Lunedì 9 gennaio,sulle pagine culturali de L'Unità, uno deipochi media che si occupa con continuità e approfonditamentedi libri per bambini e ragazzi, è uscito un articolo diGiovanni Nucci dedicato alla nostracollana Gli anni in tasca. Unagrande, bella sorpresa, che fa cominciare con una nota positiva questoinquieto 2012. Teniamo molto a Gli anni in tasca,e con noi, credo, gli autori che sono entrati a farne parte: tutti,invariabilmente, una volta che ci sono caduti dentro, ci si sonoaffezionati, per quel che scrivere su questo tema, la propria infanzia,evidentemente comporta. Ci rendiamo conto che non sia una collana'facile': ce l'hanno detto, e ce lo dicono, i librai. A progetto incubato,non ne ha fatto mistero il distributore. E lo abbiamo immaginato anchenoi, fin dall'inizio. Ma la prospettiva era troppo accattivante, per nonrischiarla. Al punto che, poi, da una costola della collana sono natianche Gli anni in tascagraphic.
Va detto anche,comunque, che questi libri hanno trovato, subito, degli estimatori: peresempio la giuria del Premio Andersen chenel 2010 li ha ritenuti la miglior collana di narrativa. Nel tempo, poi,hanno saputo convincere librai perplessi, insegnanti diffidenti, ragazzinirecalcitranti, genitori rassegnati ai gusti fantasy dei figli... insomma,passo passo si sono fatti amare, anche grazie a nomi importantiche si sono generosamente prestati a entrare in catalogo: da Roberto Denti, ad Antonio Faeti, a Giusi Quarenghi, a Luisa Mattia, a Bernard Friot, a Ugo Cornia, per dirne alcuni. Igiornalisti, poi a volte sono stati generosi, come Stefano Salische nell'inserto domenicale de Il Sole 24 oreha segnalato la grafica innovativa della collana, dovuta a Luigi Raffaelli, sulle prime non pococriticata, forse per la decisa difformità rispetto all'immaginedi altre collane di narrativa per ragazzi.
Anchealtri giornalisti sono stati generosi, come Claudio Origoni, che fin dall'iniziosi è innamorato del progetto e l'ha seguito e recensito, suIl Corriere del Ticino. Cos'altro dire? Chevale la pena di riportare alcune parole di Giovanni Nucci, che,al di là del fatto di avere parlato bene della nostra collana,in questo articolo fa alcune belle e condivisibili osservazionisull'infanzia, sulla sua importanza, e sugli scrittoriche se ne occupano. Lo fa anche riportando un brano di La città è una nave,di Federica Iacobelli, uno dei volumi dellacollana da pochissimo in libreria. Pensiamo che non ci sia modo miglioreper presentarvelo su questo blog.
Abbiamo già detto(e dovremo dirlo ancora più forte adesso che, per quanta fatica cicosterà, l’occasione di una ricostruzione è ben più concreta ea portata di mano) che bisognerebbe ripartire dall’infanzia. Perquanto nei decenni passati l’infanzia è stata misconosciuta, ovveroriconosciuta esclusivamente come luogo commerciale, un’estensioneal ribasso dell’adolescenza, ridare all’infanzia il proprio ruoloe spazio (culturale, sociale, politico) può essere forse il grandeinvestimento per il futuro di questo paese: ricominciare dai bambini. Maper farlo sarebbe utile capire veramente che cos’è l’infanzia; ancheperché a vedere dalle politiche messe in atto a riguardo fino ad ora,si ha l’impressione che non sappiamo affatto di cosa si tratti.
Ma per questo, e per fortuna, c’è la letteratura.
Cosìsarà d’aiuto andarsi a rileggere, per esempio, Tom Sawyer o le PetitNicolas. Oppure affidarsi alla collana «Gli anni in tasca» del piccoloe raffinato editore milanese Topipittori. I racconti qui pubblicati sonospesso un’ottima rappresentazione di quella profonda e complessissimafaccenda che pure ci appare tanto lineare e semplice, e cioè la vitadi un bambino. Certo, occorre essere degli scrittori (e intendiamo veriscrittori, non se ne trovano molti in giro). Si prenda Federica Iacobelli,ad esempio, le bastano dieci righe:
«“Chiamiamolocacca”. Io rispondo così. Mamma si chiede che nome dare al fratelloche nascerà tra poco. E lo chiede anche a me, con la sua voce dolce e lasua pancia che è invisibile però cresce davanti. Che coraggio che ha,la mamma. Come può pensare che io scelga un altro nome se non Caccaper questa cosa o essere o bamboccio che arriva senza che io lo abbiavoluto? Luigi come il nonno? Vincenzo come il compagno dell’asilo dicui mi sono innamorata? Gianni come il poeta delle filastrocche che giàleggo? No no. Cacca mi sembra il nome adatto. Dico sul serio, eh, mica pergiocare: a cinque anni so di che cosa parlo. E non capisco perché mammarida».
[...] La verità è che il rispettoche hanno le arti per l’infanzia non lo ha nessun altro (meno che mai lascienza, la filosofia o la politica). Per il semplice motivo che artistie scrittori è all’infanzia che vorrebbero arrivare; tutti gli altri,in genere, tendono a volersene allontanare. [...] Perché questa idea,l’immagine che questi scrittori riescono ad offrirci del loro passatonon è nostalgica, nessuno di loro nasconde gli enormi problemi checomporta da sempre essere bambini, ma è di fondazione, costituzionale. Ilche dimostra un’altra cosa: chi è veramente ottimista guarda indietro,non avanti.