[di Giorgia Atzeni]
Sono stata sul blog dei Topi l’ultima volta circa un anno fa quando, prima dell’approdo della DAD sul pianeta scuola, sgambettavo spensierata per gli anditi del Liceo Artistico Musicale Foiso Fois di Cagliari, trainando un trolley pieno di entusiasmo e buoni propositi per il 2020, che – ahinoi! – ha regalato mesi molto impegnativi a tutti i colleghi impiegati nel mondo dell’insegnamento. Un anno, il mio alle superiori, coronato dal primo esame di Maturità dell’era Covid. Tutta esperienza, direte voi. Tutta invidia, rispondo io! Voi non c’eravate! Fra vent’anni non potrete raccontare ai vostri eredi quello a cui ho assistito.
Non si dimentica la sensazione di appartenere a una di quelle commissioni mascherate, igienizzate e ben distanziate di fronte a poveri maturandi smarriti e increduli dopo la prolungata e forzata pausa sociale. È stato uno spettacolo incrociare gli sguardi sgomenti degli studenti in presenza. Ogni loro occhiata ha nascosto un «Oh no, dov’è lo schermo? Qui ci sono i prof dal vivo. Come la mettiamo?». Vi sfido a “essere maturi” con tre mesi di quarantena alle spalle e un colloquio di un’ora su temi di letteratura, architettura, storia, matematica, educazione civica, storia dell’arte e filosofia, partendo da un’immagine tirata a sorte. Tutte le energie spese e le nozioni introdotte e discusse velocemente nei mesi di didattica a distanza sembrano improvvisamente evaporare di fronte all’idea di una prova unica la cui modalità, di brevissima gestazione, rivoluziona quanto è consuetudine.
Sento che i ragazzi hanno bisogno di rassicurazione, perciò per la prova d’esame indosso la mia spilla Mano, quella fatta da un solo filo d’argento continuo. Chissà che la commissione esterna e i colleghi non buttino l’occhio sul mio abito e intuiscano che dietro il rebus figurativo c’è una richiesta d’aiuto: «Siate clementi, prof. Gli studenti questa volta hanno bisogno di una grossa dose di incoraggiamento!». Com’è, come non è, è andata come è andata. Non mi arrendo però. Insisto con il tentativo di superare l’ostacolo del reale con messaggi subliminali. È un vizio, il mio, quello di lanciare segnali di fumo indiretti. Per questo non entro mai in classe senza una bella spilla sulla divisa, sia essa maglione, camicia, giacca, cappotto, t-shirt. Nei miei portagioie c’è sempre un piccolo fermaglio a tema. La mattina apro lo scrigno e scelgo con cura il complemento per non lasciare nulla al caso. Sono tanti.
Ne ho di rosse...
…e di gialle.
È vero, sono una prof vanitosa, ma l’uso dell’accessorio sull’abbigliamento non è per me solo un fatto meramente estetico e decorativo. Tornando nella scuola media inferiore, quest’anno, ritrovo occhi vispi e attenti. Non che i liceali siano tutti in letargo, però quando entri in una prima media sai che per te non c’è scampo: verrai esaminato, scrutato, valutato. La supervisione è a tutto tondo: dalla testa ai piedi. Ai preadolescenti non sfugge niente. Per lavorare con loro bisogna anzitutto entrare in sintonia. Per quanto mi riguarda, gira la ruota. Cambia l’età dell’uditorio, ma non cambiano i presupposti, le modalità, gli approcci. Il dialogo è indispensabile e va instaurato subito, perché la dimensione emotiva è al centro di ogni dinamica affettivo-intellettuale-didattica. L’ascolto è il presupposto essenziale per avviare questa nostra nuova relazione: perché il coro possa intonare bene il suo mottetto bisogna dare il La.
Prendo il mio 'diapason', lo picchio sul tavolo e aspettiamo. In lontananza percepiamo quel suono così lontano e preciso e poi tutti vocalizziamo, ascoltando il compagno vicino, ma anche quello più lontano. Non tutti sono intonati, ma con un po’ di esercizio forse la stonatura più fastidiosa può essere accordata e - perché no? - l’impulso può pure arrivare da un dettaglio, piccolo, per molti insignificante. È compito del direttore d’orchestra esporre il senhal. Poi aspetta, con pazienza, la risposta. Basta aguzzare la vista.
«Eh, prof ma quante spille ha? Un milione?»
«No, 366, una per ogni giorno e una in più!»
Quando entri in classe è difficile tenerli in silenzio. Oltre a quelle anti-Covid, nelle mie classi vige una sola regola: «Sollevare la mano, please!». È tutto un fioccare di braccia lunghe lunghe, che sfiorano il soffitto tanta è la loro voglia di dire ciò che hanno sulla punta della lingua. Le agitano ininterrottamente come bandiere finché non arriva il loro turno. Ecco. Tirano un sospiro di sollievo e vuotano il sacco.
«Devo dirle tre cose, prof! La prima: domani vado via prima perché devo fare il vaccino; la seconda, oggi leggiamo i racconti che abbiamo scritto lunedì? La terza, ma quella spilla è un cane??».
E continuano.
«Ma ha tagliato i capelli?»
«Quelle scarpe sono nuove?»
«Ce lo fa il moonwalk? Con quelle scarpe viene bene!»
All’inizio dell’anno ho detto loro che la mia scelta figurativa giornaliera è un modo per comunicare uno stato d’animo o annunciare un’attività. Navicelle spaziali e marziani per l’ora di antologia, perché loro adorano la letteratura fantascientifica. Per la lezione sulla favola, invece, c’è il set di spille con animali e cactus.
Arcobaleni di varie misure per sorridere anche quando c’è la verifica di grammatica, frutta per invogliare alla merenda ecologica; per la lezione di mito ed epica, infine, l’arpia. Arpia come ogni prof che si rispetti!
A Cagliari splende sempre il sole, ma una mattina il cielo non prometteva niente di buono e, infatti, poco prima dell’ingresso, i ragazzini hanno preso una bella bettada ‘e abba (o scuttullada come si dice a Casteddu) e sono arrivati in classe fradici. Mai avessi indossato una piccola bici sul maglione.
«Eh, oh prof, ha sbagliato tutto oggi. Doveva mettere la nuvola, no oggi ha sbagliato! Ceee te l’immagini la prof in bici oggi, se scivola con questa pioggia la finisce a Pirri!»
«Ma io ho messo la bici perché sono ottimista!»
Parlare con le immagini anche per contrasto ottiene sempre grande successo.
Insomma, se vuoi esser una prof dal look originale ma vuoi mantenere anche un profilo sobrio, la spilla è l’accessorio ideale. S’intravede e incuriosisce. Vedeste come ascoltano e imparano bene a scrivere, c’è da non crederci!
[Ringrazio i Topipittori per l'invito a parlare in modo semi-serio delle mie spille: è stata un'ottima scusa per dare ordine alla mia collezione e ritrovare pezzi sepolti vivi!]