Non abbiamo diritto di stancarci, intervista ad Alice Bigli

[di Giovanna Zoboli]

«A me piace immaginare il lettore esperto», scrive Alice Bigli in Leggere piano, forte, fortissimo, «come qualcuno in cui tutto ciò che accade nel cervello che legge (a cui abbiamo prima accennato) si verifica più facilmente, più rapidamente, più intensamente. Dunque, immagino un lettore nella cui testa si accendono rapidamente e in grande numero connessioni tra il testo letto e altri testi, e connessioni tra ciò che legge e la sua esperienza di vita; me lo immagino riuscire a rendere vive con particolare facilità e intensità le immagini e i riferimenti sensoriali che le parole che legge evocano, me lo immagino riuscire a comprendere con chiarezza il punto di vista di personaggi anche molto diversi da lui.»

Probabilmente faccio parte di quelli che Alice chiama lettori esperti. Da che ho imparato a leggere, ho sempre letto e sempre con grande piacere e curiosità. Leggo sempre, e ho fatto del leggere e del fare libri il mio mestiere. So bene che questa facilità viene dal privilegio di una famiglia (peraltro normalissima) in cui libri e lettura facevano parte della vita di tutti i giorni, ed erano una presenza naturale e familiare. Perciò, quando è uscito il saggio di Alice Bigli, ho provato una grande curiosità, sia per il tema di cui tratta che trovo di grande interesse personale e professionale, sia perché so che Alice è una delle maggiori esperte di educazione, anzi di allenamento alla lettura che abbiamo nel nostro Paese. E in questi quasi venti anni da editore mi sono resa conto di quanto sia diventata un’impresa far leggere, di quanto lavoro sia necessario perché quella della lettura diventi una pratica, fondamentale per lo sviluppo di abilità cognitive, intellettuali, relazionali, emotive, civiche (come Alice dichiara senza incertezze, senza gli snobismi di chi afferma, dall’alto della sua raggiunta posizione, che alla fine leggere non è poi così necessario).

   

   

Spesso i lettori esperti, per la facilità con cui leggono, ignorano, se non vi si dedicano specificamente, cosa frulli nella mente dei non lettori. Invece Bigli, che pure è lettrice espertissima, in queste teste vi si è tuffata (per usare un verbo che va d’accordo con la metafora sportiva, molto azzeccata, che ricorre in tutto il saggio). E dopo anni di tuffi e di allenamento ha deciso di mostrare tutto quello che ha trovato. Qualcosa di importantissimo e che tutti noi, che ci occupiamo in vario modo di libri, a questo punto non potremo più ignorare. Ma Alice si è tuffata anche nelle nostre teste di esperti e ci mostra quello che ha trovato, e ciò un sacco di cose che non sappiamo o abbiamo sempre creduto di sapere. Insomma, credo che abbiate capito che ritengo questo saggio molto riuscito. Penso si tratti di una lettura utilissima che traccia un percorso articolato e coerente in una materia molto complessa, quella della formazione dei lettori più giovani, dai bambini agli adolescenti, con uno sguardo a 360° su ambiti disciplinari diversi, e con chiarezza, associando teoria e pratica con grande equilibrio (cosa che la rende particolarmente apprezzabile).

  

Un’ultima riflessione. Nel corso di tutto il libro, senza mediazioni, Bigli si rivolge al lettore in prima persona. Pensavo si trattasse di un artificio utile ad avvicinare chi scrive a chi legge. Poi mi sono resa conto di una cosa. E cioè che questo appello chiama in causa in prima persona perché il lavoro di chi educa o allena alla lettura (insegnanti, promotori, educatori, bibliotecari, genitori…) si fonda in modo imprescindibile su importanti questioni di fondo e, soprattutto, su motivazioni molto forti e personali senza le quali non sarebbe possibile. Perché la lettura è un fatto molto personale, i libri instaurano con il lettore relazioni molto profonde e questa è una delle ragioni principali per cui chi legge, legge. Uno dei poteri più forti dei libri è proprio questo: parlare a chi legge in modo così diretto, privato, illuminante e intimo da aprire in lui/lei uno spazio sconfinato. 

Ringrazio l’autrice per aver accolto le mie riflessioni e averle allargate, riflessioni che naturalmente in nessuno modo esauriscono la ricchezza di questo libro. Photo courtesy of Mare di Libri. Festival dei ragazzi che leggono

 

 

Ho pensato ripetutamente il tuo libro come il risultato di un’esperienza lunga e ampia, certamente di lettrice, ma anche di formatrice: in controluce si leggono centinaia di incontri con non lettori e con coloro (persone e istituzioni) che si trovano a dover educare alla lettura.

