[di Elena Iodice]
“La fine dura quanto l’inizio
Perché quando finisce la fine, inizia l’inizio.”
Beatrice, 7 anni
C’è un movimento che in pochi notano, gli ultimi giorni del Festival Tuttestorie. Quando le cose, bene o male, sono avviate, mentre gli ultimi appuntamenti si accingono a concludersi, un fermento comincia a diffondersi sommessamente a margine degli eventi.
È in quel momento, quando il Festival finisce che il nuovo Festival inizia. Nei discorsi sussurrati a pranzo, negli sguardi complici sui gradini del piazzale, nei “si potrebbe” accennati, quasi di nascosto.
È stato durante gli ultimi istanti del 18° Festival che ha preso vita la nuova edizione appena conclusa. Il tema bisbigliato era uno di quelli che fa tremare le ginocchia ancora prima di partire:
“La Fine. Anzi, le Fini, che per i bambini esistono e fluiscono, coi loro Frattempi (quelli in cui ci si chiede “e adesso?”) e i loro nuovi Inizi: tante, gioiose o tristi, dannose o feconde, importanti" (dalla Pasta Madre del Festival, Bruno Tognolini, Nicoletta Gramantieri e Manela Fiori).
Locandina del 19° Festival Tuttestorie disegnata da Ignazio Fulghesu
Negli spazi nudi della Sala Puà, lo spazio in cui tradizionalmente prendono forma gli allestimenti del Festival, io e Manuela abbiamo cominciato a ragionare su quale potesse essere il modo di tradurre visivamente questo movimento circolare di un qualcosa che inizia e poi finisce ma per riniziare ancora, di nuovo, e finire ancora e così via fino alla fine che poi nient’altro è che un nuovo inizio.
Ancora più che negli anni precedenti, sentivamo, con grande chiarezza, che non avrebbe potuto essere qualcosa di dato, di preconfezionato, da ammirare stando ritti a debita distanza. Volevamo che appartenesse a quella grande comunità che fa il Festival, ai bambini, alle maestre, alle famiglie, agli ospiti e anche a noi che del Festival occupiamo l’altra sponda. Perché tutti siamo intrappolati in quella linea sinuosa che lega l’inizio e la fine.
Tra le moltissime parole di quelle prime telefonate riesco a isolarne una che tornava con insistenza anche quando il progetto non era, ancora, molto chiaro: in-finito.
Tutte le suggestioni, gli embrioni di idee, i rozzi tentativi di tracciare un percorso riportavano lì, a quella parola chiusa, definitiva –finito- a cui il prefisso -in- restituiva respiro e ampiezza.
Ma come poteva essere un allestimento in-finito? Esisteva un modo in cui ciascuno potesse partecipare, lasciando il discorso aperto, una sospensione gravida di nuovi inizi, fili penzolanti a cui altri avrebbero potuto appendersi per continuare il racconto?Come al solito, la suggestione è arrivata all’improvviso.
Un’immagine tratta da Draftsmen’s Congress: Life Zone - Life Point, un’installazione di Pawel Althamer per la 7a Biennale di Berlino nel 2012. Non una esposizione nel senso tradizionale ma una stanza vuota, completamente bianca, bianchi i pavimenti, bianche le pareti. Grandi fogli di calce pronti ad accogliere i segni di ciascuno: parole, svolazzi, disegni o scarabocchi, gli uni intrecciati agli altri in un’infinita sovrapposizione geologica di presenze.
Draftsmen’s Congress: Life Zone - Life Point, un’installazione di Pawel Althamer per la 7a Biennale di Berlino nel 2012, foto dal web
Il dialogo tra me e Manuela si è, a quel punto, aperto a Bruno Tognolini che, con le sue parole, ha cucito uno ad uno quei pensieri nebulosi dando ad essi una forma reale, prendendo per mano, come in una grande girotondo, Piumini e Borges.
Il grande imperatore Kubilai Kahn aveva un figlio bambino afflitto da un’arcana malattia, che gli vietava di esporsi alla luce del giorno, pena la morte. Il bambino viveva dunque recluso nell’immensa reggia paterna, al centro della capitale dell’Impero, e mai si partiva da lì.
L’Imperatore si tormentava al pensiero che il Principino figlio non potesse percorrere lo sconfinato impero, per conoscerlo e farne buon governo quando sarebbe venuto il tempo.
Un giorno dunque comandò di edificare nel giardino della reggia un’Aula in calce bianca così immensa, che se ne vedeva l’Inizio ma non la Fine. Quindi chiamò alla Reggia il vecchio Pittore di Corte e gli ordinò di disegnare con la massima precisione, sul suolo e sulle pareti di quell’Aula, tutte le strade e le contrade dell’Impero.
