Arte africana ed espressività infantile

[di Annalisa Di Giacinto]

I bambini, i pazzi, i popoli primitivi hanno ancora - o hanno riscoperto - il potere di vedere. Sia ciò che vedono sia le forme che ne derivano sono per me riconferme di grande importanza”. (Paul Klee, Diari)

Porto l’arte a scuola: è la mia passione, perché so quanto è importante, quanto mi riempie, quanto valore aggiunge alla mia vita.

Mi chiamo Anna Lisa Di Giacinto, sono insegnante di scuola dell’infanzia, con i bambini attuo percorsi di arte spesso legati alla musica. Qui voglio raccontare alcuni laboratori svolti a scuola, mettendo in luce il senso di “fare arte” con i bambini, profondamente ricettivi e sensibili alla bellezza, anzi di più, mostrando quanto i bambini e gli artisti si assomiglino, quante affinità ci sono tra loro.

È una fortunata coincidenza il fatto che il mio racconto sia incentrato sulla conoscenza della cultura e dell’arte africana perché vi trovo un parallelismo tra ciò che da anni è il centro della mia ricerca - scoprire cosa accomuna i bambini e gli artisti e come tentare di preservarlo - e ciò che la conoscenza dell’Africa come “cultura primitiva”, così amata dalle Avanguardie, mi ha consentito. L’arte africana e l’espressività infantile: due strade che si congiungono e che possono costituire la base di un rinnovamento. Entrambe offrono la possibilità di un ritorno alle origini, a ciò che è incorrotto, non influenzato da sovrastrutture culturali. Per cominciare da capo.

 

Dialoghi africani

Il progetto sull’Africa, svolto in collaborazione con il FAI, ha avuto come tema dominante quello della maschera. Si è concluso con una performance dei bambini e la mostra dei loro elaborati artistici nella giornata Fai Scuola (novembre 2022), all’interno della rassegna intitolata Dialoghi africani.

Africa: non sono scettica sulla riuscita del progetto. Penso che l’argomento possa interessare molto i bambini, e così sarà. I bambini hanno il pregio di accostarsi a qualsiasi cosa con la naturalezza di chi vuole solo imparare. Il percorso che stiamo per intraprendere, ho pensato all'inzio, dovrà lasciare addosso qualcosa a me e ai bambini, la sensazione sulla pelle di esserci entrata in quel mondo, di aver subito una trasformazione.

Ma è stato entrare in un mondo davvero così lontano? O è stato un modo per riconoscersi, anzi un’occasione per ricongiungersi con qualcosa che noi adulti abbiamo smarrito e che dobbiamo aiutare i bambini a conservare? L’aderenza al sé, al nocciolo più vero del nostro essere, attraverso la pratica del corpo, dei ritmi che circolano nel sangue.

L’approccio all’argomento è stato di tipo multidisciplinare, con l’utilizzo dei linguaggi non verbali che da anni privilegio nella scuola. È la musica a favorire l’ingresso, a farci entrare subito nel vivo.

 

Il canto

Africa è villaggio, comunità. Un giorno ci siamo ritrovati a cantare insieme su una coperta decorata con mandala e motivi geometrici ispirati a quelli africani. Abbiamo ascoltato ninne nanne africane nei loro diversi idiomi, tratte dal libro All’ombra del baobab. L’Africa nera in 30 filastrocche, di C. Grosléziat e E. Nouhen (Mondadori). Ne abbiamo selezionate alcune non solo per la musica, ma anche per il contenuto, in modo da evidenziare il filo rosso del nostro percorso: quello, appunto, della maschera. Attraverso i canti abbiamo appreso che le maschere accompagnano cerimonie e riti importanti, sono il tramite per la congiunzione con gli spiriti ai quali è chiesta benevolenza per la famiglia e il villaggio. Abbiamo cantato una canzone nostalgica del Congo (Wa wa wa wa) dedicata ai bambini orfani. La musica ci ha raggiunti con i suoi colori, la voce della cantante con i suoi accenti blues… Ci siamo fatti cullare da sonorità diverse, ma antiche. Il canto le ha risvegliate. I bambini hanno imitato i suoni con la voce, assorbendo la musica nella sua complessità.

 

Ritmo! Ritmo!

