Dopo qualche tempo che abbiamo cominciato a pubblicare albi illustrati, ci siamo resi conto che, nell’opinione corrente, le illustrazioni o figure, che dir si voglia, costituiscono un aspetto accessorio, marginale nell’economia di un libro: da una parte, qualcosa di ornamentale; dall’altra, una sorta di riempitivo dovuto al pubblico a cui gli albi illustrati tradizionalmente si rivolgono, i bambini. Dato che i bambini padroneggiano con maggiore difficoltà dell’adulto la parola e la lettura, si pensa che le immagini, data la scarsa quantità di testo presente in un albo, servano a intrattenere per quel periodo della vita in cui si è analfabeti o semianalfabeti, dunque che il loro scopo sia sedurre l’attenzione, e funzionare come una sorta di adescamento per invogliare alla lettura. È un’idea che dà per impliciti alcuni assunti: che le immagini siano subordinate ai testi e abbiano una funzione di mero servizio rispetto a essi; che la loro funzione estetica sia disgiunta da piani di significato (che non siano elementari); che non dispongano di codici propri e di strategie proprie di costruzione di senso; che, nello specifico, le figure nei libri per ragazzi non possiedano un valore culturale riconosciuto e riconoscibile, come invece si tende a pensare abbiano altre immagini.
È stata proprio questa scoperta la ragione per cui fin dall’inizio, accanto alla produzione editoriale, abbiamo sviluppato un’intensa attività di comunicazione e di formazione riguardo ai temi dell’illustrazione, dell’immagine e del libro illustrato. Ci siamo resi conto che, benché nel nostro Paese ci siano state esperienze importantissime relative all’illustrazione e ai libri illustrati, basti pensare a Munari o al lavoro di Rosellina Archinto con Emme Edizioni, per spiegare che libri facevamo e perché li facevamo in quel modo, andava fatta informazione rivolta soprattutto ai mediatori del libro: insegnanti, genitori, librai, bibliotecari, educatori eccetera. Era importante comunicare loro alcuni presupposti in base ai quali lavoravamo: che le figure (e chi le progetta e le realizza) hanno un valore fondamentale nello sviluppo di processi cognitivi ed educativi, che le immagini hanno un ruolo autonomo e specifico nella costruzione di meccanismi narrativi e nella trasmissione di senso e di cultura.
Peraltro ci siamo poi resi conto, confrontandoci con editori, autori eccetera di altri Paesi, che pregiudizi o stereotipi legati alle immagini e al loro consumo non riguardano solo l’Italia, ma sostanzialmente sono diffusi a livello globale, a diversi livelli di gravità. Ricordo un bell’articolo di Sophie van der Linden, studiosa francese di letteratura per ragazzi ed esperta di albi illustrati, Et si le sans avait du sens?, uscito sulla rivista trimestrale Hors Cadres. Observatoire de l'album et des littératures graphique, nel terzo numero del 2009, interamente dedicato agli albi senza parole per bambini. In questo articolo van der Linden, descrivendo il rapporto degli adulti con le immagini e le figure nei libri illustrati senza parole, mette in luce il problema della diffusione dell'aniconismo o analfabetismo relativo alla lettura delle immagini. Riporto uno stralcio: «Nella letteratura per ragazzi, gli album senza testo sono considerati in una prospettiva pedagogica. In questi album il testo appare come mancante: l'impresa dei piccoli lettori è quella di risorgere la parola sottratta. Di fatto si offrono a coloro che non sanno ancora leggere. Di fatto, ma anche per volontà, perché la maggior parte degli album senza testo nascono dall'idea comunemente ammessa che, se un bambino non sa leggere un testo, agevolmente leggerà un'immagine. Questo presupposto (non lettore di testo=lettore di immagini) poggia su una falsa evidenza. Perché una storia, per parole e/o immagini, quello di cui ha bisogno è un lettore. Ci sono analfabeti di tutte le età. E anche aniconici di tutte le età. Ne ho incontrati a decine nella mia carriera di formatrice. Si può essere insegnanti o bibliotecari, avere più di vent'anni di esperienza e non sapere leggere un album senza testo. Leggere nel senso primo di decifrare, della denotazione. Questo non è vergognoso se si considera che l'album senza testo si rifà a una padronanza di codici di grande sottigliezza. E si comprenderà che l'album senza parole, esattamente come un racconto, non tollera una moltiplicazione arbitraria di significati. Un libro senza parole non è un libro in cui si possa inventare la storia a piacere e a cui si possano affibbiare infinite interpretazioni.»
