Storia di un rinoceronte e della sua celebre immagine

Questo articolo si riferisce all'intervento di Giovanna Zoboli al primo Simposio d'Illustrazione, Illustrazione per Wittgenstein. I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo, tenutosi a Sarmede il 10 e 11 dicembre 2016.

[di Giovanna Zoboli]

Che cos'è un libro? Possiamo definire il libro un sistema simbolico. Con questo intendendo un oggetto culturale dotato di significati e realizzato grazie all'uso di codici, ovvero linguaggi, modi di rappresentazione, organizzazione di contenuti, norme, valori e tradizioni culturali. I codici possono essere alfabetici e numerici, ma anche gestuali, motori, iconici, pittorici, architettonici, plastici, musicali. La complessità di questa creazione è dovuta al modo in cui i codici vengono utilizzati e lavorano insieme. Ma non solo: parte di questa sinergia rimane nascosta, implicita, e questo perché non è solo il soggetto a disporla, ma il contesto culturale in cui l'oggetto prende forma. Un libro infatti è il prodotto, oltre che della volontà del suo autore o dei suoi autori, del contesto in cui nasce: la cultura o le culture, il tempo, il momento, il luogo.


Nel libro, in particolare nel libro illustrato, parola e immagine, codice alfabetico e iconico, è noto, sono utilizzate e collaborano al fine della narrazione ovvero della costruzione di una storia. Questo in maniera apparentemente esplicita. Ma in verità nel corso del progetto non si tratta solo di stabilire il modo in cui testo e immagini lavorano insieme con questo obiettivo: per esempio quanto testo, quante immagini, quali pause, quanto spazio bianco, quale ritmo, insomma quale relazione fra le due (uno dei modi fra i più noti è quello suggerito da Sendak: «Quello che le parole tacciono, lo dice l'immagine. Quello che tacciono le immagini, lo dice la parola»).
 In verità, fin dall'inizio di un progetto di libro illustrato intorno alle parole e alle immagini del libro turbinano le influenze di altre parole e di altre immagini, parole e immagini che determinano attivamente la costruzione delle parole e delle immagini del libro. Spesso queste influenze, questo lavoro di interazione è talmente fitto e complesso che percepirne distintamente la dinamica e il peso diventa difficile. È questa la ragione per cui, per esempio, spesso ci capita di sottolineare che il libro illustrato è un lavoro collettivo: non è una frase a effetto. È la verità: difficile alla fine di un progetto dire chi ha portato cosa in un libro. Il modo corrente di pensare tende ad attribuire in toto agli autori il valore dell'opera, ma in effetti in un libro illustrato le cose non sono così semplici. I processi creativi sono collettivi perché nel libro illustrato tutto, parole, immagini, ma anche grafica, stampa eccetera acquistano un valore narrativo in senso proprio. Quindi autori sono davvero anche i tipografi, i grafici e gli editori, oltre allo scrittore e all'illustratore.
 Poco fa ho detto: «parole e immagini determinano attivamente la costruzione delle parole e delle immagini del libro».

Quindi rispetto alle domande poste dagli organizzatori del Simposio c'è già uno scarto: dietro la costruzione di una immagine non solo ci sono le parole, ma ci sono anche altre immagini.
 Vorrei specificare a questo proposito che in tutta questa riflessione avverto la necessità di pensare alle immagini e alle parole come a codici collaborativi, interrelati perché è in questo modo che la nostra mente li impiega per pensare il mondo. Il pensiero si realizza simbolicamente attraverso la compresenza di linguaggi, per esempio attraverso immagini e parole (ma anche attraverso numeri o note, per esempio), cioè attraverso sistemi simbolici che consentono forme e attraverso le forme, modi specifici di organizzazione di significati. Se questo è ciò che avviene nella nostra mente, difficilmente si può pensare di separare il campo d'azione di parole e immagini, tentazione che può avere un senso con finalità di studio, ma che applicata alla realtà, come se questa separazione avesse un riscontro reale, può avere, specificamente nel caso di parola e immagine, conseguenze pericolose e dannose: per esempio il sorgere di un pregiudizio verso le immagini dal punto di vista culturale e cognitivo, attribuendo loro un valore inferiore a quello della parola, fenomeno nel quale noi che lavoriamo con le immagini ci imbattiamo quotidianamente. La conseguenza di questo atteggiamento è, per esempio, una sottovalutazione della funzione e dell'importanza delle immagini nei libri destinati ai bambini, con relativo impoverimento della loro qualità effettiva. Una conseguenza che ha poi ripercussioni sulle esperienze di lettura dei bambini, che si trovano a confrontarsi con libri non all'altezza della loro complessità e qualità di pensiero, abbassando il gradimento dell'esperienza del libro vissuto come uno fra i tanti intrattenimenti e di certo non il più avvincente.