In questo gioco-danzato ruandese (Gato gato) le bambine sono protagoniste. Ballano indossando vesti tipiche africane, collane e monili. I segni tribali sul viso. Le invito a improvvisare e mi stupisce l’immediatezza con la quale traducono con il corpo l’ascolto della musica, la diversità di movimento. Scandiscono il ritmo, soppesano i ritmi con il peso del corpo, il movimento dei piedi e delle gambe, delle braccia. Una vibrazione percorre l’intero corpo, si trasmette visivamente agli altri. Il movimento spontaneo, che risorsa! Qui non il bambino che scimmiotta l’adulto e si limita a imitare. È la musica che ci muove, ognuno con il proprio modo di sentire.

Accompagniamo una canzone di festa del Mali (Usumani) con il suono percussivo del tamburo e dei tamburelli costruiti dai bambini con carte decorate (motivi leopardati, floreali, romboidali, fantasie africane). Un colpo secco segna l’inizio, batte le cadenze, le cesure. Un tam-tam continuo che dà il senso, il passo, è il ritorno di qualcosa, ci rassicura. La disposizione in cerchio è aggregante, ci guardiamo negli occhi, facciamo gruppo, suoniamo lo stesso ritmo. Ritmo è: insieme. 

Durante questo gioco ritmico a coppie, tipico dell’Etiopia, ondeggiamo le braccia e battiamo le mani, coordinando i movimenti con il ritmo di una filastrocca (Etemete etemete). A stretto contatto l'uno con l’altro, sentiamo le reciproche pulsazioni... Ritmo è: ascoltare ogni battito, sentire il cuore della terra.

Sulla base di una musica trascinante che sembra continuamente rinnovarsi, non avere mai fine, eseguiamo a rotazione, un percorso motorio a ritmo di musica in cui i bambini si muovono in equilibrio su un asse, fanno capriole su un tappeto dipinto da loro, danzano intorno a un totem suonando il bastone della pioggia, indossano una maschera facendo movenze tribali tra i compagni. Indossare un travestimento ci rende più liberi, ci aiuta a trovare la nostra identità. Diventa un rito propiziatorio per il buon raccolto, e la maschera qualcosa di magico, che ci fa realizzare qualsiasi cosa.

 

Maschere africane di Keith Haring

Le maschere sono forme emblematiche dell’arte africana. Il primo incontro con loro è stato quando abbiamo ricevuto la visita dei collezionisti d’arte africana a scuola (collezione Orlandi-Costantini) insieme alla Delegazione Fai di Lanciano, la città in cui vivo e insegno. Abbiamo osservato alcuni prototipi dal vivo, i bambini hanno indossato copricapi e maschere, guardato alla Lim come Picasso, Modigliani, Brancusi si siano ispirati all’arte nera per raggiungere l’essenza della forma. Nel mio percorso di studio e ricerca mi sono imbattuta in alcune maschere africane di Keith Haring (1958-1990) che non conoscevo (Hollywood African Mask, 1987, smalto su alluminio): alcune sono tribali, selvagge, quasi diaboliche. Sono interessanti, subito le vedo realizzabili, materiale sensibile tra le mani dei bambini.

Riproduco la sagoma di una maschera su cartoncino blu, distribuisco i pennarelli indelebili ai bambini che familiarizzano immediatamente con i segni della pittura di Haring. Disegnano molteplici occhi e, dentro, cerchi concentrici, il naso e le narici, la bocca e, intorno, una miriade di segni (sono forme di scrittura), più o meno ordinati. Segni a punta, geroglifici, scarabocchi, nell’insieme acquistano un significato. Segni labirintici, tra i quali perdersi e ritrovarsi.

La linea scorre velocemente: teste di animali che sbucano fuori, figure che nascono l'una dall’altra senza soluzione di continuità. Un segno vergine, istintivo, quello dei bambini, non mediato dalla ragione, come il gesto dell’artista è immediato e sintetico. I bambini osservano, captano, rifanno a modo loro. Nel giro di pochissimo tempo assisto a elaborazioni fantastiche.

Alle maschere aggiungo una base in cartone per poterle poggiare e invito i bambini a continuare la loro ricerca di segni e poi anche su sassolini che useremo come elementi decorativi. Una rete di segni che si moltiplicano

Africa: madre dell’arte moderna, punto di riferimento per l’arte internazionale contemporanea. Il suo spirito vitale primordiale ci ha raggiunti mostrandoci l’anima delle cose, arricchendo il nostro modo di vedere.