Un segreto nel risveglio. La traccia di un confine fragile e deciso.

[di Silvia Vecchini]

Una mamma sveglia il suo bambino. Il bambino non vuole saperne di alzarsi, lavarsi e vestirsi per andare a scuola. Dentro il suo letto, inizia a pensare e fantasticare.

È questa la sottile trama di Stavo pensando, testo in versi di Sandol Stoddard e immagini di Ivan Chermayeff pubblicato per la prima volta nel 1960 e ora tradotto in Italia da Topipittori nella traduzione di Bruno Tognolini (di cui trovate una dettagliata descrizione qui).

Una situazione che fa sorridere e che stabilisce subito un’intesa, una complicità divertita tra adulto che legge e bambino che ascolta. I bambini infatti si riconoscono nel protagonista che rimanda il momento di acconsentire alle richieste della mamma e l’adulto si rivede nel proprio ruolo assennato e previdente.

Tuttavia il bambino, che ha sentito la voce della mamma, ci confida “io non ho detto nulla perché stavo pensando”. Qui le strade dell’adulto e del bambino si dividono. Questa frase rivela infatti una differenza, una dimensione celata che l’adulto non conosce e che appartiene solo al bambino. Un adulto attento capisce immediatamente che è invitato a conoscere un segreto.

Cosa succede infatti nella mente del bambino che si sta svegliando? I versi ci portano proprio lì. Inizia un gioco che è quello dei pensieri che si rincorrono, del tempo che, invece di accelerare nella fretta delle cose da fare, rallenta e ci si può perdere a guardare i granelli di polvere danzare nella stanza, nascono immagini dalle associazioni dei colori, dei suoni.

L’inizio del giorno, una mamma, un bambino a letto che sente tutto ma non dice nulla. Questa minima trama mi ha fatto pensare alla bellissima poesia Ottobre di Attilio Bertolucci.

Nei mattini d’ottobre

quando i sogni

di me fanciullo

cominciavano a empirsi di brezza e di voci

(qualcuno aveva aperto una finestra

e se n’era andato lieve)

il treno che passava a quell’ora

non lontano, con la sua criniera di fumo

e i fischi, mi dava un dolce e muto terrore.

Io gli giacevo sotto senza pensieri

con il fragore nelle orecchie,

finché era passato tutto

e la mamma correva verso di me

dall’orizzonte, sudata e fresca

in una vestaglia rosa.

Ero sveglio

e un’ape volava

per l’aria radiosa.

Avrei voluto chiamare e stavo zitto.

Un bambino che tutto ascolta restando zitto nel suo letto. Quello che mi interessa di questo accostamento è il punto di vista che i due testi esprimono. Il bambino sceglie di tenersi per sé questo tempo crepuscolare nel quale segretamente svolgere la propria indagine, la perlustrazione dell’ambiente esteriore (la stanza, quello che succede in casa, fuori casa) e interiore (desideri, sogni, sensazioni).

Nell’albo si ripete molte volte la frase “stavo pensando” come se ogni volta il bambino inanellasse un’immagine all’altra, una suggestione alla seguente. Eppure non è un gioco fine a se stesso, non è solo il godimento dell’elenco buffo e strampalato, il rincorrersi delle rime e delle assonanze, delle immagini sempre più esagerate.

Intanto, tra le tante cose pensate, fa capolino un “stavo pensando a me”, che non è un passaggio trascurabile. E poi, d’un tratto, ecco il centro dei pensieri: “stavo pensando che ti voglio bene… ecco perché non ho potuto mettere le calze. Ecco perché non ho potuto mettere le scarpe. Ecco perché non ho potuto fare i nodi”.

Nella poesia di Bertolucci l’immagine della mamma splende nella nebbia dell’uscita dal sogno, nella luce incerta dell’alba anche un po’ spaventosa per via del rumore del treno e in controluce ci fa capire l’attaccamento del bambino e il suo sollievo nel vederla muoversi nella stanza. 

