La scorsa settimana abbiamo pubblicato la prima parte di una lunga intervista a Pandemoium Teatro. Ecco la seconda parte. Siamo convinti che chi fa teatro rappresenti per il territorio una risorsa fondamentale. Per questa ragione negli ultimi mesi abbiamo pubblicato su questo tema articoli e interviste, per divulgarne la conoscenza. Ci auguriamo che questi post interessino anche ai nostri lettori, che sulla qualità dell'offerta nella cultura rivolta a bambini e ragazzi mostra una particolare sensibilità. Buona lettura.
Oltre al teatro, un’altra branca della vostra attività sono le letture. Come vengono realizzate e come le proponete?
(Risponde Lisa Ferrari): Premesso che siamo convinti che la lettura ad alta voce fatta da un attore sia uno strumento straordinario per affezionare i minori alla lettura personale, noi realizziamo le nostre letture scegliendo testi non banali - anche poco noti - che presentino aspetti sorprendenti e siano spunti di riflessione. Devono innanzitutto piacere all’attore che li leggerà, non seguire semplicemente delle mode. La modalità in cui le proponiamo - che sia in una biblioteca, una scuola o a teatro - è sempre leggere come se raccontassimo, evocando tutte le immagini e le emozioni che quel testo suscita in noi. Così facendo operiamo un benefico contagio: innamoriamo chi ascolta così come ci siamo innamorati noi.
Lisa Ferrari durante una lettura teatrale.
Infine, c’è l’attività di formazione che si rivolge a bambini, ragazzi e adulti. In cosa consiste e che tipo di attività promuove?
(Risponde Lisa Ferrari): L’attività di formazione è, secondo un’antica formula tutt’ora valida, un imparare giocando. Giocando significa usare la finzione per vivere situazioni di ogni tipo, reali e fantastiche, protetti dalla consapevolezza che, qualsiasi tema si affronti, si tratta sempre di un gioco.
Imparare non significa acquisire nozioni, ma capire chi siamo, come ci muoviamo nel mondo, che cosa proviamo, chi sono gli altri e che relazione comunicativa possiamo avere con questi altri. Tutto ciò può sfociare o no in una performance finale da mostrare a un pubblico, l’importante è che ogni attimo del lavoro non sia vissuto come un essere più o meno bravi, bensì come un mettersi alla prova e, di conseguenza, conoscersi.
Svolgete le vostre attività anche fuori sede?
(Risponde Elena Gatti): Con le produzioni teatrali siamo in tournée in tutta Italia, con alcune di esse abbiamo anche toccato delle piazze estere.
Le letture invece si svolgono principalmente sul territorio lombardo, in biblioteche o presso le scuole; la formazione, rivolta alle scuole ai docenti e al pubblico generico, è concentrata a Bergamo e provincia.
Laboratorio sulla visione all'Accademia Carrara.
Con la scuola avete instaurato un rapporto molto forte. Ce lo potete descrivere?
(Risponde Elena Gatti): La scuola è un referente importantissimo della nostra attività, gli attori conducono laboratori quotidianamente nelle scuole di ogni ordine e grado. Questo rapporto ci fa essere sempre aggiornati sui destinatari. I bambini, gli adolescenti, i giovani e i docenti li conosciamo perché li incontriamo ogni giorno. Sappiamo cosa desiderano, come cambiano le loro abitudini e le loro relazioni. Diventa più facile scrivere drammaturgie e centrare il tema da approfondire se il destinatario è qualcuno che conosci. Anni fa producemmo Bulli e Pupi sul tema del bullismo, sentivamo quanto questo tema era presente tra i ragazzi. Lo spettacolo racconta una piccola vicenda di una vittima ma soprattutto indaga il mondo di quelli che abbiamo chiamato i Pupi, i testimoni silenti, quelli che vedono e non si schierano con la vittima, ma si fanno manovrare dal bullo di turno. Quelli che assomigliano un po’ a tutti noi, quando non reagiamo di fronte alle ingiustizie. Centrammo l’obiettivo e lo spettacolo fu molto richiesto.
Il rapporto con la scuola dalla crisi economica è molto cambiato, si è burocratizzato. Soprattutto con le scuole dell’obbligo oggi è molto più complicato di un tempo, costruire un percorso con gli insegnanti significa rispondere a un bando, riempire scartoffie, non è quasi mai frutto di un dialogo e di una progettazione comune.
Tiziano Manzini in Bulli e Pupi.