Queste parole ci colpirono in modo particolare perché la Francia, a livello mondiale, è il Paese con l’editoria più evoluta e sofisticata nella produzione editoriale di albi illustrati destinata ai bambini e ai ragazzi e non da oggi, dunque ci saremmo aspettati un grado di competenza maggiore nel pubblico, relativamente alle immagini. Questo discorso sull’aniconismo, che non riguarda la sola Francia ha qualcosa, per me, di straordinario, se si pensa al ruolo centrale che hanno le immagini oggi (ma, a ben vedere, da che l’uomo ha sviluppato culture) nella trasmissione culturale ovvero nella comunicazione, nell’intrattenimento, nell’informazione, nella scienza, nella divulgazione, nell’arte eccetera. Oggi, per quanto le cose siano sicuramente cambiate riguardo all’idea diffusa del ruolo che hanno le immagini nei libri per bambini e ragazzi, almeno presso un pubblico di nicchia che riconosce il loro valore e la loro importanza, pregiudizi, stereotipi e una fondamentale ignoranza permangono presso la gran parte delle persone.
Ho fatto queste riflessioni nel corso della lettura Figure. Come funzionano le immagini dal Rinascimento a Instagram, di Riccardo Falcinelli, autore di saggi di grande successo, studioso di immagini, visual designer e docente di Psicologia della percezione. Spiega Falcinelli in un’intervista su ArtTribune: «Tutti i libri che ho scritto affrontano sempre lo stesso discorso: riflettere sulla progettazione degli artefatti visivi. Come vengono pensati da chi li realizza e come vengono visti da chi li guarda. Si tratta di storia della cultura visuale e della percezione visiva messe insieme. Da questo punto di vista, Cromorama e Figure non sono molto diversi, ma non potevo scrivere un unico gigantesco libro su questi argomenti. Cromorama riguarda strettamente la percezione, perché il colore è forse l’unico fenomeno sensoriale che quando chiudi gli occhi non esiste più. Quindi è il massimo del percettivo attraverso lo sguardo. Figure per me è un libro più difficile del precedente, anche se molti mi dicono che per loro è più facile, ma credo dipenda dalla mia scelta stilistica di scriverlo in una maniera più piana, più narrativa. … con Guardare. Pensare. Progettare (Stampa Alternativa & Graffiti, 2011) ho avviato una riflessione sui processi della percezione in senso strettamente psicologico, poi ho realizzato Critica portatile al visual design (Einaudi, 2014) che è un viatico ai problemi della progettazione, e che più di tutti ha un taglio sociologico e racconta perché il design funziona in un certo modo dentro un certo tipo di società. Cromorama è il libro più percettivo, come dicevo prima, e Figure secondo me è il più artistico: si pone i problemi dei creatori degli artefatti visivi. Vedo i miei saggi come pezzi di un unico discorso, come altri libri che scriverò andranno magari in altre direzioni, però sempre in questo stesso solco, perché è ciò di cui mi occupo.»
Il saggio di Riccardo Falcinelli credo sia una lettura molto interessante (e godibile) per tutti, ma penso costituisca in particolare uno strumento utilissimo in quanto vero e proprio percorso educativo alla lettura delle immagini: uno strumento oggi necessario per le ragioni che indicavo sopra, in diversi ambiti professionali e di studi, per esempio fra coloro che svolgono un ruolo di mediazione fra libri, bambini e ragazzi, coloro che cioè si occupano di editoria, formazione, pedagogia, piscologia (per non parlare degli studenti di scuole o Accademie d’arte che seguono corsi di illustrazione, fra i quali si notano vistose lacune di cultura visuale, che si tratti di arte, illustrazione, cinema, grafica, fotografia eccetera).