Il vecchio Pittore sapeva che l’Impero era infinito, e che del pari infinito sarebbe stato il disegno. Convocò allora i molti discepoli che nei suoi anni aveva educato all’arte, e insieme a loro tutti i sudditi che abitavano l’Impero, grandi e bambini; e diede compito a questa immensa folla di disegnare sul suolo e sui muri di quell’Aula immensa le strade e le contrade che abitavano..
Qui, se volete, il racconto completo dalla voce di Bruno Tognolini.
“E se rivestissimo le pareti e i pavimenti della Sala Puà di bianco e invitassimo tutti quelli che passeranno per il Festival a unirsi al disegno del mondo?”
“Non sarà troppo grande?”
“E se poi resta troppo vuota?”
“E se poi si riempie troppo?”
“E se la carta si spezza?”
“E se qualcuno arriva dicendo -IO NON SO DISEGNARE-?”
“E come facciamo a camminarci sopra senza sporcarla?”
Quello che apparentemente poteva sembrare un progetto facile (una stanza vuota) stava, via via, trascinandoci in una spirale di dubbi e perplessità. Da architetto lo so, più si toglie e più il rigore deve farsi serrato. Contrariamente a quanto si possa pensare, una stanza vuota non rende il tutto più semplice.
La Sala Puà con le pareti e il pavimento rivestiti di bianco
Sarebbe stato rischioso, non avevamo sponde né via di uscita alternative. Se avessimo deciso di continuare lungo quella strada, difficilmente si sarebbe potuto tornare indietro.
Il pericolo più grande era l’anarchia a cui quello spazio poteva essere consegnato. E allora servivano regole.
Come nel racconto di Bruno, ogni disegnatore avrebbe dovuto iniziare dove finiva il disegno dell’altro: aggiungere dettagli, riempire gli spazi vuoti, sovrapporre tratti a tratti. Serviva un tempo scandito da un gong: ogni inizio doveva risuonare cosi come ogni fine. Doveva esserci un tempo di osservazione perché ogni tratto trovasse il suo posto nell’infinito disegno del mondo.
I passaggi tra l’inizio e la fine cominciavano a profilarsi come i momenti più importanti. Chi fosse entrato in quella sala doveva davvero credere di poter partecipare alla costruzione di un mondo. E allora ecco un corridoio, filtro tra il dentro e il fuori. E poi uno spazio sul retro dove indossare dei soprascarpe bianchi, funzionali per impedire che il grande disegno potesse sporcarsi di terra e di pioggia.
Durante la formazione con le volontarie che hanno gestito per tutta la durata del Festival quello spazio, ho insistito perché ogni azione, anche la più banale come quella di indossare un paio di soprascarpe, potesse diventare un brano del racconto.
“Quando si parte per un viaggio si ha bisogno di un equipaggiamento speciale che impedisca ai nostri piedi di schiacciare fiori, far crollare tetti o ponti, arrampicarsi su monti senza provocare frane”.
Le soprascarpe, accessorio indispensabile per camminare nel mondo disegnato, ph. Laura Farneti
Ho chiesto loro di prendere per mano chi fosse entrato perché l’intenzione di ogni gesto, la sua finalità, fosse reale. “Stiamo davvero costruendo un mondo, non stancatevi di ripeterlo agli altri ma soprattutto a voi stesse. Giocate, divertitevi perché l’Arte è un gioco serio”.
E per farlo non serve saper disegnare. Ogni traccia, ogni segno racconta qualcosa di noi se lo pensiamo con intenzione. Solo le cose stupide sono bandite perché, come diceva Louise Bourgeois, queste restano.
Il là, seguendo la traccia del racconto di Bruno, lo avrebbero dato i Maestri Illustratori. Gli ospiti e amici del Festival, quelli che col disegno si raccontano quotidianamente, avrebbero inaugurato la Kermesse il primo giorno. Arrampicati su pedane mobili per raggiungere gli spazi alti, fuori dalla portata delle mani bambine, al primo dei molti gong che avrebbero poi risuonato in quell’aula, hanno tracciato i segni iniziali.