Con le scuole Superiori è diverso, esiste una dimensione progettuale più vasta, i laboratori sono quasi sempre svolti il pomeriggio e i ragazzi aderiscono per libera scelta. Molta nostra attività nelle scuole superiori deriva dal progetto Laiv della Fondazione Cariplo: negli anni abbiamo costruito grazie a questo progetto dei rapporti intensi con docenti e scuole superiori che consentono, anche adesso che il progetto si è concluso, di proseguire l’attività. Solo per la stagione 18/19 abbiamo in corso percorsi con una decina di scuole superiori della città e provincia.
Grazie a questi rapporti nell’ultimo anno abbiamo firmato con molte scuole superiori convenzioni per l’alternanza scuola/lavoro. I giovani devono conoscere i mestieri del teatro, spesso sono attratti dal palcoscenico e poi, frequentandoci, scoprono le altre figure: il responsabile di sala, l’ufficio stampa, il responsabile marketing, il fonico e l’illuminotecnico e comprendono che dietro al lavoro dell’attore esiste un mondo da scoprire.
A Bergamo siamo l’unica compagnia teatrale a ospitare nella propria stagione per le scuole produzioni di altre compagnie italiane, i docenti trovano da noi un cartellone vasto caratterizzato anche da linguaggi teatrali diversi. Stiamo progettando dei laboratori di formazione e aggiornamento molto innovativi per docenti e magari avremo modo di riparlarne.
Compagnia Teatro del Buratto. In riva al mare: un gioco teatrale di narrazione partecipata
Che relazione avete con le famiglie?
(Risponde Elena Gatti): Dal nostro pubblico pretendiamo molto, desideriamo e vogliamo sia attento. Siamo consapevoli che per stare bene e sentirsi accolto, il pubblico deve trovare ambienti dove sia piacevole stare. Purtroppo non sempre i luoghi dedicati ai bambini sono anche belli, spesso ci si accontenta perché tanto sono solo bambini. Noi invece ci impegneremo da questa estate a ristrutturare piano piano uno spazio perché diventi piacevole e accogliente, confortevole e invitante, soprattutto per i bambini.
Per pubblico attento intendiamo disposto all’ ascolto. Sempre più spesso a teatro e al cinema si sentono continuamente persone parlare, i bambini chiedono in continuazione e il genitore di turno risponde, quasi a placare un’esigenza di conoscenza e spiegazione immediata. Invece crediamo sia importante imparare i tempi dell’ascolto, quelli della domanda e della risposta, così si può cercare di abbattere la frenesia dell’avere tutto subito.
La relazione con le famiglie va ricostruita; anni fa era normale a Bergamo che tre rassegne per famiglie registrassero il sold out tutte le domeniche. Oggi non è più così - anche se noi abbiamo registrato l’esaurito quasi tutte le domeniche - le proposte per le famiglie si moltiplicano e il teatro non la fa più da padrone.
Aborriamo per i bambini i luoghi affollati, dove regna la confusione e si urla. Non amiamo nemmeno quelle produzioni dove il bambino deve interagire (quasi per forza) con l’attore e il palcoscenico, crediamo siano momenti di animazione dove la forza della narrazione raccontata sparisce e si dissolve. Certo il bambino e con lui il genitore escono esaltati da queste attività da villaggio vacanze, perché si sentono protagonisti, ma quell’emozione attiva che fa scaturire la creatività in queste esperienze sparisce.
Giulia Manzini e Mirko Lanfredini in MioTuoNostro.
Così dopo qualche anno di lavoro al Teatro Auditorium di Loreto e negli altri spazi di rassegne piccole e grandi, abbiamo un pubblico rispettoso, che viene a teatro non solo per passare del tempo, ma per condividere momenti di riflessione e anche divertimento insieme, fra età diverse.
Oggi è difficile proporre degli spettacoli per i bambini dai 6 anni in poi in domenicale. In tutta Italia il teatro ragazzi è diventato una sorta di luogo di intrattenimento per l’infanzia più piccola. La domenica si programmano solo spettacoli per bambini dai 2/3 anni, perché dai 6 anni si va al centro commerciale, al parco giochi, alle bancarelle gastronomiche: a inseguire le abitudini degli adulti. Come se il teatro non fosse posto da frequentare: troppo serio, troppo faticoso.
Ma qualche scommessa in questo senso la stiamo vincendo: abbiamo programmato degli spettacoli serali per bambini dagli 8 anni e non sono andati male; sembra che il nostro pubblico oggi scelga e stia molto attento all’età e forse incomincia a capire che offriamo qualcosa d’altro oltre al semplice svago. Il nostro ultimo progetto si chiama LARGO AI BAMBINI! Culture d’Infanzia perché vogliamo tornare a porre l’attenzione sul diritto all’arte e alla cultura per i bambini.
Ramona Carnevale Rosa Rongone in Con la luna per mano.
Su che supporti istituzionali potete contare?