Ma per tornare all'inizio della riflessione: non solo un libro illustrato è un sistema simbolico, lo sono anche una poesia, un dipinto, un'opera lirica, una coreografia, una scultura. Ogni oggetto culturale è il risultato di una commistione di codici, un insieme coerente e organizzato di linguaggi, la cui complessità tuttavia ne rende difficile la descrizione e il funzionamento. Un oggetto culturale può essere esaminato, per esempio, attraverso la lettura analitica della sua forma, oppure attraverso informazioni raccolte sulle intenzioni del suo autore, oppure attraverso il modo in cui storicamente il contesto lo ha determinato. Tutti questi approcci sono validi, per approfondire, conoscere la natura, la funzione, l'importanza di un oggetto culturale.

Mi sono imbattuta recentemente in una storia molto interessante che illumina le dinamiche che sottostanno alla costruzione di una immagine, e quindi fornisce possibili risposte alle domande poste da questo simposio: quali sono, se ci sono, i limiti del linguaggio dell’illustrazione? Qual è il legame tra realtà, parola e immagine? La conoscenza della parola è importante per pensare alla costruzione di un’immagine? Quanto possiamo alterare la realtà nell’atto di raccontarla? Come dire (e illustrare) l’indicibile? Che rapporto c’è tra immagine poetica e realtà, tra cose fattuali ed emozioni?

È una storia abbastanza straordinaria, ma forse non più di tutte le storie che ci sono dietro un'opera d'arte che sia un romanzo, un dipinto, un film eccetera. È la storia del Rinoceronte di Dürer.

Albrecht Dürer, Rhinocerus, 1515, Londra, British Museum.

Come vedete, l'immagine, la celebre xilografia realizzata da Dürer nel 1515, nella parte alta riporta un testo in tedesco, il quale attinge principalmente alla Naturalis Historia di Plinio il Vecchio.

«Il primo maggio 1513 d.C. (sic), il potente re del Portogallo, Manuele di Lisbona, portò dall'India questo essere vivente chiamato rinoceronte. Questa ne costituisce un'accurata rappresentazione. Ha il colore della tartaruga maculata ed è quasi interamente ricoperto da squame spessissime. Ha le dimensioni di un elefante, ma ha gambe più corte ed è quasi invulnerabile. Ha un forte corno appuntito sulla sommità del naso che affila sulle pietre. È l'acerrimo nemico dell'elefante. L'elefante ha paura del rinoceronte, quindi, quando i due si incontrano, il rinoceronte carica con la testa tra le gambe anteriori al fine di squarciare il ventre dell'elefante, che non può difendersi. Il rinoceronte è così ben corazzato che l'elefante non gli può fare alcun danno. Si dice che il rinoceronte sia veloce, impetuoso e astuto.»

Chi era il rinoceronte ritratto da Dürer?
 Nel 1515, alla corte del re del Portogallo, sulla nave Nossa Senhora de Ajuda, giunse un rinoceronte. Aveva navigato per 120 giorni, era stato battezzato Ulisse dai marinai (in seguito in Europa fu noto come Ganda, dal nome indiano della bestia), e veniva dall'India. Lo aveva regalato Muzafar II, sovrano dell’attuale Gujarat nell’India occidentale, al viceré del Portogallo a Goa, Alfonso Albuquerque. Questi, a causa delle difficoltà di mantenimento del grande animale nella piccola colonia, aveva a sua volta deciso di inviarlo al re di Portogallo, Manuele I, per la menagérie (cioè collezione di animali) di Ribeira. Il suo arrivo a Lisbona e nel continente suscitò grande scalpore. Era la prima volta che un esemplare di rinoceronte indiano arrivava nell’Europa moderna. Erano 1000 anni che in Europa non se ne vedeva uno. Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia aveva descritto un animale simile che aveva combattuto negli anfiteatri romani per dilettare il pubblico.