Maestri Illustratori tracciano i primi segni, ph. Daniela Cimino
I Maestri Illustratori al lavoro, ph. Laura Farneti
I Maestri Illustratori al lavoro, ph. Daniela Cimino
I Maestri Illustratori al lavoro, ph. Laura Farneti
I Maestri Illustratori al lavoro, ph Laura Farneti
Non ho molte foto di quel momento: mi aggiravo per la sala guardando i gesti lenti, solenni degli amici ospiti. Poi di nuovo un gong: le mani si alzano, si fermano, lasciando i disegni sospesi pendere verso il basso, fili di una trama pronti per essere raccolti dalla folla radunatasi all’interno. Nonostante il grande numero, regnava una concentrazione sacra.
Il pubblico durante la performance dei Maestri Illustratori, ph. Laura Farneti
Suona il gong, di nuovo, ed ora è tempo, per tutti, di continuare il disegno.
Bambini e famiglie si uniscono al disegno, ph. Laura Farneti
Agli illustratori si uniscono prima le bambine i bambini: sembrano rami di uno stesso albero, alcuni sono disposti proprio a grappolo attorno ai Maestri Pittori.
I bambini continuano i disegni degli illustratori, ph. Laura Farneti
Qualcuno di questi inizia a giocare, muovendosi nello spazio, subito seguito come il pifferaio di Hamelin, da gruppetti di bambini curiosi: dissemina disegni qui e là che subito vengono ripresi, completati, intrecciati ad altri segni.
Gli illustratori e tutti al lavoro! ph. Laura Farneti
I bambini completano i disegni, ph. Laura Farneti
Si va avanti così per altre due sessioni per dare spazio e tempo a tutte le persone in fila appena fuori i confini dell’impero.
La folla "fuori dai confini dell'impero", nella piazza dell'Exma, ph, Laura Farneti
Alla fine della performance, lo spazio si è riempito di tracce. Nella tranquillità recuperata della sala vuota, qualcuno solleva dubbi: “Se vanno avanti così, domani sarà tutto pieno!”.
I disegni al termine dell'inaugurazione
I disegni al termine dell'inaugurazione
Sappiamo di non avere risposte, in realtà nessuno può prevedere fino in fondo cosa accadrà. Ci procuriamo altro materiale, nel caso fosse necessario coprire tutto e ripartire. Non lo vorremmo ma potrebbe essere necessario. Stiamo navigando a vista.
Decidiamo di guidare in modo sottile l’azione: la mattina dopo le volontarie “vestali del tempio” come le ha chiamate Bruno, fanno gruppo attorno a me. Cerchiamo una strategia che possa aiutare a dirigere i momenti. Neppure io ho risposte certe da offrire ma partiamo osservando i muri. Sono loro a darci indicazioni, disse una volta Maria Lai; è l’opera stessa che ci suggerisce come proseguire. Decidiamo di fidarci.
I volontari all'interno della sala
“Diciamo che possono aggiungere dettagli!”.
E così la mattina procede, in un susseguirsi di scuole e di ospiti curiosi. Poi, il pomeriggio, le famiglie e gli amici. Ogni tanto uno degli ospiti-illustratori rientra, controlla, aggiunge, completa. Noi non chiediamo più nulla, è un moto naturale, un prendersi cura di una creatura multiforme che appartiene davvero a tutti.
Ogni giorno inizia con un’osservazione attenta: cosa è stato fatto, quali gli spazi troppo densi e quali invece ancora capaci di accogliere. Le volontarie fanno ormai parte di quello spazio, lo dominano come se vi appartenessero da sempre. Mi intrufolo, inattesa, durante l’azione, e le osservo muoversi. Sono diventate davvero le sacerdotesse di quel regno e vi guidano chi entra con maestria e leggerezza. Correggono il tiro, aggiustano le inevitabili storture, sostengono gli indecisi e portano tutti prima di tutto ad osservare. Al loro fianco, i bambini si muovono, in bilico su quei segni sinuosi. Qualcuno balla lungo i cerchi che compaiono sul pavimento. Il corpo e il suo movimento diventano parte integrante di quell’azione: la mano è solo l’ultimo strumento che trasmette alla carta qualcosa che appartiene, invece, a tutto il corpo.
I volontari accompagnano chi si unisce al disegno
Sessione di disegno, ph. Laura Farneti
Nei cinque giorni di performance, centinaia di persone hanno varcato quella soglia, lasciando la propria traccia. I segni hanno saturato lo spazio creando pieni densissimi, neri di inchiostro, e altri spazi in cui il bianco e il suo silenzio riportano il respiro. Qualcuno disegna gatti nella cui pancia si intravedono i piccoli mondi imprigionati al di sotto. Ci sono creature, case, colline, strade, animali, stelle e pianeti.