(Risponde Elena Gatti): Siamo riconosciuti dal Ministero dei Beni e delle attività Culturali e del Turismo come Centro di Produzione Teatrale e dalla Regione Lombardia come Soggetto Convenzionato. Siamo finanziati dalla Fondazione Cariplo, attualmente grazie al bando Buona Gestione.
Abbiamo firmato una Convenzione con il Comune di Bergamo per la gestione e la valorizzazione delle Sale del Centro Civico del quartiere di Loreto e questa ultima amministrazione ci ha assegnati nei tre anni del suo mandato anche un contributo per le nostre attività.
Negli anni abbiamo costruito relazioni con diverse amministrazioni comunali lombarde: prima fra tutte la Città di Cardano al Campo. In questi mesi stiamo elaborando progetti per la conduzione di sale sul tutto il territorio regionale. I Comuni hanno spazi da rinnovare e gestire, negli ultimi anni hanno esternalizzato servizi affidandoli a Cooperative Sociali, oggi alcuni di loro comprendono che anche la Cultura è un valore che va difeso e gestito da professionisti.
Giulia Manzini in Cappuccetti matti.
Com’è cambiata nel tempo la vostra attività?
(Risponde Elena Gatti): Abbiamo una lunga storia alle spalle. Da un nucleo di quattro persone attive soprattutto negli spettacoli di giro, il Pandemonium Teatro è passato a porsi l’obiettivo di incidere anche sul territorio di appartenenza, aprendo rassegne teatrali prima destinate alle scuole e poi anche alle famiglie. E da allora si è sempre lavorato su entrambi i fronti, anche perché all’interno della Compagnia gli organizzatori hanno sempre avuto funzioni importanti, quindi accanto alla produzione artistica, si è sempre dato spazio alla ricerca della relazione con il pubblico.
Per essere vicini ai cambiamenti della società, da dodici anni conduciamo il progetto NoMade nato con l’intento di avvicinare con il teatro giovani provenienti da diversi parti del mondo, e da quattro anni il progetto ReDonna un laboratorio multietnico riservato alle donne che conta ormai oltre 25 partecipanti.
Albino Bignamini in Barbablu. Fiaba horror per bambini e adulti coraggiosi.
Oggi siamo ancora dentro al cambiamento: in estate incominceremo i lavori di adeguamento della sala teatrale e stiamo rinnovando la formazione artistica con l’inserimento di giovani. Le ultime produzioni sono tutte firmate o interpretate da giovani attori e in questo vivaio abbiamo un interessante drammaturgo.
Stiamo elaborando con loro progetti di formazione esterni alla scuola: laboratori pomeridiani e serali per tutte le età. Raccontare Loreto è uno dei percorsi più recenti: partito da pochi mesi il laboratorio ha la finalità di raccogliere le storie del quartiere in cui risiediamo.
Giovani, immigrati, anziani, docenti, studenti: stiamo invitando tutti gli abitanti per raccontare come era il quartiere e come è oggi: come si viveva un tempo paragonandolo al presente, per fare memoria. Siamo curiosi di storie e vorremmo recuperarne tante, per giungere a una rappresentazione teatrale, fra due anni, e rendere visibili a tutta la città percorsi di donne e uomini che qui vivono.
Monica Mattioli in Come sorelle, Compagnia Mattioli.
Quali sono le maggiori difficoltà nel proporre teatro, oggi?
(Risponde Elena Gatti): Non è una risposta semplice, e credo ognuno della Cooperativa potrebbe avere una sua risposta. La mia sta è che avverto nel pubblico un movimento egoico. Per esempio, alcuni partecipanti ai laboratori teatrali chiedono solo una cosa: apparire. Non riescono a trasformare la frequentazione a un laboratorio in partecipazione perché hanno come finalità la propria autoaffermazione o quella dei propri figli.
Mi sembra sia questa l’ostacolo maggiore che permea tutti gli ambiti del nostro lavoro: combattere continuamente contro una forte chiusura, una scarsa adesione alla relazione.
In molti testi si porta avanti l’idea che facilitare la partecipazione attraverso i laboratori teatrali, abitua le persone a consumare teatro: oggi non è vero, i partecipanti vogliono solo rappresentare se stessi e non entrare in relazione con qualcosa. È per questo che nascono gli spettacoli/animazione dove il pubblico è chiamato a interagire, perché colleghi più interessati a fare botteghino seguono le mode del momento, rispondono a una domanda, senza governarla.
Il drago rosso e l’arcobaleno, Compagnia Artisti Associati.