Appena arrivato a Lisbona, il re organizzò uno spettacolo incentrato sullo scontro fra il rinoceronte e uno degli elefanti del suo serraglio. Questo non solo per offrire, come era costume, un divertimento nuovo e stravagante alla corte, ma per testare la veridicità delle fonti classiche, in particolare di Plinio il Vecchio, che aveva descritto, appunto, il rinoceronte e l’elefante come nemici mortali. Lo spettacolo ebbe luogo il 3 giugno 1515 al cospetto di una grande folla e si concluse con la fuga dell'elefante.

Qualche mese dopo il re decise di regalare il rinoceronte al papa Leone X, ovvero Giovanni de' Medici, da cui voleva ottenere il riconoscimento dei diritti portoghesi su alcuni nuovi possedimenti. L'anno prima gli aveva regalato un elefante, Annone, e l'idea era di organizzare un combattimento anche a Roma. Prima della partenza il rinoceronte fu immortalato nei rilievi della Torre di Belém, allora in costruzione sulle rive del Tago per celebrare la scoperta della rotta per l’India.

Torre di Belém, rilievo di rinoceronte, 1515.

Nel gennaio 1516 la nave approdò a Marsiglia e il re di Francia, Francesco I, curioso di vedere il celebre animale, gli fece visita. Una volta ripartita, all’altezza di Porto Venere la nave affondò nel corso di una tempesta. Benché nei testi antichi fosse scritto che il rinoceronte sapesse nuotare, dato che era legato nella stiva della nave, morì annegato. La sua carcassa, ripescata sulla spiaggia di Villafranche-sur-mèr, fu imbalsamata e quindi imbarcata per Roma. Dopo l'arrivo a Roma se ne persero le tracce, forse andò a Firenze, nella collezione naturalistica della famiglia Medici. Prima di ripartire da Roma il rinoceronte fu immortalato da Raffaello e Giovanni da Udine nella Creazione degli animali del Palazzo Apostolico.

Raffaello Sanzio e Giovanni da Udine, Creazione degli animali, 1516, Palazzo Apostolico, Roma.

L'umanista Paolo Giovio, molto interessato alla vicenda di Ulisse, la descrisse in uno scritto. E quando Alessandro de' Medici - volendo esaltare le proprie virtù militari - gli chiese di trovargli una impresa per la sopravveste d'arme col significato di “vincere o morire”, fu al rinoceronte che pensò, associato al motto al moto latino “io non torno indietro senza vincere”. L'impresa piacque molto e fu impressa anche sulla corazza.

Paolo Giovio, impresa per Alessandro de' Medici, in Dialogo dell'impresse militari et amorosi [...]. Venezia, 1557.


Secondo alcuni testi antichi il rinoceronte era simbolo di lentezza nell’ira che, una volta irritata, diventa ferocissima. E volendo descrivere un re potente messo in difficoltà da un avversario più debole lo si poteva riprodurre nell'immagine di un elefante aggredito da un rinoceronte. Il rinoceronte era anche 'geroglifico' di robustezza.

Il 13 luglio 1515, a Roma, venne pubblicato Forma e nature e costumi de lo Rinoceronte stato condotto in Portogallo del Capitanio de larmata del Re e altre cose condutte dalle insule nouamente trouate, poemetto del medico fiorentino Giovanni Giacomo Penni, ennesima testimonianza della rinocerontomania che aveva colpito l'immaginazione degli europei.

Illustrazione di Giovanni Giacomo Penni, 1515.

Non solo Giovio e Penni, infatti, ma tutta Europa fu contagiata dall'entusiasmo per l'apparizione del rinoceronte, al quale furono dedicati racconti, cronache, disegni, sculture. Una di queste testimonianze, una lettera in cui si descriveva il rinoceronte, raggiunse Dürer a Norimberga.
 Era del tipografo Valentin Fernandes (ma in alcuni studi è riportato il nome di Valentin Ferdinand, scrittore e traduttore) che aveva visto il rinoceronte a Lisbona nel giugno 1515 e lo aveva dettagliatamente descritto in una lettera a un amico di Norimberga che a sua volta l'aveva mostrata a Dürer. Nello stesso periodo venne inviata un'altra lettera da un mercante tedesco nella stessa città, con uno schizzo e una descrizione dell'animale, che Dürer ebbe modo di leggere. Senza mai aver visto il rinoceronte, Dürer fece due schizzi a penna e inchiostro; la seconda bozza, in particolare, gli servì per realizzare la famosa xilografia.