Quanto sia delicato (e potenzialmente difficile) per i bambini il momento di andare a dormire lo sappiamo bene. Quello che forse non è molto indagato invece è il momento del risveglio. Forse lo si pensa come un fare spontaneo (spesso sono i bambini a svegliare gli adulti), un meccanismo automatico, scontato, obbligato. E se pensiamo che si tratta di un ritorno dal sogno, da uno stato di sospensione di coscienza ci sembra naturale che la prima cosa che i bambini facciano sia cercare la mamma, il papà, l’adulto che vive con loro per rassicurarsi e ritrovare le cose lasciate la sera prima. Diventa perciò ancora più misterioso e affascinante questo sostare nel silenzio, ascoltare la casa e propri pensieri, rimandando il momento del rispondere al richiamo della mamma, del cercare il suo abbraccio.

Eppure è proprio così che a volte accade. Quando scrivo con i bambini o i ragazzi mi capita di proporre piccoli esercizi di scrittura che partono dall’ascolto dell’ambiente e dei propri pensieri prima di andare a dormire o appena svegli.

Per me è molto interessante il fatto che per la loro fortissima valenza simbolica, i passaggi giorno/notte e notte/giorno sono da sempre i momenti privilegiati della preghiera e dell’invocazione in ogni tradizione religiosa. Il passaggio giorno/notte è vissuto come potenzialmente pericoloso e denso di inquietudine e le preghiere esprimono quasi sempre un bisogno di protezione e rifugio. Il passaggio notte/giorno è vissuto come salvezza e rinascita e le preghiere ad esso collegate sono attraversate da benedizione, ringraziamento, richiesta di indirizzo delle proprie opere. Quando scrivo con i bambini non esplicito mai questa riflessione ma spesso emerge spontaneamente da sola e non ci resta che accoglierla insieme a tutto il resto.

Marina Marcolin, immagine per Poesie della notte, del giorno, di ogni cosa intorno, Topipittori (2014).

In queste occasioni di scrittura, utilizzo due miei brevi testi. Il primo viene da Poesie della notte, del giorno, di ogni cosa intorno, illustrato da Marina Marcolin per Topipittori.

Il mio gioco preferito prima

di dormire è fingermi

un sasso in mezzo

al bosco. Essere coperta

di muschio, stare

dentro l’oscurità, stare

nella pancia del lupo

sapendo che nessuno

mi mangerà.

Cristina Pieropan, Marina Marcolin, immagine per Vetro, Fulmìno Edizioni (2016).

Il secondo lo prendo da Vetro, illustrato da Cristina Pieropan per Fulmìno. In questo libro, una ragazzina tratteggia velocemente un suo autoritratto scrivendo le cose che le piacciono.

La domenica mattina mi piace stare a letto finché sento il tintinnare di due tazzine, Papà che prepara il caffè per mamma. Questo dovrebbe restare esattamente così.

Mi piace segnalare qui solo qualche estratto che mostra la fertilità di questa attività segreta, il loro pensare mentre sono a letto, quando gli altri pensano che stiano già/ancora dormendo:

… mi piace far finta di dormire così i miei genitori parlano di cose importanti e io li sento.

… penso a Gesù e ci parlo.

… mi piace piangere senza motivo.

… penso alla Noemi.

(frasi dei bambini della scuola primaria di Lerchi, Città di Castello, con i quali ho scritto nella primavera di quest’anno).

Qualche tempo fa, ho avuto l’occasione di scrivere insieme ai bambini delle classi di Antonella Capetti, insegnante e autrice del saggio A scuola con gli albi, che ebbe poi la cura di riprendere il lavoro di scrittura in classe dando ai bambini un tempo più ampio per continuare a scrivere.

Anche i loro testi evidenziarono tutta una serie di pensieri non solo bizzarri ma profondi, pieni di affetto per le persone a loro vicine o rivolte a chi non era più con loro. Ecco alcuni esempi:

Il mio gioco preferito prima

di dormire è sognare di essere

un cavallo alato di nome Pegaso

*

Il mio gioco preferito prima

di dormire è Flash e

fingo di essere un eroe che corre

per il mondo senza farmi male e

aiutare le persone in pericolo

*

Il mio gioco preferito prima

di dormire è fingermi morta

così non ho più paura.




