Se crescere è una sfida, vi sfido a crescere in classe

[di Giorgia Atzeni]

Il mio tortuoso percorso di precariato nella scuola secondaria di primo e secondo grado, ormai giunto al capolinea, è stato intenso. Talvolta l’ho raccontato, gentilmente accolta, sulle pagine di questo blog. Convocata senza sosta, negli ultimi dieci anni ho tenuto lezioni a tempo determinato sia alle medie sia alle superiori. A volte per un intero anno, altre volte per brevi sostituzioni mensili. Il fascino dell’insegnamento, per quanto mi riguarda, sta nella routine del cambiamento perpetuo.

Ciclicamente, ogni tornata è costellata di episodi divertenti. Il trucco sta nel tirare fuori dal cilindro questo o quello stratagemma per “agganciare” il maggior numero di alunni annoiati o delusi dalla scuola attraverso attività creative, possibilmente di stampo laboratoriale. L’approccio è sempre il medesimo, mai frontale, ma laterale, a prescindere dall’ordine e grado. Ricordo con impacciato affetto una classe di sedicenni. Un incarico, quello all’IPSIA Meucci, Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato di Cagliari - lo confesso - accettato con leggerezza. Una di quelle situazioni surreali dove non trovi una-ragazza-una nel circondario. Affrontali, venti ipercinetici promettenti elettricisti e potenziali meccanici con la letteratura sottobraccio! Stanare il poeta, valorizzare quanti mettano il soggetto in una frase o scovare chi sappia concordare i verbi secondo la consecutio temporum è impresa quanto mai proverbiale. Sono giovani uomini a cui piace la “parte pratica”. Svitare, avvitare. Mai partire scoraggiati o in contropiede perché la tua disciplina non è per loro attraente. L’accoglienza è la chiave e, visto che di antenne se ne intendono, occorre sintonizzarsi.

Ottimista come sempre, mi presento in pompa magna. Il primo giorno dell’ultima tranche del secondo quadrimestre, la profsupplentedilettere varca l’uscio dell’aula priva di libro di testo, in tenuta anti-panico, munita di contenitore pieno di pastelli a cera e numerose pagine fotocopiate con mandala di varie fogge.

«Ma prof dobbiamo fare questo? Colorare?»

«Sì certo, oggi si colora dentro gli spazi. Mi raccomando, non uscite dai contorni!»

Silenzio assoluto per due ore. Mansueti come agnelli, come in ipnosi regressiva nel loro Io bambino, i baldi giovani abbinano colori complementari come se non avessero fatto altro nella vita. Che armonia!

«Ci vediamo settimana prossima. Verifica di storia romana. Lascerò un manuale sulla cattedra, potrete sfogliarlo almeno una volta!». Tanto se non hanno studiato, non sanno nemmeno dove cercare.

Il giorno della prova consultano, sì, e scrivono pagine e pagine. Non vi dico come, ma scrivono. Ecco cosa manca nelle classi: accoglienza, un po’ di follia e fiducia. Un po’ di tregua e un diversivo non si negano a nessuno. Cos’è tutta questa fretta di parafrasare Ariosto? Se avrete la pazienza di seguirmi, forse scoprirete che la prof Atzeni non viaggia sopra le righe, ma applica pedissequamente le direttive della Scuola Italiana, istituzione molto migliore di quanto sia possibile immaginare. Almeno sulla carta.

La prof Atzeni.

Le flessibilissime Indicazioni nazionali, in vigore dall’anno scolastico 2012/13, dispongono che la scuola dell’infanzia si strutturi secondo “Campi di esperienza”, mentre nella scuola primaria e secondaria di primo grado siano impartiti, con un piglio trasversale, l’Italiano, la lingua Inglese e un’altra lingua comunitaria, la Storia, la Geografia, la Matematica, le Scienze, la Musica, l’Arte, l’Educazione fisica e la Tecnologia. Fin qui niente di nuovo, tranne l’ingresso in grande stile dell’Educazione civica, da quest’anno assurta a vera e propria materia sghemba per la bellezza di trentatré ore. Ogni disciplina ha un suo frontman, ovvero un docente laureato, specializzato in un ambito circoscritto. Dal momento però che la scuola è investita da una domanda che comprende, insieme, l’apprendimento e “il saper stare al mondo”, tutti i prof riuniti nel consiglio di classe dovrebbero avere un obiettivo comune: promuovere la capacità degli studenti di dare senso alla varietà delle loro esperienze, sempre tenendo presente la complessità del contesto culturale in cui si trovano persone e scuola. È più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che incontrare colleghi - ahimè - che rinuncino alla loro specificità in favore della trasversalità e si prodighino per valorizzare, personalizzando, apprendimenti e obiettivi. È molto più facile “spiegare/interrogare”, avere in mente lo “studente ideale”, esaltare “quello tutti dieci” e svilire i restanti: se non sei così (PERFETTO), ciaone!

