[di Silvia Vecchini]
Mi piace andare al centro delle cose
strappare un primo morso
avere il tempo di fare un passo indietro,
masticare la polpa con lentezza
lasciando che sbocci in me come le rose.
In questi giorni, mentre tornavo di tanto in tanto a sfogliare il libro dal titolo Tu sei qui, mi è venuta in mente questa poesia scritta ormai qualche anno fa.
Leggendo i libri illustrati dalle immagini di Joanna Concejo ho avuto spesso la sensazione di essere trasportata al cuore delle cose sottili, un centro con un'alta densità di mistero che agisce come un'interrogazione, una richiesta di ascolto e connessione. Che mi fa avvicinare, poi allontanare e attendere che qualcosa sbocci anche in me, che si dispieghi e fiorisca il significato che ho incontrato.
Mi è successo anche con questo ultimo albo edito da Topipittori e da pochi giorni in libreria.
Il libro di Laëtitia Bourget è breve, dilatato, le parole cadono sulla pagina come in mezzo a un largo silenzio contemplativo. È stampato su carta da lucido e questa particolarità non è soltanto segno della ricercatezza di un oggetto davvero prezioso, ma la forma esatta per raccontare l'esperienza del ricordo, la fuggevolezza del tempo e insieme la presenza del passato.
È ciò che si prova nello sfogliare questo libro, nel passare da pagina a pagina, sperimentare la sovrapposizione delle figure, la parziale trasparenza dei fogli, passare attraverso lo svelamento e poi il nascondimento dei volti, degli elementi naturali, degli oggetti, incontrare le parole centellinate, trapassare le pagine, la loro consistenza che sembra farsi contemporaneamente più spessa e più lieve, come passato che si accumula e futuro che si assottiglia.
Sembra di sentire risuonare la prole di Agostino d'Ippona sul tempo: «Come si assottiglia e si consuma il futuro che ancora non esiste? Come cresce il passato che non c’è più, se non perché nell’anima ci sono tutte e tre le cose (presente, passato e futuro)? Essa infatti attende, porge attenzione e ricordo di modo che ciò che aspetta diviene prima oggetto dell’attenzione e poi memoria [...] Un fatto è ora limpido e chiaro: né futuro né passato esistono. È inesatto dire che i tempi sono tre: passato, presente e futuro. Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro.»
Questo intenso albo riesce a parlare, in modo intimo e insieme universale, di memoria, di chi non c'è più eppure è qui.
Chi guardiamo mentre guardiamo i volti e le figure di Joanna Concejo? Quale tempo attraversiamo guardando la trasparenza della pagina? A quale esperienza si accede sfogliando questo albo? Che cosa raggiungiamo? Chi sfioriamo e ritroviamo per un attimo? E come è possibile?
Grazie all'anima che tiene insieme le dimensioni del tempo, le connette, le fa dialogare, e a volte le sovrappone mentre qualcosa sembra trapassarle, come ago e filo. Per un lungo attimo, per tutto il tempo della lettura, ognuna di queste dimensioni è davanti ai nostri occhi: il passato, il presente, il futuro.
Le immagini di apertura caratterizzate dal verde degli alberi mi hanno fatto ricordare una poesia di Chandra Candiani, un testo della bellissima raccolta Bevendo il tè con i morti, pubblicata da Interlinea.
... Cammino tra esseri verdi
che sanno parlare con l’alto
spezzando nomi
come segnali di pane
a richiamo a richiamo.
Nascondetevi spine
nel palmo della mano
fino alla carne viva
della memoria senza volti.
Un gesto frana
voli nascosti nel cappotto,
fischia il silenzio
mi avverte,
del corpo.
In prestito,
in volo.
Quante volte, davanti a una presenza verde, al vento che passa tra i rami di chi sa "parlare con l'alto" abbiamo avvertito un nome? Quante volte siamo stati visitati da un ricordo e dalla certezza di avere accanto qualcuno, di poter dire "Tu sei qui"? E quante volte abbiamo avuto in dono l'avvertimento del corpo "in prestito/ in volo"?
Questo albo sembra portarci all'aperto, allo scoperto della memoria "spezzando i nomi/ come segnali di pane/ a richiamo a richiamo". Ciascuno i propri. Eccoli che arrivano, con i loro volti, con i loro gesti precisi, la loro postura, i loro piccoli oggetti, lo sguardo, le premure. La certezza di averli con noi, il nutrirci ancora della loro presenza, il dimenticarli e il ritrovarli continuamente.
Christian Bobin, nel suo libro Abitare poeticamente il mondo edito da AnimaMundi, parla di poesia e contemplazione, una parola presente anche in questo albo: «Gli istanti di contemplazione sono istanti di grande tregua per il mondo, poiché è in questi istanti che il reale non ha più paura di raggiungerci. Non c'è più nulla di rumoroso nei nostri cuori o nelle nostre teste. Le cose, gli animali, i fantasmi sono molto reali, tutto ciò che è nell'ordine del vivente si avvicina a noi e viene a trovare il suo nome, viene a mendicare il suo nome.»
Ecco, nell'accostarsi a questo libro si può fare questa esperienza di tregua, una tregua che consente al reale, anche al reale dei fantasmi, al reale del ricordo, al presente del passato, di raggiungerci e mendicare da noi il suo nome.
Come ci riescono Laëtitia Bourget e Joanna Concejo? Laëtitia Bourget lo fa con lo spazio tra parola e parola, Joanna Concejo con la sua composizione che alterna pieni e vuoti in un ritmo che lascia un varco in cui possiamo passare. È il modo della poesia. Capirete la mia contentezza nel trovare nell'ultima raccolta di Vivian Lamarque L'amore da vecchia appena uscito per Lo Specchio, questo bellissimo testo. Qui la carta da ricalco, la carta da lucido, è la superficie perfetta per esercitare la cura della poesia, la sua attenzione perché niente del disegno della vita vada perduto.
Carta da ricalco
Sul vetro terso della finestra con carta-ricalco
e affilata matita di ricalcare lei tenta della vita
ogni singolo giorno non manchi un’alba all’appello
né un mezzogiorno.
Ben tesa la carta? Combaciano disegno
e contorno? Oh, che non manchi quel minuto
quell’ora, che non ne manchi nessuna, che nel ricalco
non si sposti la luna.
Che non si perda neppure lo spuntare del tram
da lontano, quel volo da quel ramo a quel
ramo, con le dita conto e riconto che non si perda
un secondo del mondo.
E con l’udito ricalca pompieri ambulanze sirene
e del merlo il fischiare e di Guappo giù in strada
l’educato sottovoce abbaiare
e il sottile righìo che sul vetro fa la matita
il dolce rumore, caro Sandro Penna, della vita.
Anche Joanna guarda attraverso una finestra interiore, fa guardare anche noi, ci appoggiamo insieme a lei al vetro, possiamo appoggiare anche il nostro foglio da ricalco e tracciare di nuovo un volto, stare attenti che non si sposti la luna, che non manchi niente.
Chi almeno una volta ha fatto questa operazione con la propria matita, su un foglio di carta da lucido, di carta da ricalco, sa che serve che fuori sia chiaro.
È la poesia la luce che attraversa passato, presente e futuro, ce li mostra insieme, sovrapposti, li trapassa come ago e filo e per un attimo, per tutto il tempo della lettura di questo albo, li cuce insieme.
Per questo Tu sei qui non è un congedo ma il moltiplicarsi della vita, ricalcata per non perderla, osservata alla luce di una tregua che ci fa capaci di accogliere le immagini, i ricordi, la memoria, i nomi, i volti, le ore, di trasmetterli e donarli al futuro che arriva.