Del Bristol non si butta via niente

Torna la scuola, anche questa settimana, su queste pagine. Ci piace molto che sia così, perché ci era mancata in questi mesi e perché pochi argomenti sono così interessanti, specie quando a parlarne sono coloro che la fanno. Ci piace sentirne parlare dai punti visti più diversi, per esempio con umorismo, come qui fa Beatrice Arena (che ringraziamo).

[di Beatrice Arena]

Sono le 16:15. È suonata la campanella e ho accompagnato i bambini verso l'uscita di scuola. Ho addosso una stanchezza letargica come da veglie prolungate, corredata dal tipico bruciore alla gola che si accusa dopo aver parlato a macchinetta per sei ore. Vorrei tornare a casa, ma non posso. Non posso proprio. Nelle ultime due ore di questo venerdì, ho avuto la brillante idea di fare arte, e ora devo riordinare quello che sembra il risultato di una cartoleria centrifugata a ottocento giri.

Matite rosicchiate di indecifrabile provenienza: i nomi dei loro proprietari si sono quasi cancellati, e tutte le etichette poste su ogni matita si sono, ovviamente, staccate. Le lettere che rimangono leggibili sono un rompicapo enigmistico per menti annoiate e fresche, ma non per la maestra stranita e stremata all'ultima ora del venerdì. Questo più o meno il paesaggio circostante: tomi di sussidiario ed eserciziari dimenticati che teoricamente dovrebbero servire per i compiti (nel mio cervello partono nell'ordine: rammarico, preoccupazione, disappunto). Squadre e righelli sbeccati. Un compasso, perché qualcuno durante le ore di arte tira sempre fuori questo strumento dal fascino atavico, perso nella notte dei tempi, che porta con sé le ombre delle meridiane e il ricordo di quell'artista genio che non ne aveva bisogno. Pezzi di gomma da cancellare o intere gomme da cancellare a cui è stato divelto il cartoncino blu di protezione, e che riportano il segno di una matita ben appuntita piantata al centro. Così, a sfregio del bianco candido e perfetto.

Oggi abbiamo utilizzato anche le tempere e per un attimo ho creduto invano di riuscire ad arginare il viavai costante di alunni diretti verso i bagni, intenti a cambiare l'acqua, lavare pennelli, lavare scodelline che un tempo sorreggevano uova di Pasqua. Tutti di corsa verso i rubinetti per poi lasciare una traccia liquida pollicina dietro di sé: i mille goccioloni temporaleschi di una migrazione di massa.

 

Ora mi ritrovo a riesumare le tavolozze dai miei alunni che riutilizzano i contenitori di plastica per salvare il pianeta: le vaschette alimentari trasparenti e i vasetti dello yogurt racimolati in settimane di merende sane ora da ripulire dal colore, per non interrompere mai il virtuoso ciclo perpetuo del recupero. Di matite spuntate ne ho già fatte un bel cestino, e continuo la raccolta, ma sto perdendo l'orientamento ormai in questa classe-bosco. Arranco tra i banchi facendo inedite manovre contorsionistiche tra i tubi di sedie e banchi i quali mi ricordano quella lezione di Pilates che stasera non farò mai in tempo a seguire. Le colle stick senza tappo sono funghi velenosi che sbucano da ogni angolo e mi metto anche a cercare il tappo di ognuna, operazione che, sollecitando oltremodo le mie abilità visuo-spaziali, alla fine non mi consente di trovare neanche le chiavi della macchina in borsa.

A un certo punto faccio l'errore di aprire l'armadio dei materiali di arte e succede l'inevitabile: mi cade in testa il Grande Tutto. Se fossi in un film, adesso ci sarebbe un fermo immagine e poi un flashback in cui la maestra narratrice si ricorderebbe del giorno in cui la sua collega tornava dall'Ikea con tanti contenitori di plastica trasparenti, atti a riordinare i materiali per il bricolage vario ed eventuale. Peccato non aver mai seguito il suo esempio.

Mentre mi piovono in testa migliaia di pezzettini di Bristol, divenuti ora coloratissimi coriandoli, in una sorta di trionfo carnevalesco, ho quasi l’impressione di respirare l'aria frizzante di un party. Sono i ritagli di mille collage fatti in passato e conservati religiosamente in attesa di diventare materiale per nuovi strabilianti lavori, perché ogni maestra lo sa: del Bristol non si butta via niente.

Rientrata in me, mi armo della pistola per colla a caldo che improvvisamente mi cade tra le mani, piovuta dai meandri degli scaffali, fondamentale strumento del mestiere di ogni bricomaestra: ora sono davvero pronta per affrontare le forze del caos che stanno attaccando la classe. Cadono anche i mozziconi di colori a cera e le matitine minuscole con cui ho sempre pensato che i bambini avrebbero fatto alcune cose mirabolanti che ho intravisto su Pinterest. Rischio poi di scivolare su vecchie riviste, pile di Oggi, Chi e Grazia conservati per il glorioso giorno in cui si faranno gli Arcimboldi o le facce patchwork con occhi, nasi e bocche ritagliati: incubi picassiani divenuti realtà, frankenstein cartacei dal fascino inquietante.

Questo armadio, però, è solo il prolungamento di un altro luogo gravido di minacce: ovvero il tunnel invisibile che da qui porta al mio garage dove tengo cartone ondulato di crackers e Pangrì, vasetti di omogeneizzati, tubi di cartone della carta igienica o del domopack (che possono fare da mattarello per la pasta di sale!), senza dimenticare gli indispensabili porta uova. A volte dico a me stessa: ‟Tu supererai la barriera del kitsch perché sei la maestra illuminata che detesta i mostruosi lavoretti anni Ottanta messi insieme con le mollette da bucato, e propugna l’arte come espressione estemporanea del sé bambino...”. Ma immediatamente, allora, dentro di me risuona una voce diabolica: ‟Ma che mondo sarebbe senza i lavoretti?”. ‟Sicuramente sarebbe un mondo meno inquinato, se fai il conto di dove vanno a finire, in media, tutti i preziosi manufatti di cui sopra", ribatto fieramente. Un secondo dopo sono già persa nel loop mentale che mi suggerisce di usare, d'ora in poi, per arte, materie prime riciclate, ma anche riciclabili. Penso al mais, al cartone compostabile... E improvvisamente eccomi impantanata nella visione della settimana prima di Natale, quando, lo so già, mi ritroverò di nuovo a dorare le pigne, a ritagliare migliaia di alberi di Natale con la fustellatrice, per poi tuffarmi, gran finale, in un mare di brillantini.

Le immagini sono di Natascia Diamanti - Mood Photostudio.