Riporto per questo le parole del giovane collega drammaturgo Lucio Guarinoni che mi sono permessa di estrapolare dalla sua pagina Facebook: «Ci vuole tempo. Ci vuole tempo per stare insieme, per conoscerci, per ascoltarci. È faticoso. È improduttivo. È inefficiente. Ma è tutto. Il mio amico Adama, in Senegal, a Pikine, diceva che si capisce molto di un popolo da come tratta i suoi anziani. Io oggi penso agli anziani e ai bambini, e anche ai migranti, e anche a chi nun c'ha una lira in tasca, a chi ha le cuffiette nelle orecchie e la berretta sulla testa, o le cuffiette nella testa e la berretta sulle orecchie, e penso che una cosa che spesso li accomuna è essere messi da parte in quanto improduttivi, inefficienti - granelli che inceppano il sistema, che lo rallentano, e quindi non valgono la pena di essere nominati, ascoltati, valorizzati. Poi guardo a quelli veloci, a quelli efficienti, a quelli del tutto subito, e mi rendo conto che siamo proprio al limite. Facce stanche, tirate, facce di gomma, facce che non si fidano di se stesse. Penso che siamo al limite. Penso che dobbiamo ripartire da un senso di comunità che ha bisogno di tempo. Penso al teatro, a come io vivo e concepisco e pratico il teatro, così come qualcuno me l'ha fortunatamente insegnato, e mi chiedo che senso ha il teatro se non è uno spazio politico di rivoluzione e rallentamento, di creazione di comunità, di attraversamenti reciproci. Mi chiedo che senso ha se non butta giù dei muri con la calma del delirio insensato e insieme, con la forza del sapersi ritrovare simili ad altri. Penso che abbiamo una grande responsabilità, collettiva, umana, penso che dobbiamo decostruire, riscoprire, dare spazio ai lenti di questo mondo, ai granelli, alle loro storie, al loro tempo. Altrimenti, siamo persi.»
La mucca e l'uccellino, con Lisa Ferrari e Giulia Manzini.
E in generale che ostacoli si devono superare per gestire un’impresa culturale?
(Risponde Elena Gatti): Quanti di noi negli ultimi anni hanno sentito dire: i giovani devono studiare soprattutto materie scientifiche perché l’Italia ha un ritardo in questo campo? Se frequenti Economia, Ingegneria, Matematica trovi lavoro, perdi tempo se frequenti lettere o filosofia. Forse è vero, ma è altrettanto vero che l’Italia è il paese che detiene il 50% del patrimonio artistico e culturale del mondo. Forse un investimento maggiore in ambito culturale andrebbe fatto perché tutto questo patrimonio non vada perso. Forse è giunto il momento in cui scienza, ingegneria, economia, matematica, informatica, digitalizzazione si mettano al servizio di questo patrimonio. Negli anni abbiamo sentito parlare delle capacità turistiche del nostro Paese e di come queste dovessero sposarsi con le proposte culturali, ma quanti progetti davvero sono stati finanziati in questo senso?
Tullio De Mauro lamentava negli ultimi anni della sua vita l’analfabetismo funzionale di cui soffrono molti italiani. L’analfabetismo causa problemi sociali ed economici gravissimi. Non sarebbe ora di mettere la Cultura al centro del dibattito?
Rassegna «Vediamoci in cortile, a Loreto»: Closciart... ovvero l'Arte divivere in strada, Compagnia Teatrale Eccentrici Dadarò.
In una recente pubblicazione di una giovane studiosa bergamasca, Valentina Dolciotti, dedicato al tema del Diversity Manager, si evince - in alcune interviste a manager italiani di alto livello - l’interesse verso profili di giovani con studi umanitari perché quelli usciti dalle Università con 110 lode in Economia o in altre materie tecniche hanno una preparazione troppo rigida, già incanalata verso modi di pensare preconfezionati, poco capace di adeguarsi al cambiamento indispensabile oggi per superare i tempi ancora presenti della crisi. Invece gli studi umanitari abituano a pensare, a essere più innovativi.
Gli ostacoli maggiori sono dati dalla scarsità degli investimenti, dall’incapacità di pensare la cultura come investimento a lungo termine, a creare posti di lavoro veri e autentici in ambito culturale.
Abituare le bambine e i bambini a frequentare i luoghi della Cultura, donare loro spazi e luoghi adeguati vuol dire investire sulle nuove generazioni, ma questo succede poco in Italia e non è sicuramente all’ordine del giorno. Oggi poi i bambini sono diventati la minoranza della popolazione, siamo un paese di anziani e quindi i servizi saranno sempre più spostati verso le generazioni adulte e i bambini saranno meno considerati.
NdR: Le immagini di questo post si riferiscono a iniziative o spettacoli promossi da Pandemonium Teatro. I titoli degli spettacoli senza indicazione di compagnia teatrale sono produzioni di Pandemonium Teatro.
Rassegna «Vediamoci in cortile, a Loreto»: Zitto Zitto, di e con Claudio Cremonesi.