I Calendari

[di Michele Longo]

“E sembra che non finisca mai settembre”

Dimartino, I calendari

 

Senza alcun ordine la danza sia

ch’il minuetto, chi la follia

chi l’alemanna farai ballar.

Da Ponte - Mozart, Don Giovanni

A scuola, e di conseguenza nella vita diurna di noi maestre*, c’è pieno di calendari. Prima viene il calendario scolastico, con le riunioni, i colloqui con le famiglie, le vacanze. Dopo, dentro il tempo del calendario scolastico e dentro il tempo di ciascuna di noi, ci sono altri calendari, dove il tempo non va mai come dovrebbe: o corre come un barbero o si inceppa come un motore steampunk ingrommato. I calendari interni delle maestre sono allegorici, stagionali - comprensivi anche delle mezze stagioni pascoliane del mondo pre riscaldamento globale -, prescrittivi, siderei, magico-meteorologici, e, inevitabilmente, anche Ancestrali e Conventuali. Nel mio calendario interiore di maestro, ottobre e novembre sono contrassegnati da una filigrana in oro, come i mesi di lavoro più intenso e produttivo. Ma arrivarci, a ottobrenovembre, è sempre così avventuroso e complicato, che il tempo, prima o dopo il ponte dei Morti, dà uno strattone, sfiata vapore compresso da una valvola che l’anno scorso non c’era, e si pianta lì. A questo punto, sono indietro. Essere indietro è uno stato penoso dell’essere maestra abbastanza diffuso, tanto da poter forse configurare una tipologia, la “maestra indietro”, avendo proprio voglia di configurare, con tutto quello che c’è da fare prima di Natale. Ma come fai a essere già indietro a due mesi dall’inizio della scuola, scusa? chiede il Super-io scolastico con sincera curiosità e un’aria di bonomia altamente sospette. Se proprio si vuol sapere, è andata così.

Spente le luminescenze del primo giorno, la scuola comincia davvero, e sono settimane molto muscolari. Questa parola l’ho copiata. Mi piace molto e la userò almeno fino alla pensione per descrivere il lavoro di noi maestre all’inizio dell’anno. Si tratta di rimettere sui binari, a forza di braccia, un treno adagiato su un praticello neanche tanto lontano dalla massicciata, per ritrovarlo, il giorno dopo, adagiato da qualche altra parte. Ci rimane sempre il dubbio se sia il treno ad andarsene durante la notte per i fatti suoi, o se siano addirittura i binari a tradire la nostra fiducia istituzionale spostandosi a casaccio. Finito il turno usciamo da scuola con una fame da orco, gli acufeni, e un senso di confusione generalizzata. La fame la affrontiamo mangiando come il gigante Crepapanza di Giusi Quarenghi: tantissimo di qualunque cosa, dai marron glacé, alla pastasciutta, al famoso pezzo di cartone fritto. In tutto questo faticare i bambini - beh, i bambini non ascoltano. Non si contano i momenti entropia-e-trasparenza, che tutte noi, dopo la prima prima, conosciamo e ricordiamo e temiamo: quando i bambini parlano tutti contemporaneamente non si capisce con chi, girano e si urtano come atomi di una sostanza allo stato gassoso, non ci vedono e non ci sentono; potremmo uscire dall’aula e tornare dopo tre quarti d’ora con una fetta di Sacher Torte, non ci farebbe caso nessuno. Allora noi maestre soggette all’essere indietro cominciamo a portare e leggere in classe libri bellissimi, ad allestire il Museo delle Cianfrusaglie delle Sorelle Pizzigoni aggiornamento Keri Smith, a distribuire polvere di lapislazzuli e foglietta d’oro, a produrre con i bambini calchi e variazioni da poesie di Marina Cvetaeva, Sylvia Plath e Silvia Vecchini, eccetera. A Halloween parliamo dei morti, che ai bambini interessano molto, tra Coco della Disney Pixar, L’anatra e il Tulipano di Elbruch, E sulle case il cielo di Giusi Quarenghi, ancora lei. A questo punto non abbiamo fatto i plurali in cie-gie per non parlare dell’a-con-l’acca e senza l’acca. Ma non siamo indietro, tecnicamente parlando, perché c’è ancora tutto novembre, e si sa che novembre è il mese più produttivo. Come senz’altro ricorderete, però, il treno è fermo, sfiata e s’impunta riottoso sui binari, dove, tra l’altro, noi maestre abbiamo lasciato una cinquantina di chilometri di ego mirabolante, difficilissimo da sfilare da sotto le ruote e sostituire con le schede didattiche di valigie e ciliegie.