L'incisione di Dürer presenta alcuni errori rispetto alla realtà, il più clamoroso è il corno sulla schiena – il rinoceronte indiano ha un solo corno, quello africano ne ha due -, inoltre la pelle sembra un'armatura e le gambe sono coperte di squame. È possibile che in occasione dello scontro con l'elefante fosse stata forgiata un'armatura per l'animale; in alternativa, può darsi che l'«armatura» di Dürer sia un richiamo alle pieghe presenti sulla pelle del rinoceronte indiano oppure semplicemente un'aggiunta di fantasia, o anche un equivoco dovuto all'ambiguità delle fonti.

La presenza del doppio corno è singolare e probabilmente spiegabile col fatto che in alcuni testi latini e greci in cui si parlava di rinoceronti arrivati a Roma come doni ed esibiti in giochi e spettacoli, - per esempio oltre che in Plinio, in Pausania, Dione Cassio, Svetonio, Marziale – i rinoceronti descritti erano africani cioè con due corna. In altri testi, invece il rinoceronte è descritto con un solo corno, cioè la specie indiana, come Ulisse. Nel Rinascimento sorse un dibattito filologico a proposito del numero delle corna del rinoceronte, dibattito che probabilmente arrivò a Dürer e lo influenzò. Ed è questo forse il motivo per cui pur avendo il rinoceronte indiano un solo corno, nella stampa che lo rappresenta ne ha due.

Un'altra incisione a soggetto rinoceronte venne ricavata dalle stesse fonti a cui attinse Dürer dal pittore Hans Burgkmair, amico di Dürer. Burgkmair realizzò un ritratto più preciso della bestia, ma essendo meno noto di Dürer, non godette della popolarità e del successo che incontrò l'incisione di quest'ultimo.

Hans Burgkmair, Rhinoceros, 1515.

L'incisione di Dürer, infatti, nonostante tutte le sue imprecisioni, ebbe uno straordinario successo, e fu presa a modello di moltissime illustrazioni, dipinti e sculture fino al XVIII secolo. Vendette oltre 4000 copie mentre Dürer era in vita. Sebbene diverso da un rinoceronte reale, il rinoceronte di Dürer divenne la realtà per milioni di europei.

Come scrive Neil MacGregor in La storia del mondo in 100 oggetti, l'artista fu geniale nel soddisfare la grande curiosità sorta intorno al rinoceronte, riproducendo in massa la sua immagine grazie alla nuova tecnica della xilografia. Il grande successo della stampa di Dürer si deve a due fatti: da una parte, l'espansione europea attraverso le nuove tecnologie della navigazione (per esempio, già in sé che un rinoceronte arrivasse dall'India era un clamoroso successo). Associata a questa, poi, la volontà di divulgare le notizie dei viaggi e delle scoperte attraverso la tecnologia della stampa. Il secondo fatto è legato al passato: fino a questo momento del rinoceronte i moderni europei avevano sentito parlare solo nei testi classici, greci e latini. L'arrivo di un rinoceronte affermava che non si trattava di un animale fiabesco, immaginario, ma reale. Il rinoceronte era una sorta di Rinascimento zoologico in carne e ossa. La gente interpretò la sua presenza come la prova dell'affidabilità dei testi antichi. La ragione per cui il rinoceronte fece andare in delirio l'Europa era che incarnava la scoperta sia di terre nuove sia dei tempi antichi. Simboleggiava la conquista del futuro e del passato, dello spazio e del tempo.
 L'immagine del rinoceronte di Dürer godette di grande prestigio e in seguito fece da modello a centinaia di altre immagini di rinoceronti sia in ambito naturalistico sia artistico fino al XVIII secolo, quando altri rinoceronti arrivarono in Europa, dove furono esposti in diverse città, e la gente poté osservarli dal vero. Fra questi la celebre Clara, che dall'Olanda giunse a Venezia durante un carnevale e fece da modello a Longhi per il suo celebre ritratto.

Pietro Longhi, Il rinoceronte, 1751, Ca' Rezzonico, Venezia.


La xilografia di Dürer è presente in diversi volumi di storia naturale come la Cosmographiae di Sebastian Münster (1544); Historiae animalium di Conrad Gessner; History of Foure-footed Beastes di Edward Topsell (1607). L'immagine, che riporto è una stampa di Francis Barlow della metà Seicento raffigurante il topos dello scontro fra rinoceronte ed elefante.

