La penultima novità autunnale riguarda la nuova uscita della collana di poesia, le Poesie della casetta, di Rita Gamberini, illustrate da Irene Penazzi.
[di Rita Gamberini]
Una poesia non è su qualcosa, una poesia è se stessa. Viene da una zona trascendentale a metà fra la vita quotidiana e l’infinito. La poesia non è tanto “che cosa vuol dire”, ma “che cos’è” o meglio “chi è”.
Trascrivo questi appunti da un vecchio quaderno del 1989. Sono parole di Giovanni Giudici che incontrai nel corso di un laboratorio di tecniche poetiche promosso dal Comune di Modena. Ricordo che intervenni a commentare le sue parole e lui improvvisamente si commosse, un breve pianto, come se avessi toccato la sua intima umanità. Ho fiducia in queste parole ancora oggi.
Ho scritto tanto, pagine e pagine su quaderni, piccoli taccuini, foglietti. Un’esperienza di libertà e solitudine. Raccontini stretti in un paio di fogli e scritti poetici come le nuvole che incombono scure o passano chiare e leggere.
Poi è arrivata “la casetta”, quella dove vivo, ai limiti di un bosco. Ed è arrivato anche Billy, il mio segugio a scuotere il silenzio.
Alla casetta ci si arriva andando piano, se non si vuole finire cappottati in mezzo a un campo, tutta discesa e tutta salita, e un via vai di tutto quello che ha a che fare con il vivere in campagna (prati, boschi, animali, trattori, allevatori, viandanti, rumori, suoni, quiete).
Anche le poesie sono arrivate alla casetta, frutto di un piccolo progetto poetico che mi è stato affidato da Giovanna Zoboli che per me è e sempre resterà la Giò. Lei mi ha suggerito di scrivere e segnalato i laboratori di Silvia Vecchini. Dunque ho scritto qualche raccontino per il blog dei Topipittori, ho partecipato ad alcuni laboratori di scrittura poetica di Silvia e mi sono trovata subito a casa. Tanto che ci ho preso gusto a scrivere delle poesiole, che scorrono ora, raccolte in un libro, come operette danzanti. Così mi appaiono oggi.
Pensandoci su, intravedo in questo piccolo progetto poetico un tratto di me che mi sorprende: l’obbedienza. A chi mi ha chiesto di scrivere ho dato ascolto, mi è stato suggerito un compito e l’ho eseguito, senza metterlo in dubbio, senza farmi domande o lambiccarmi il cervello, testa sul testo ho atteso tutte queste parole che sono arrivate a farmi compagnia. Ho abbandonato l’impazienza e coltivato la pazienza (questo l’ho imparato con Billy), come si coltiva una pianta che non ne vuole sapere di venire su bene, ma a forza di dài e dài, ce la fa.
Ho aspettato, senza forzare, l’obbedienza delle parole alla mia mano. La mano è felice oggi, scrive Mariangela Gualtieri.
La mano è felice oggi.
Un fare niente la riempie
di pace vegetale. Sono come
in attesa. Sono un animale
che ozia, che riposa nella sua buccia
un frutto appeso al ramo
nella maturazione.
Sono un pugno di ghiaia
del vialetto. Una sterpaglia secca
in una attesa indifferente d'acque.
E così pacificata e illesa
ancora incolume alla vita
deposta ogni pretesa, senza dolore oggi
porto il mio colore rosa
come bandiera
niente altro che uno stare quieti
in attesa. Niente altro che questo
qui e ora.
Sono stata “ispirata”? Non credo, penso piuttosto a delle intuizioni, qualcosa di quello che mi circonda, che posso toccare con le mani, gli occhi, le orecchie e con il pensiero, entra in me e comincia il viaggio. È curioso, non ne conosco il percorso né il punto di arrivo, so che quando si ferma mi dico “ecco che siamo arrivati” e scopro quello che non sapevo. Che cosa non sapevo? “…che due e due fanno cinque, il bosco miagola, l’albero trae dal fuoco le castagne, il cielo si liscia la barba…” *
Le Poesie della casetta le lascio alla libera immaginazione di chi le leggerà e ammirerà le illustrazioni di Irene Penazzi, che è riuscita in modo mirabile ad accompagnarle nel loro viaggio. La ringrazio molto, insieme a chi mi ha detto “scrivi, scrivi!”: Giovanna Zoboli, Roberta Sgarbi, Paolo Canton, Silvia Vecchini, Giulia Mirandola e Domenico Memi Campana.
* Muntu la civiltà africana moderna, Janheinz Jahn, Einaudi Reprints, 1975