book materici e le sperimentazioni con tessuti e materiali dei miei studenti dei corsi di moda.

L’aggancio è riuscito: tra tutte le cose che ho mostrato durante il corso, lo stupore più intenso è scaturito proprio da questo: vere meraviglie realizzate con poco o niente.

Lascio un po’ sedimentare questa emozione nelle prtecipanti, procedendo nella narrazione: racconto la mia esperienza, inizio a mostrare alcuni miei libri per analizzare le varie questioni progettuali, fornisco diversi spunti non solo per fare libri, ma anche per progettare attività tattili e multisensoriali differenziate per età o durata degli incontri. Facciamo riflessioni insieme sulla differenza fra i libri tattili accessibili e inclusivi e i libri d’artista materici.

Manipolazioni, emozioni, appunti di alcune delle partecipanti.

Nel pomeriggio mi gioco l’asso nella manica: dopo tutte le spiegazioni, osservazioni, riflessioni, discussioni in gruppo, arriva il momento in cui ciascuna può iniziare a pensare all’idea per il proprio oggetto tattile da realizzare.

Allora propongo una sfida, per chi la volesse affrontare. E sono perentoria: togliere. Togliere cercando solo l’essenza. Mantenere il senso, levando tutti gli orpelli. Difficilissimo farlo, come sa bene chi come me si occupa di progettazione grafica. Con la manipolazione dei materiali "illustrare l’essenza" di alcuni concetti diviene un affare straordinariamente intimo e personale.

Alcune accettano volentieri questa sfida anche se sanno che darà loro pena perché dovranno scavare nel profondo per far emergere le cose che si hanno dentro e portarle verso la superficie.

Manipolazioni, emozioni, appunti di alcune delle partecipanti.

Non è infatti scontato riuscire a illustrare dal punto di vista tattile quello che propongo: un elenco di dieci emozioni e sentimenti. Una pagina/tavola tattile per stato d’animo da rappresentare scegliendo fra tre modalità diverse di uso del materiale. Li elenco in ordine, partendo dall’approccio più facile al più difficile:

1: usare materiali vari da me portati, abbinati a forme e disposizioni studiate nello spazio della pagina.

2: usare sempre i materiali, ma senza progettare forme o posizioni, bensì lavorando solo sulla sensazione tattile. Quindi a pagina intera, solo attraverso il contatto con la superficie di quel materiale.

3: usar solo carta (quella velina bianca, tipo da cartamodello, una delle mie preferite). Manipolazione totale. Lo stesso unico materiale per rappresentare diversi stati d’animo e sentimenti.

Difficile, veramente difficile e risultati per nulla scontati.

Manipolazioni, emozioni, appunti di alcune delle partecipanti.

Questa prova diventa allora un’occasione per conquistare (o ri-conquistare) il proprio spazio interiore. Alcune si lanciano in questa sfida, altre invece procedono con idee che avevano già messo a fuoco prima di venire al corso, che poi modificano in corso d’opera. 

Quello che metto sempre in chiaro è che questo non è una gara "al librino più bello" che faccia esclamare wow (personalmente cerco di non essere mai stucchevole nei miei commenti ai lavori dei partecipanti a un mio corso, quanto piuttosto di rassicurarli se si sentono indecisi su come fare una cosa, o a volte di insinuare in loro dei dubbi, buttando lì un possibile sviluppo inatteso o una chiave di lettura diversa. Per questo alcune di loro, iscritte al corso con l’intenzione di progettare qualcosa per figli, nipotine o alunni, hanno poi deciso di realizzare qualcosa per se stesse. Il regalo più bello!).

Interpretazione tattile dell'inquietudine. Foto dal blog ilmareingiardino.

Spero sempre che partecipare a questi corsi faccia fare alle persone un'esperienza di valore. Dare un nome a una sensazione tattile a ciò che ci passa dentro, creare narrazioni materiche con il tessuto emotivo che abbiamo a disposizione, è fondamentale per scoprire qualcosa di più su noi stessi e su chi ci sta accanto.

Dato che durante i laboratori mi faccio sempre prendere dalla tentazione di aiutare ogni partecipante a realizzare le proprie idee, non mi rimane il tempo di fare fotografie ai lavori. Quindi perdonatemi se non ho  immagini suggestive da mostrare, e anzi colgo l’occasione per ringraziare chi ha fatto qualche scatto e poi me lo ha mandato.

Concludo augurandomi di essere riuscita anche solo un pochino a trasmettere la passione che mi muove, che da sola non basta ma deve essere costantemente supportata da studio e ricerca.

Manipolazioni, emozioni, appunti di alcune delle partecipanti.