Jan Griffier, Francis Barlow y Pierre Tempest, Elefante e rinoceronte (Londres, 1667-1717)

Rijksmuseum, Amsterdam.

Tra i diversi libri in cui venne riprodotto il rinoceronte di Dürer ci fu De varia commensuración para la Esculptura y Architectura, del 1585, stampato a Siviglia da Juan de Arfe, artista e anatomista spagnolo. Una copia di questo libro viaggiò dalla Spagna al Nuovo Mondo, fino alla Nuova Granada, l’attuale Colombia. Sbarcato a Cartagena de las Indias, nel mare dei Caraibi, dopo un breve viaggio a cavallo, salì a bordo di una barca che risalì il corso del Rio Magdalena, sbarcò poi nel cuore delle Ande, e le risalì a dorso di mulo, fino alla città di Tunja, a 2800 metri. Lì entrò a far parte della biblioteca di Juan de Castellanos, esploratore, militare e sacerdote spagnolo la cui casa si trovava dietro la grande piazza principale, sede della cattedrale. Suo vicino di casa divenne, nel 1586, lo scrivano reale Juan de Vargas da poco arrivato dalla Spagna. Nel palazzo che questo si fece costruire, furono dipinti soffitti con motivi floreali, scene di caccia e personaggi mitologici. I soggetti di questi affreschi trassero spunto soprattutto dalle illustrazioni contenute nei libri della biblioteca di Juan de Castellanos, fra le quali, appunto, il rinoceronte di Dürer.

Affreschi, Palazzo di Juan de Vargas, Tunja, Colombia.

La scultura del rinoceronte nell'obelisco di rue Saint-Denis a Parigi, progettato da Jean Goujon nel 1549, era basata sul disegno di Dürer; e una figura di rinoceronte alla Dürer si trova nei portali di bronzo del Duomo di Pisa. Una fra le diverse testimonianze di quanto l'influenza del rinoceronte di Dürer sia ancora viva è la scultura realizzata nel 1956 da Salvador Dalí per la città di Marbella. 
La cosa straordinaria è che l'icona del rinoceronte di Dürer fu assunta come modello persino in paesi esotici, in cui sarebbe stato possibile osservare come erano fatti veri rinoceronti.

Obelisco di rue Saint-Denis, disegno di Jean Goujon, 1549, Parigi.

Umberto Eco, nel suo Trattato di semiotica generale, afferma in proposito che le «scaglie e piastre imbricate» del rinoceronte di Dürer divennero un elemento necessario per raffigurare l'animale, anche per chi conosceva meglio l'anatomia della bestia, visto che «solo quei segni grafici convenzionalizzati possono denotare 'rinoceronte' al destinatario del segno iconico».

32 mila anni fa, nelle grotte di Chauvet, un uomo rappresentò un rinoceronte. La sua immagine mostra due corni al posto giusto, una silhouette e proporzioni perfette. Il rapporto fra uomo e realtà allora era certamente meno mediato dai codici della rappresentazione. Il rapporto fra occhio, mano e modello era diretto, o quantomeno non mediato quanto lo poté essere in pieno Rinascimento, da testi, memorie, racconti del presente e dell'antichità. Per l'uomo primitivo inoltre la riconoscibilità del rinoceronte era questione di vita o di morte. La sua immagine mirava a fornire una sintesi perfetta dei punti salienti del soggetto rappresentato che dovevano risultare corretti e immediatamente riconoscibili.

Duomo di Pisa, portali.

La storia del rinoceronte di Dürer è emblematica perché mostra quante interazioni, quanti eventi reali e quanti racconti su questi eventi, del presente e del passato, confluirono nella creazione di una immagine, e in seguito in che modo questa immagine, diventata essa stessa racconto, a sua volta andò ad alimentare altri racconti, per parole e immagini, realizzati da altri. Si potrebbe dire che l'immagine del rinoceronte sia al centro di una complicata ragnatela di racconti, pronunciati, scritti e disegnati. In questa vicenda emerge in modo chiaro quanto la parola e l'immagine facciano parte del medesimo processo ideativo e creativo, in modo indissolubile. Quanto l'una chiami e si renda necessaria per l'altra, e quanto anche la realtà sia il terzo polo di questo gioco creativo e narrativo.

