[di Antonella Abbatiello e Susanna Barsotti]
Antonella: Qualche mese fa Susanna Barsotti, professoressa del Dipartimento di Scienze della Formazione di RomaTre, dove insegna Letteratura per l’infanzia, mi ha proposto un laboratorio con le sue studentesse.
Potevo scegliere liberamente il tema e la modalità. L’obiettivo era che le studentesse potessero sperimentare un’attività pratica e artistica significativa, da restituire poi ai futuri allievi, bambini e ragazzi.
La mia proposta è stata questa: Foreste e boschi incantati negli albi illustrati. Laboratorio artistico ispirato alle opere di Max Ernst, realizzate con la tecnica del collage e del frottage.
Susanna:
La prima parte del laboratorio è servita a definire i “confini” entro i quali il lavoro si sarebbe svolto offrendo alle studentesse alcune coordinate rispetto al rapporto bosco/foresta e letteratura per l’infanzia.
La foresta, il bosco, sono temi fondamentali della letteratura per l’infanzia. Luoghi che ritroviamo nelle contemporanee narrazioni per l’infanzia (albi illustrati, romanzi…) e che ci arrivano dalle fiabe più antiche. Nel racconto fiabesco il bosco circonda il mondo altro che rappresenta mitologicamente il mondo dei morti e i protagonisti sono sempre costretti ad attraversarlo per raggiungere il luogo verso cui sono diretti. L’avventura inizia proprio là dove si smarrisce il sentiero segnato e si affronta l’ignoto, oltre i confini familiari del paesaggio conosciuto. Luogo della paura, dell’illecito, dell’incantesimo, dove protagonisti e protagoniste subiscono trasformazioni e sono posti di fronte al proprio destino, i boschi sono anche lo spazio in cui i giovani e le giovani, inevitabilmente, crescono. Foresta, bosco, selva, stabiliscono un confine, un fuori, un’alterità rispetto al mondo abitato, opponendosi al dentro delle case che tanto ci contiene e ci rassicura.
Il bosco della fiaba è territorio di affascinanti opposizioni: in esso, infatti, si rischia sempre di smarrirsi perdendo se stessi, ma, allo stesso tempo, lo si percorre proprio per ritrovarsi e definire la propria identità; fra l’intrico vegetale dei boschi si possono incontrare mostri, ma solo così si può far ritorno trasformati da quei luoghi dell’ignoto.
Tutto quanto accade nelle profondità boschive, divoramenti, metamorfosi, passaggi iniziatici, abbandoni, riconduce alla dimensione del “C’era una volta”. C’era, appunto, poiché alla fine del viaggio, quando dal bosco si esce, dopo che il rito è compiuto anche attraverso la paura e la morte simbolica, c’è qualcosa di nuovo, una trasformazione, un cambiamento, una nuova storia.
In Cappuccetto Rosso, fiaba emblematica da questo punto di vista, insieme a Pollicino o Hansel e Gretel, la dimensione del bosco e dell’altrove che questo rappresenta, è lo scenario totale della fiaba, avvolge ogni passo e sospiro, ovunque ci si rivolga c’è il bosco che contiene tutto, anche la casetta della nonna. Come Renzo nei Promessi sposi combatte con la dualità della paura, dell’angoscia dell’attraversare il bosco e del perdersi in esso, come Pinocchio che, dialogando con la sua voce interna rappresentata dal Grillo parlante, si ostina ad andare avanti nonostante “l’ora tarda, la notte scura e la strada pericolosa”, Cappuccetto Rosso, più evidentemente nella versione dei fratelli Grimm, trasgredendo alle raccomandazioni materne, combatte con la doppiezza connaturata al desiderio di raccogliere fiori, di farsi tentare dal lupo, di trasgredire platealmente. La “paura della paura” è insita nel racconto della bambina che si addentra da sola nel bosco per incontrare il lupo e vincerlo. Il nucleo centrale di Cappuccetto Rosso risiede in questo: dai racconti popolari esso transita nelle rappresentazioni contemporanee, filmiche, artistiche, mediatiche e porta la protagonista ad affrontare lupi molto più simili alla natura umana e proprio per questo più inquietanti e pericolosi.