A.B. Il libro è nato proprio così, da tanti anni di esperienza di incontri di formazione e aggiornamento con gli insegnanti, soprattutto, ma anche con i bibliotecari, con i librai, con i genitori.

Incontri che a loro volta sono il risultato non solo di una riflessione teorica, ma di lavoro nelle classi e nei gruppi di lettura.

La scrittura non è per me un terreno particolarmente confortevole e, dunque, è giunta per ultima, quando i contenuti erano ampiamente affrontati e rielaborati ogni giorno nel dialogo diretto con le persone.

In queste pagine, metti in luce un paradosso: da una parte la fatica della nostra specie, proprio dal punto di vista cognitivo, di leggere; dall’altra la fame di storie che accompagna da sempre l’essere umano. Il libro sta fra questi due fuochi.

A.B. Sì, leggere non è naturale per l’essere umano: come mostrano recenti studi sul cervello, è un’attività complessa, faticosa, non strettamente necessaria alla sopravvivenza. Le storie, invece, fanno parte dei nostri bisogni fondamentali. Gli umani, nel corso della loro storia, hanno trovato tanti differenti mezzi di raccontarsi storie. I libri sono solo una delle molte possibilità. Se è vero che la lettura impegna il cervello in un modo del tutto peculiare, ora che come specie siamo riusciti a conquistarla, sarebbe un rischio perderla, considerando i benefici cognitivi che comporta.

Occorre quindi continuare a lavorare per collegare quell’istintivo interesse per la narrazione al libro come strumento e possibile risposta, consapevoli tuttavia che richiede maggior fatica. E se è vero che occorre far scattare “il piacere di leggere”, questo dobbiamo assumerlo come obiettivo e non (o almeno non sempre) come punto di partenza, considerato che molti fanno fatica a leggere e per loro l’esperienza della lettura non comporta subito piacere, ma frustrazione.



L’appello che rivolgi costantemente al tuo lettore (a cui dedichi un preambolo interessante) è quello di riflettere su ciò che sta facendo, ha fatto o sta progettando. Un lavoro di autovalutazione imprescindibile. Questo è in diretta relazione con un’altra cosa che ripeti nel corso di tutto il saggio: allenare, educare alla lettura è il frutto di una pianificazione rigorosa e di un lavoro costante.

A.B. Penso che nella mancanza di sistematicità, di progettazione consapevole e di riflessione, in quel virtuoso circolo teoria – prassi – teoria che dovrebbe caratterizzare le pratiche educative, stia il fallimento di tante attività proposte attorno alla lettura.

Occorre, prima di tutto, porsi in modo autentico, mi verrebbe da dire maieutico, la domanda: perché vogliamo che bambini e bambine, ragazzi e ragazze leggano?

Cosa pensiamo offra alla loro esperienza di crescita e di vita? Spesso percepiamo la sensazione di un valore, ma in modo implicito e indefinito, oppure associamo la lettura a obiettivi minimi rispetto a quelli reali. Fermandoci, invece, a rendere esplicito il senso di ciò che stiamo facendo possiamo iniziare a progettare i nostri interventi in modo più consapevole.

Se il nostro obiettivo è quello di formare “lettori per la vita” dobbiamo poi riconoscere che difficilmente saranno le esperienze occasionali a raggiungerlo. Ci sarà invece bisogno di costruire un’abitudine alla lettura, un allenamento, appunto, che come ogni allenamento avrà bisogno di un approccio costante e progressivo.

È molto interessante quello che dici a proposito del diritto dei ragazzi alla contemporaneità, questione che è in relazione a quella delle competenze di chi sceglie libri e compila bibliografie.

A.B. A me piace proprio pensare alla dimensione del contemporaneo come a un diritto delle generazioni più giovani e questo non solo in rapporto ai libri. Credo che bambini e bambine, ragazzi e ragazze, dovrebbero avere accesso ai migliori contenuti culturali del loro tempo.

Spesso offre maggior sicurezza fare proposte attingendo a un canone, o anche solo a libri recenti, ma rispetto ai quali esistano già alcuni anni di critiche positive e riconoscimenti.

Quando, per esempio, un insegnante decide di proporre la lettura di un libro appena pubblicato si sta, nei fatti, sbilanciando in prima persona in un giudizio critico e credo che questo faccia parte del compito di un educatore alla lettura.