Figure è costruito, infatti, in base a una struttura che concepisce testo e immagine come parte integrante di una narrazione unica e questo è esattamente quello che accade nei picture book o albi illustrati, e imparare a padroneggiare questa interrelazione di codici è esattamente ciò che fanno i bambini quando cominciano a leggere, senza stabilire gerarchie e ponendo attenzione a ogni aspetto della superficie della pagina. Potrebbe sembrare scontato, ma non lo è affatto: Figure propone un ricco apparato iconografico in modo tale che il lettore abbia sempre la possibilità di comprendere e di verificare attraverso il proprio sguardo quanto viene spiegato e raccontato, stabilendo una democratica parità fra il peso del testo e quello dell’immagine. In questo modo la lettura si configura essa stessa in ogni momento come vero proprio esercizio visivo e allenamento a esso. A questo proposito è interessante notare anche la scelta del titolo Figure e non, invece, immagini, che è il termine più frequentato per indicare l'universo figurativo che ci circonda. Specificamente di libri con le figure si parla a proposito di bambini, e il termine figure è associato alle immagini pensate per loro e al gradimento dei bambino nei loro confronti. Non è escluso, a questo proposito, che la genealogia di questo titolo vada ricercata anche, da una parte nel magistrale Guardare le figure, di Antonio Faeti, edito da Einaudi nel 1972 (e ripubblicato da Donzelli nel 2011), saggio nel quale gli illustratori italiani attivi fra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento vengono battezzati dallo studioso figurinai, e, dall'altra in un blog famoso sulla letteratura illustrata per ragazzi tenuto dal 2007 da Anna Castagnoli, Le figure dei libri. Mentre leggevo Figure spesso ho pensato che proprio al tipo di rapporto che stabiliscono i bambini con le figure - di intensa frequentazione, divertimento, decifrazione e interrogazione – Falcinelli inviti il suo lettore.
Figure si sviluppa in sette sezioni e tocca i temi classici che riguardano le immagini da cui prendono il nome i capitoli: Spazio, Forme, Percezione, Meccanismi, Topologia, Composizione, Medium. Le immagini che si incontrano nelle oltre cinquecento pagine del volume (di cui non ci si accorge) sono riproduzioni di fotografie, quadri, affreschi, disegni, illustrazioni, fotogrammi di film, immagini pubblicitarie, miniature, foto di cronaca e di reportage, riproduzioni di opere d’arte, copertine di dischi, riviste o libri, sfondi per schermi di cellulari, immagini tagliate o create per instagram o siti web eccetera. Un materiale eterogeneo che conduce il lettore ad allargare la prospettiva al campo sterminato dell’immagine, dei suoi codici e dei suoi usi, sperimentandone ampiezza e complessità.
Qualche giorno fa ho ricevuto una mail da Francesca Mignemi, esperta di libri e letteratura per ragazzi, in particolare di transmedialità, visual literacy e nuovi mondi narrativi, che tiene corsi di formazione dedicati a insegnanti ed educatori del primo, secondo e terzo ciclo di istruzione. In questo messaggio mi raccontava dello stupore che manifesta sistematicamente il suo pubblico all’idea di utilizzare libri illustrati nei percorsi di insegnamento, come se incontrasse per la prima volta i libri illustrati sul proprio percorso: «Devo dire che mi stupisce sempre e molto questa reazione perché non capisco come gli insegnanti non si rendano conto (eppure sono bravissimi) che i ragazzi vivono immersi in mondi narrativi di vario genere e sommersi da un diluvio di immagini. Se guardassero i trailer di alcuni videogiochi narrativi che i ragazzi frequentano si renderebbero conto che vivono immersi in mondi narrativi avvincenti, spesso costruiti benissimo con apparati diciamo 'iconografici' straordinari. Vorrei condividere con voi la stessa riflessione sottoposta a loro: se una delle funzioni della letteratura, cioè quella di narrare storie e permettere ai bambini e ragazzi di vivere esperienze liminari, ha trovato degni sostituti, come facciamo noi adulti mediatori a riportare il lettore a casa? O meglio a fare sì che i ragazzi decidano di suddividere il loro tempo tra videogiochi (come altre esperienze narrative) e lettura? Una giornata è pur sempre di 24 ore e tra le tante attività oltre lo studio, probabilmente il tempo che forse, si spera, era dedicato alla lettura oggi è in gran parte dedicato ai videogiochi, alle serie tv ad altre esperienze.»
Ecco, Figure offre strumenti molto interessanti per darsi risposte a queste domande, per questo ne consiglio caldamente la lettura.