Stratificazione di segni
Mi rifugio spesso nella sala, nei suoi momenti di chiusura, e mi fermo a guardare, seduta a terra, scalza. È impossibile cogliere con un solo sguardo la vastità del disegno, ogni volta mi salta all’occhio un particolare che non avevo notato. I disegni degli illustratori restano sottotraccia a strutturare lo spazio, scheletro del corpo che si è formato via via, organismo vivo che sembra davvero respirare.
Backstage: i momenti liberi servono per mettere a fuoco i pensieri
Un disegno infinito del mondo
Camminando nel mondo disegnato
L’ultimo giorno, osservo le famiglie entrate nella sala, sdraiarsi tra i segni, acciambellarsi, disporsi a stella sul pavimento e mi torna in mente l’immagine del bambino dell’imperatore addormentato in una nicchia dipinta. È successo davvero.
Il corpo cerca il suo spazio nel disegno del Mondo
I papà prendono in spalle i figli perché arrivino nei luoghi più remoti: gli illustratori disegnano sul bordo a terra, ai confini dell’impero, infilando i propri disegni tra quelli delle molte persone transitate qui, in quel tempo compreso tra l’inizio e la fine.
Il disegno è frutto di relazione
Suona il gong, l’ultimo.
I gong di Catia Castagna che hanno suonato gli inizi e le fini, ph. Laura Farneti
La folla si sposta fuori, è ora che Catia Castagna riporti i segni e tutto il racconto nella piazza centrale, nello spettacolo finale che ancora un bambino che cresce ha come protagonista.
Sembra la fine, ma.. Ma un’idea ballerina, partorita di notte, smuove di nuovo il copione. A festival ufficialmente finito, Mattia, il direttore tecnico che ogni desiderio esaudisce, riesce a portare una cassa dentro la sala Puà. Entriamo tutti, ci si nasconde, è un regalo per Manù che, in segreto, aveva confessato di voler ballare lungo le tracce di quel disegno infinito.
Parte la musica, si balla, si ride, ci si abbraccia. Il mondo disegnato nei cinque giorni di Festival è vivo. Estraggo dalle mie tasche un cutter: distruggo lentamente, tagliandola in lunghi nastri, la nostra creatura, quella nata dai dubbi fumosi delle prime chiacchierate, formata dalle parole di Bruno e resa viva dai segni dei molti che l’hanno cresciuta.
A me il compito di tagliare e distribuire pezzi di disegni, ph. Laura Farneti
Il primo taglio dà i brividi: “poco importa che l’opera vada distrutta- diceva Mirò- l’importante è che abbia seminato i suoi semi nel mondo”. È il gesto potentissimo del disfare che non è distruggere ma ridistribuire, permettere che, alla fine, tutto quel lavoro non vada disperso. E allora quei buchi alle pareti sono presenze, aloni di luce di qualcosa che c’è stato e che, comunque, resta.
Nastri tagliati dal grande disegno del mondo
Assenze-presenze
La sala ritorna al silenzio
Pezzi di mondo partiti per chissàdove
Appoggio una stola disegnata sulle spalle di Manù: Laura, la fotografa del Festival ci immortala così, lei dietro e io davanti, avvolte in un pezzo di quel mondo che abbiamo insieme immaginato e che è cresciuto piano piano, passando di mano in mano, un segno dopo l’altro nei giorni di Festival appena conclusi.
Io e Manuela durante il ballo liberatorio dell'ultima sera, ph. Laura Farneti
Una fine bella così nessuno avrebbe potuto immaginarla. È davvero un finale felice come quello di molte storie. Ma laggiù, in fondo alla sala, se si guarda bene, qualcuno sta bisbigliando... “L’anno prossimo..”
E adesso?
La Sala Puà il giorno dopo...e adesso?
IN OGNI FINE UN NUOVO INIZIO
Maratona per un Disegno Infinito del Mondo
Opera collettiva di tutte e tutti coloro che vorranno lasciare un segno
Ideazione Elena Iodice e Manuela Fiori su una cornice narrativa di Bruno Tognolini che intreccia Piumini e Borges.
Prime tracce ad opera di Francesca Amat, Giorgia Atzeni, Riccardo Atzeni, Maria Chiara Aresti, Alice Coppini, Riccardo Cusimano, Chiara Foddis, Ignazio Fulghesu, Gud, Evelise Obinu, Sergio Olivotti, Mario Onnis, Simone Perra, Eva Rasano, Carol Rollo, Arianna Tamburini, Tassi, Veronica Truttero, Pia Valentinis, Bruno Zocca.
TIME LAPSE DELL’INTERA PERFORMANCE
(grazie a Massimo Gasole, Antonello Murgia e Mattia Mulas)