Merita estrema attenzione anche quello che dici a proposito dei libri ‘brutti’ e dei libri ‘a tema’.

A.B. Queste sono due questioni complesse, scivolose, che trovo spesso affrontate in modo un po’ ideologico e a volte un po’ ipocrita.

Le nostre biografie di lettori adulti, persino se siamo lettori esperti, difficilmente sono un elenco di letture tutte appartenenti al canone, tutte criticamente inattaccabili, tutte scelte per il piacere dello stile e il puro gusto della letteratura.

Credo inoltre che una chiave di riflessione importante su questi temi venga dal ragionare più spesso non del singolo libro, ma di un corpus di libri, che si tratti di quelli effettivamente letti o di quelli messi a disposizione di un bambino o di una bambina o più in generale di quelli pubblicati.

 

  

Mi ha molto divertita il capitolo che dedichi agli incontri con l’autore, nell’ambito delle strategie di promozione della lettura, un’usanza sulla quale da anni nutro dubbi inconfessabili. Oltre a farmi sorridere, le tue riflessioni in proposito mi sono sembrate molto puntuali.

A.B. L’incontro con l’autore è una delle attività legate alla lettura che si è più diffusa nelle scuole, spesso è però legata a una sorta di pensiero magico ovvero all’idea che sia l’incontro a generare automaticamente lettura e lettori.

L’incontro con l’autore dovrebbe prima di tutto essere contestualizzato in un lavoro di educazione alla lettura sistematico e non essere IL progetto di educazione alla lettura. Inoltre, anche i questo caso, spesso c’è una domanda implicita non affrontata: cosa ci aspettiamo che accada in questo incontro? Rendere invece esplicita la domanda, fermarci a riflettere sul senso di questa pratica, può aiutarci a progettare l’incontro in modo da riempirlo maggiormente di senso.

A proposito di questo, ho davvero apprezzato un aspetto del saggio: la tua capacità di mettere in dubbio e smontare molti luoghi comuni e idee diffusissime su lettura e i ragazzi a cui tutti per anni ci siamo attenuti senza troppo rifletterci su.

A.B. I pregiudizi, gli stereotipi e le frasi fatte attorno alla lettura sono diffusissimi. I pregiudizi più lontani dalla realtà vengono spesso alimentati da un discorso attorno alla lettura dei più giovani che lascia poco spazio a dati concreti e a voci esperte.

Altre voci che dovrebbero avere maggiore spazio sono quelle delle ragazze e dei ragazzi lettori, il cosiddetto target. Anche in certi contesti di addetti ai lavori mi piacerebbe proporre un piccolo slogan un po’ provocatorio: non parlate del target, parlate col target.

Ho trovato estremamente apprezzabile anche il tuo mettere in chiaro con energia e rigore una cosa che chiara non mi pare esserlo affatto, chiara, gravata non solo da cospicue difficoltà oggettive, ma anche da atteggiamenti come pigrizia, autoassoluzione, fatalismo: non solo educare alla lettura, oggi, non è una battaglia persa in partenza, ma è un preciso dovere di chi si occupa di educazione, che si tratti di istituzioni o persone.

A.B. Sì, questo è esattamente il mio pensiero.

Educare alla lettura può essere senz’altro faticoso, ma si tratta di una fatica pienamente giustificata dalla posta in gioco.

Crescere lettori offre delle opportunità straordinarie a cui tutti i bambini e le bambine dovrebbero poter avere accesso.

A scuola, per esempio, non ci si può rassegnare a riprodurre la familiarità con i libri e la lettura creata in famiglia. Una scuola autenticamente democratica è anche una scuola in cui leggere può diventare davvero parte delle abitudini di quegli alunni che a casa non hanno avuto un incontro precoce e positivo con i libri.

Quando assisto ad atteggiamenti di rinuncia davanti a obiettivi che giudico importanti non nego la fatica che spesso porta a quell’atteggiamento, ma penso sempre alla potente chiusura di un racconto di Rodari, L’armonica del soldato:

Non ha diritto di stancarsi. Non ha diritto di perdere la pazienza chi sa che dipende da lui rendere il mondo più buono. E tutti lo sappiamo.

Occorre essere onesti: o non diamo alla lettura un vero valore, e allora dovremmo risparmiare tante frasi fatte attorno a essa, oppure glielo diamo, e allora, semplicemente, non abbiamo diritto di stancarci.