Settima novità 2021: è Dove crescono gli alberi dell'autrice coreana Yoong Kang-mi, un albo che racconta del bisogno sempre più forte di trovare modi nuovi di vivere le città, e di far sì che ambiente umano e ambiente naturale collaborino a migliorare e rispettare la vita.
[di Giovanna Zoboli]
Ho notato questo albo alla Bologna Children’s Book Fair del 2019. Stavo visitando lo stand della Corea, meta obbligata di tutti i bibliofili e gli appassionati di illustrazione. La scuola coreana sforna talenti invidiabili: illustratori che oltre a essere provvisti di solide abilità tecniche si distinguono per originalità narrativa, oltre che di segno e di stile. E illustratori che negli editori trovano degni partner. Molti sono, infatti, gli editori coreani dotati di gusto sopraffino. Sfogliando i loro libri, casa editrice per casa editrice, alla Fiera di Bologna ci si imbatte in libri di una tale delicatezza e rarità creativa da risultare addirittura incollocabili in un Paese come il nostro che ama quasi esclusivamente le dichiarazioni forti, le prese di posizione riconoscibili, e fa molta fatica ad apprezzare le mezze tinte. È stato a questo stand che abbiamo incontrato Le fate formiche, un albo che ci ha conquistati e di cui abbiamo voluto acquistare i diritti, nonostante non avessimo alcuna idea di come sarebbe stato accolto dai lettori italiani (è stato accolto bene, infatti lo abbiamo appena ristampato).
Dove crescono gli alberi di Yoong Kang-mi, è frutto del nuovo incontro avvenuto allo stand coreano (speriamo altrettanto fortunato del primo). Era il 2019, ben al di qua, quindi, di tutto ciò che sappiamo essere avvenuto nel 2020. Ma questo libro in qualche modo, prefigura alcune situazioni che hanno caratterizzato la nostra vita dal marzo del 2020.
La storia si apre con una bambina che guarda dai vetri della propria casa un panorama urbano: condomìni di una città che sembra spenta, quasi disabitata. Qualcosa la trattiene al chiuso delle quattro pareti domestiche: una minaccia legata all’aria definita ‘irrespirabile’. «Mi toccherà giocare in casa», riflette lei saggiamente. E poi aggiunge: «Faccio un disegno.» Da questa semplice azione, così caratteristica e spontanea in un bambino, il racconto prende avvio e si costruisce per gradi, seguendo il pensiero che la bambina sviluppa mentre disegna e che il disegno man mano le suggerisce, in una relazione di reciprocità.
Mentre la storia si costruisce, si decostruisce la città anonima che la bambina ha sotto gli occhi, quella che sul frontespizio del libro vediamo divorare il bosco, supportata da un esercito di mezzi movimento terra. Più che a un mondo di fantasia la disegnatrice dà corpo, infatti, a un progetto di vita definito dall’ambiente necessario per realizzarlo: una città che impara la propria forma, il proprio tempo, la propria vocazione alla giustizia e alla bellezza da una simbiosi fra architettura, tecnologia, mondo vegetale e animale.
Più che dare espressione a un desiderio di casa dettata dai gusti personali, questa piccola disegnatrice progetta una città ideale come durante l’umanesimo facevano i filosofi e gli artisti, i matematici e i letterati. Mai prendere sottogamba i bambini, ci suggerisce fra le righe Yoong Kang-mi: non facciamo l'errore di attribuire loro la misura esigua dei nostri sogni che, quando si parla di case, si limitano al divano accessoriato, all’idromassaggio, al frigo con il dispenser per il ghiaccio a cubetti e al vialetto riscaldato per quando nevica. La città di questa bambina, la cui cellula madre è un palazzo da cui germoglia una foresta che piano piano fuoriesce dalle finestre, dando vita a un meraviglioso abito vegetale, ha i tratti di una grande utopia e, nello stesso tempo, l’ampiezza di respiro che mostrano le opere salvifiche e concretissime, costruite nella gioia e per la gioia. Non è secondario, come si nota, che questa costruzione prenda avvio dal disegno, strumento elettivo del pensiero più visionario e al tempo stesso più proteso alla concretezza, come è quello dell’architettura. A questo proposito, ricordo, sul tetto di Casa Milà, la sorpresa nel rendermi conto di come Anton Gaudì (che, fra l’altro, invalidato da una malattia, trascorse l’infanzia in completo isolamento osservando e studiando appassionatamente la natura e le sue forme, che confluirono poi nel linguaggio che lo caratterizza), avesse trovato il modo di tradurre le sue idee più visionarie nella concretezza di un edificio fatto per la vita delle persone nel centro di una grande città.
Man mano che il disegno procede ecco la visione della bambina trasformarsi da giardino segreto a casa e, quindi, a città. Prendere forma in edifici dalle forme eclettiche, in strade, serre avveniristiche, boschi, piantagioni, grandi macchine benefiche addette alla pulizia dell’aria, spazi aperti e selvaggi, costruzioni bizzarre riservate al gioco, allo studio, alla vita.