*

Il mio gioco preferito prima

di dormire è immaginare

mio nonno che si risveglia dalla luce

immaginare che gioco con lui al dottore

a dargli un bacino

e stare tutti i giorni

con lui.

(testi tratti da Io potrei essere tutto, antologia dei testi prodotti dai bambini delle classi terze delle scuole primarie di Carimate-Montesolaro).

Con questo voglio dire che oltre ad essere un bellissimo e divertente albo illustrato, Stavo pensando è profondamente vero perché mostra un frammento della vita interiore dei bambini, un frammento che rimane quasi sempre inaccessibile agli occhi degli adulti. Non solo perché i grandi, di sera come al mattino, vorrebbero accelerare i tempi della messa a letto e quelli del risveglio presi come sono dalle loro cose e dunque distratti, ma perché i bambini stessi questo frammento della loro vita interiore lo tengono nascosto. I bambini utilizzano questi tempi di passaggio tra veglia e sonno e ritorno (gli occhi chiusi, il corpo fermo) per osservarci da un punto di vista privilegiato.

Oltre a essere vero è commovente perché, dopo aver fatto larghi giri e aver esplorato cose impossibili e stravaganti, tornano al centro dei loro pensieri e trovano, ancora una volta, le figure di attaccamento come àncora e conferma. Stavo pensando ricorda che entrare e uscire dalla notte è possibile sapendo chi c’è ad aspettarci e che a volte quando i bambini stanno zitti, vanno lenti e sembrano non aver capito le nostre richieste di sbrigarsi, stanno imparando a conoscersi, a rassicurarsi da soli, a conoscere i propri pensieri, stanno pensando. E probabilmente stanno pensando anche noi ma nel farlo mettono una minima distanza. Quella del silenzio e del segreto. Stabiliscono un primo confine della loro dimensione interiore. Questo limite così fragile (quanto può durare il loro non rispondere, non chiamare, non volerci subito accanto al risveglio?), eppure così deciso e efficace (penso al frontespizio dell’albo dove c’è un bambino nel suo letto che tiene gli occhi chiusi come finestre sbarrate da cui non si può vedere cosa succede dietro la fronte) segna forse anche l’inizio del loro comprendere di essere altro da noi.

Quando ho letto la prima volta Stavo pensando, riflettendo sui minimi movimenti interiori associati al crepuscolo serale e crepuscolo mattutino, nella mia mente è scorso il video della canzone Glósóli del gruppo islandese Sigur Rós (2005). Glósóli è una combinazione di due parole che può essere tradotta come modo infantile di dire “sole splendente”. La canzone racconta di un bambino che, svegliandosi nell'oscurità, teme che il sole sia stato rubato, così va alla sua ricerca, fino a ritrovarlo.

Nel video, tra sonno e veglia, bambini e ragazzi sono in cammino, attraversano un piccolo torrente, una strada, le montagne e il confine tra terra e cielo in un crescendo emozionante.

Sonno e veglia, oscurità e luce, inquietudine e pace. Credo che il luogo misterioso in cui viaggiano i bambini con i loro pensieri mentre si addormentano e si risvegliano, possa davvero assomigliare a questo territorio irrequieto, assolutamente libero, dove sono padroni di spostarsi a piacimento e avventurarsi, alleandosi tra di loro e prendendo forza dalla natura, simbolo di una energia profonda e segreta come il battito del proprio cuore.

Tutto è possibile. Siamo dietro le palpebre dei bambini e non a caso, in queste immagini oniriche, non c’è traccia di adulti.



(traduzione inglese del testo islandese)

Now you are waking up

Everything seems different

I look around

But I see nothing at all

Tie my shoes so

Is she still in her pajamas?

In a dream she was born

I'm startled

But the sun, is it her?

Where is she? In here?

But where are you?...

Go for a walk (I go for a walk)

And roam the streets

Can't see a thing (I can't see a thing)


And so I use the stars

She runs endlessly

And climbs out thus

She's the Glowing Sun

And comes out

I awake from a dream

To find my heart pounding, my hair tousled

Step out in front of the bed and see filthy shoes

And here you are, I'm feeling

And here you are, Glowing Sun

And here you are, Glowing Sun

And here you are, Glowing Sun

And here you are...