E allora per tornare alle nostre domande, quali sono, se ci sono, i limiti del linguaggio dell’illustrazione? 
I limiti delle immagini sono legati alla relazione con la cultura e la realtà del proprio tempo: Dürer non vide mai un rinoceronte, filtrò la sua conoscenza attraverso la parola, lettere, testi classici, e schizzi di chi lo aveva osservato. La sua immaginazione interpretò la realtà dell'animale attraverso descrizioni verbali e visive. Potremmo dire che l'immagine del suo rinoceronte, se diede una rappresentazione imprecisa della realtà, centrò in pieno la realtà delle attese del suo secolo: la meraviglia di scoprire esistente e vicina una bestia esotica lontana sia nel tempo sia nello spazio. L'immagine di Dürer fu così potente che durò oltre i secoli, fino a oggi.

Salvador Dalí, Rinoceronte, Marbella.

Qual è il legame tra realtà, parola e immagine?
 La realtà nell'esperienza umana è sempre mediata dai linguaggi che la elaborano, la realtà fornisce ai linguaggi i materiali che verranno elaborati simbolicamente. Nel momento in cui ciò accade la realtà rappresentata diventa essa stessa simbolica. Il rinoceronte, appena sbarcato in Europa, smette di essere solo un animale, diventa immagine di se stesso ma anche di qualcos'altro: entra cioè a fare parte di un sistema simbolico complesso. A costruirlo come tale sono, insieme, parole e immagini, ma anche gli eventi reali che offrono materiale ai racconti. Il linguaggio infatti non si dà senza realtà, ma nello stesso tempo è l'espressione sia della cultura sia del soggetto che lo utilizza. È il punto di incontro fra soggetto, cultura e realtà.

La conoscenza della parola è, quindi, importante per pensare alla costruzione di un’immagine?
 Più che la conoscenza della parola, direi che la sua presenza è inevitabile nella costruzione di una immagine. E questo perché il nostro pensiero è legato alla dimensione simbolica verbale oltre che visiva: il nostro pensiero infatti procede per rappresentazioni nel medesimo tempo verbali e visive. Il rinoceronte appena giunto in Europa diventa subito il racconto del rinoceronte che viene scandito da diversi soggetti in diversi modi, attraverso poesie, schizzi, lettere, emblemi, recupero di testi classici. Non si dà costruzione di una immagine senza parole. Quindi la conoscenza delle parole, sì, è fondamentale per creare immagini.

Grotte di Chauvet.

Quanto possiamo alterare la realtà nell’atto di raccontarla?
 La funzione simbolica del linguaggio inevitabilmente tradisce la realtà, ma come dicevo prima, centra la realtà della cultura umana, delle sue attese. Il rinoceronte di Dürer è interessante perché origina da un racconto, ma nasce con il fine di descrivere la realtà. Alla realtà si avvicina per approssimazione: fornisce agli europei una immagine creata per far loro conoscere una bestia nuova, mai vista prima. Ma questa tensione conoscitiva porta con sé il racconto che l'ha accompagnata e preceduta da cui non può mai essere disgiunta.

Come dire (e illustrare) l’indicibile? Che rapporto c’è tra immagine poetica e realtà, tra cose fattuali ed emozioni? 
Impossibile disgiungerle, come dicevo prima. C'è sempre, anche nella scienza, una tensione poetica, che risiede nella constatazione oggettiva che il linguaggio umano, alfabeti, immagini, numeri, ha sempre una forma, e quindi una estetica che lo governa. Allora vi sono due indicibili. L'indicibile della realtà, che non potrà mai essere resa nella sua oggettività da un linguaggio umano, perché questo è sempre limitato dalla propria soggettività e dalla cultura a cui appartiene. E l'indicibile del linguaggio umano che sta proprio in quello scarto che produce fra sé e la realtà. È la realtà che eccede il linguaggio o il linguaggio che eccede la realtà? Il rinoceronte di Dürer sembra dimostrare che entrambe le ipotesi sono possibili.

Grotte di Chauvet.

Le notizie sulla vicenda del rinoceronte di Dürer sono tratte da: Neil MacGregor, La storia del mondo in 100 oggetti, Adelphi 2012; Luca M. Venturi, Il rinoceronte, storie fantastiche e leggende autentiche, BSI; Maria Agata Pincelli, Gli umanisti e il rinoceronte. Passando per Dürer; voce Rinoceronte (Dürer) di Wikipedia.