Adesso siamo indietro. Ecco, com’è successo.

Ma i bambini, mentre le maestre corrono avanti e indietro per i loro calendari, che fanno? I bambini, che ogni tanto a guardarli mi prende lo stranguglione pensando a come sono nuovi a questo mondo, fanno i compiti, quelli veri. Guido, dopo aver sperimentato per due anni i dolori dei suoi affetti a cielo aperto, scopre di essere simpatico. Si monta anche un po’ la testa, ma gli passerà. Nicola sprizza energia luminosa e produce disegni astratti e fumetti silent con un’intensità che mi fa quasi paura, ma sono io che sbaglio, paura di cosa. Martina e Viola fanno la scoperta della prima amicizia vera, e lo sanno. A Roberto continua a non piacere essere un bambino, e lo fa scontare a tutti; se solo potessi spiegarglielo – ma non è mica una cosa che si spiega. Joshua, potendo, tornerebbe indietro a bambino piccolo, ma senza perdere i privilegi bambino grande, e intanto si interroga se è vero Dio o il big-bang. Giacomo prima di addormentarsi prega che i suoi genitori (che sono meravigliosi genitori) non lo sgridino il giorno dopo. Emma ama gli unicorni perché con loro cavalca fuori dal perimetro donnina-di-casa che sembra tracciato intorno a lei. I tre nuovi arrivati fanno il lavoraccio di inserirsi in una classe nuova. Tommaso è in esplorazione della sua parte pazzerello, e se la cava benissimo. Ruben deve gestire un corpo troppo grande, e, sospetto, sbarre e regolamenti di una prigione materna. Valery, che ha incominciato l’anno scorso a leggere di nascosto per farsi notare dal maestro, adesso legge di nascosto per esigenza imperiosa, e posso sgridarla quando voglio. Giovanni dorme.

Poi arriva, finalmente, la data a partire dalla quale il rimedio all’inutile angoscia della maestra indietro è lasciarsi andare al Natale, semplicemente. I lavori nei campi previsti e strologati per novembre, dalla metà del mese in poi non si possono più fare: le frequenze azzurro e giallo delle lucine natalizie hanno effetti portentosi sui cervelli in evoluzione dei bambini e su quelli in decadimento delle maestre: di andare avanti non se ne parla più. Sarebbe interessante, a questo punto, fare degli EEG o delle scansioni su campioni di entrambi i gruppi, scoprire magari le dispersive onde N, ma chi ha il tempo di occuparsene, ormai. L’avvento ticchetta, cominciamo a dipingere fondali, a imparare canzoni, a scrivere biglietti, ad allucinare il profumo dei biscotti allo zenzero. Poi ci appendiamo tutti a un robusto festone e, con le gambe penzoloni nell’aria fina che porta l’odore di strinato delle comete, aspettiamo il segnale per il lancio.

Non si dice, ma speriamo tutti di precipitare in bocca al Grande Pescecane di Pinocchio, e allestire nella sua pancia un banchetto di Natale a lume di candela.

* Perdonate, lettori. Sia ripulsa o ripicca, non so, ma io proprio non riesco a chiamar maestri, maschile plurale, noi che insegniamo ai bambini a scrivere leggere e chiedere scusa, come se la scuola fosse uno spaventoso consesso maschile come, mettiamo, un’assemblea di vescovi o la legione straniera. Sia il numero a fare il genere, dunque, anche a Natale, e auguri a tutti!