Una libraia esperta e attenta ai libri con le immagini, Diletta Colombo, qualche tempo fa, osservava che nei libri per i bambini sugli scaffali delle nostre librerie manca la dimensione del futuro, o meglio, che annuncino o prevedano la costruzione di un futuro. Questa cosa, personalmente, mi è capitata di notarla sempre al ritorno da viaggi all’estero. Osservando lo sviluppo urbanistico nel nostro Paese, ogni volta penso che il futuro, come dimensione politica progettata e appassionante, non c’è o, se c’è, è approssimativa, velleitaria e lacunosa. Rispetto ad altri Paesi del mondo, persino meno ricchi, manca proprio lo sguardo, sia verso le grandi proiezioni ideali, legate all’ambiente, alla crescita culturale, all’equità sociale, all’educazione, ma anche alla semplice pianificazione di opere che sottintendano un investimento a favore delle generazioni future, cose che altrove esistono da anni e sono state frutto di un pensiero ampio e rigoroso, come le scuole, le biblioteche, le reti ciclabili e le aree verdi, per dirne solo alcune.
Ecco, Dove crescono gli alberi parla proprio di questa tensione al futuro e alla sua costruzione e per questo ci ha conquistati nella semplicità, linearità, immediatezza delle soluzioni narrative adottate da Yoong Kang-mi, sua autrice. Nelle illustrazioni che danno forma ai pensieri della bambina abbiamo ritrovato una parentela squisita con le straordinarie opere che in tutto il mondo stanno nascendo a partire da branche nuovissime del sapere fondate sull’idea che uomini e vegetali possano recuperare un rapporto di collaborazione reciproca. Mi viene in mente, a questo proposito, il lavoro che sta compiendo Stefano Mancuso, direttore del Laboratorio di Neurobiologia Vegetale di Firenze, cofondatore di Pnat, spin-off dell’Università di Firenze, secondo il New Yorker uno dei world changers del pianeta, proprio a partire dal presupposto che le piante possono insegnarci strategie fondamentali per la modernità. Da alcuni anni il suo staff, composto da architetti, designer e botanici, lavora a progetti basati sulla cooperazione fra uomo e mondo vegetale, per esempio studiando come integrare le piante negli edifici ad alta densità. Un esempio è la Fabbrica dell’Aria installata in un mercato coperto, che sostituisce o integra i tradizionali sistemi di ventilazione degli ambienti: l’aria incanalata viene filtrata dal terreno, assorbita dalle piante che la depurano trasformando l’inquinamento in biomassa e restituendo aria pulita.
I disegni della bambina di Dove crescono gli alberi immaginosamente descrivono spazi e strutture urbane molto simili a quelle che stanno nascendo, in cui le piante sono presenze fondamentali, e dove fra architettura e mondo vegetale c’è cooperazione. Ha scritto Mancuso, in Plant Revolution: «D'altro canto, un crescente numero di studi sul comportamento dei gruppi, condotti su organismi vienti che spaziano dai batteri all'uomo (comprendendo ovviamente le piante), sembrano convergere verso una conclusione che mi pare di grande rilevanza: esistono principi generali che reggono l'organizzazione dei gruppi così da rendere possibile l'emersione di un'intelligenza collettiva superiore a quella dei singoli individui che la compongono. Se doveste ancora sentire il banale luogo comune secondo cui in natura vige la legge del più forte, sappiate che si tratta di sciocchezze: in natura prendere decisioni condivise è la migliore garanzia di risolvere correttamente problemi complessi». E ancora. «Le piante hanno già inventato il nostro futuro. Se vogliamo migliorare la nostra vita non possiamo fare a meno di ispirarci al mondo vegetale: le piante consumano pochissima energia, hanno un’architettura modulare, un’intelligenza distribuita e nessun centro di comando: non c’è nulla di meglio al mondo a cui ispirarsi.»
Come scrive Maurizio Corrado su Doppiozero a proposito dell’architetto argentino Emilio Ambasz, padre e profeta della green architecture, a cui è intitolato l’Istituto di Ricerca Emilio Ambasz per lo studio di una nuova architettura che riconcili la natura con l’ambiente artificiale: «Gli studi di ultima generazione ci restituiscono un’immagine delle piante come esseri viventi dalla elevata socialità e profonda coscienza dell’ambiente che le circonda, alcuni cominciano a vederle come un modello da seguire. Oggi che la domotica continua a riproporci varianti della casa intelligente immaginata negli anni Sessanta e che evidentemente così intelligente non è mai stata, aumentare la presenza di piante nei nostri ambienti può significare andare oltre la tecnologia e immaginare case organiche vive e pensanti in cui corpo e mente possano svilupparsi al meglio».
Ecco, ricominciamo a parlare in questo modo, di futuro. Anche da un libro illustrato. Anche dai disegni di una bambina che, affacciata alla finestra, immagina che la sua casa ideale è la Terra.