Le Cappuccetto Rosso di oggi devono attraversare foreste di cemento, perdersi in “non luoghi” altrettanto affascinanti e al contempo insidiosi, oscuri e ignoti, quanto il bosco delle epoche passate.
Si è così proceduto a mostrare alcuni albi illustrati contemporanei che sono riscritture o rivisitazioni della fiaba classica, Cappuccetto Rosso soprattutto (In bocca al lupo, C’era una volta una bambina, Nel bosco, Cappuccetto Rosso una fiaba moderna), ma anche Hansel e Gretel,
fino a individuare tracce fiabesche in boschi più o meno realistici presenti in narrazioni che non sono esplicite riscritture o trasposizioni di fiabe classiche, ma che ad esse rimandano proprio per la componente “bosco” che ha con sé quel portato inquietante e ignoto che prelude alla conoscenza di sé e dunque alla crescita (tra questi Dentro me e Ombra).
In questa fase io e Antonella Abbatiello abbiamo dialogato fra noi e con le studentesse proprio a partire da quelle illustrazioni lasciando emergere punti di vista, sguardi, interpretazioni.
In particolare, poi, a fare da “ponte” per la seconda parte del laboratorio, Antonella ha mostrato alcune sue illustrazioni,
utilizzate per la pubblicazione di Rime buie, ispirate a fiabe classiche, in cui la componente del bosco è centrale e rappresentata in modo sempre diverso. Non a caso, infatti, le sensazioni che le studentesse restituivano a partire da quelle immagini erano esse stesse legate alla forma che quel bosco prendeva.
Antonella:
Per il laboratorio avevo un unico ma importante problema da risolvere: le studentesse di Scienze della Formazione non sono artiste, perciò dovevo trovare un metodo adatto a loro. Ho pensato a Max Ernst e alla sua tecnica del frottage, che avevo sperimentato anni fa, perfetta per la circostanza.
Il frottage (traducibile in italiano con ‘sfregamento’) favorisce con facilità la creazione di immagini, in modo inconsapevole e casuale. Abbinandola al collage si ottengono immagini di grande efficacia, anche se non si sa disegnare.
La tecnica del frottage ha origini antichissime. Conosciuta dai greci in epoca classica e praticata nell’antica Cina, fu poi dimenticata per millenni.
Max Ernst l’ha riscoperta e valorizzata, sperimentando le infinite possibilità creative.
Ernst è un artista che mi ha sempre impressionato. Le sue opere sono attraenti e inquietanti, ipnotiche e cariche di mistero. Difficilmente si dimenticano.
Con questa tecnica ha creato una grande quantità di quadri dal titolo La foresta.
È la prima volta che propongo un laboratorio di questo genere. Anche per me è stata una sperimentazione, riuscire a far lavorare con facilità chi non ha mai costruito un’immagine.
Per prima cosa ho portato in aula una serie di superfici scabre, in cartone e pvc.
Le studentesse le hanno utilizzate per creare le loro carte, sfregando con i pastelli a cera la superficie dei fogli.
Questa fase le ha molto divertite, si sono sporcate le mani con i pastelli a cera (cosa rara in università) e hanno realizzato carte dagli effetti sorprendenti.
A questo punto potevamo procedere con la costruzione del paesaggio.
La scena di fondo era un foglio nero, lavorato con la stessa tecnica. E’ bastato poi appoggiare un cerchio bianco ritagliato per veder apparire un paesaggio notturno.
Ritagliando le carte lavorate, le studentesse hanno poi creato la loro foresta.
Alla fine qualcuna ha inserito un piccolo personaggio.
Come si vede dai risultati, ogni immagine è diversa dall’altra, e le atmosfere sono decisamente efficaci.
Il laboratorio mi ha dimostrato che la tecnica di Max Ernst effettivamente favorisce l’‘apparizione’ dell’immagine, che emerge quasi da sola, libera dallo schema della mente, per costruire spontaneamente mondi immaginari inaspettati.
È una tecnica facile e adatta a tutti, soprattutto ai bambini.