Il duro compito della scuola lifelong-learning è invece sostenere l’apprendimento di tutti, bambini e bambine, ragazzi e ragazze in modo autonomo e consapevole, perché vengano innescati processi di pensiero critico e di costruzione di un progetto di vita flessibile e sostenibile. La persona è al centro, pertanto devono essere favoriti i bisogni formativi di ciascun alunno personalizzando i percorsi. Insomma, l’obiettivo è il successo di tutti gli studenti. Il successo, capito? Se questo son chiamata a fare, per contratto, promuoverò l’affermazione di ogni discente con tutti i mezzi a mia disposizione, non esclusa la «sopraffina strategia psicologica» (Valentina Petri docet). Freghiamoli con niente, per capire chi abbiamo davanti; perché “il programma prevede” - forse non tutti lo sanno - non esiste più, mentre all’orizzonte c’è lo sviluppo delle competenze. Insomma non bisogna ammaestrarli, ma insegnar loro a imparare.

Ovviamente senza la cieca fiducia da parte dei protagonisti dell’apprendimento non può esservi apprendimento alcuno: esente da ogni implicazione di tipo punitivo, il solo scopo del corpo docente è far sì che gli studenti migliorino nel tempo; si evolvano, guidati, in ambito culturale anche in funzione orientativa. Infine, poiché l’apprendimento è un fatto relazionale, sollecitudine accogliente, empatia e maieutica devono essere imprescindibili nel processo di apprendimento, soprattutto nel passaggio dallo status di bambino a quello di adulto. Non devono mancare i contenuti, ma non devono mancare nemmeno il gioco o la risata.

Così quest’anno nella scuola media di via Piceno a Cagliari, in un clima tutt’altro che sereno, tutti mascherati, tutti zitti e buoni, fermi fermi al banco, superigienizzati, decreti aggiornati alla mano e persino preoccupati per l’aumento di casi di Covid-19 in una classe sì e una no, mi sono sintonizzata con gli allievi puntando sulle challenge creative, sfidando gli studenti su più fronti. Se per esercitare una cittadinanza attiva e consapevole bisogna puntare sulle soft skills, io mi butto sulla sfida pratica e trasversale a tutto tondo in modo assertivo; per la mia gioia, in compagnia di colleghi ben sintonizzati e pronti a tutto.

La sfida numero uno è stata in classe. «Io non sono qui per spiegare: siete voi che dovete animare le lezioni per imparare a parlare in pubblico». Perciò si parte con l’assegnazione di ricerche e temi dall’Illuminismo al Fascismo. La competenza digitale passa attraverso elaborati con slide di ambito geo-storico. Naturalmente recuperiamo contenuti di analisi logica, perché la Prova Invalsi non ce la leva nessuno. Incontriamo gli autori, a distanza, in primis Silvia Vecchini. Come ogni anno, certamente scriviamo. Verbalizziamo quanto accade a scuola, redigendo articoli per il giornale Il Sole 5 Ore, pubblicato periodicamente sul sito della scuola.

Il primo numero de Il Sole 5 Ore.

L'articolo sull'incontro con Silvia Vecchini.

La seconda sfida viaggia fuori dalla classe: trasformare gli spazi esterni dell’Istituto, renderli più accoglienti per creare le aule all’aperto. La mia super collega dal pollice verde Tiziana Puddu ha creato l’orto biologico in alcune aiuole abbandonate da secoli. Coi ragazzi ha fatto crescere l’impossibile predisponendo il terreno, zappando, seminando, raccogliendo il grano subito trasformato in farina e assaggiando il raccolto. Dalla terra alla tavola!

La predisposizione per l'orto.

 

Zappiamo e seminiamo.

Piantiamo.

 

Raccogliamo e maciniamo.

Insieme abbiamo avviato pure un progetto sulla street art e, dopo aver spiegato che l’arte esce dai musei per invadere le strade, e che non tutto è vandalismo, con soli cinque barattoli di tinta abbiamo dato nuova vita alle tristi pareti delle pilotis ispirandoci alla geometria di Kandiskji filtrata attraverso le bambole di Lesley Barnes (autrice dello strepitoso volume pop-up Bauhaus Ballet).

Pittura e reportage a cura degli studenti.

Per concludere, ho presentato alla classe un elenco di competenze per le quali non serve né talento né allenamento:

  • Arrivare puntuali;
  • Essere gentili con tutti;
  • Appassionarsi a qualcosa;
  • Credere in sé stessi;
  • Essere pronti al cambiamento.

Va premesso che alle scuole medie, poiché sei convocato per insegnare una specifica materia, la incarni. Sei la personificazione della Matematica, la paladina delle Scienze, l'emblema della Musica, l'accento dell'Inglese. Se insegno Geografia varcando la porta, io assumo la forma tonda di un mappamondo o quella piatta di un planisfero: sono Geografia e di Geografia devo parlare. Quindi, quando mi capita di proporre delle variazioni sul tema nelle classi dove insegno una data materia, gli alunni non si aspettano che io possa parlare anche d'altro in maniera approfondita.
 Qualche volta sono entrata in classe e ho detto: «Oggi sono Arte!
».

«Come??? No, lei è Geografia; a noi lei piace come Geografia!»

«
Datemi una chance, ragazzi belli!»

Ecco quest’anno, nel corso delle DDI nelle due settimane di Zona Rossa in Sardegna ho detto che non sarei stata più la loro insegnante di Italiano, ma di Musica con l’approvazione della collega titolare. E così è partita la challenge. Ho registrato un video dove ho spiegato in cosa sarebbe consistita l’attività da svolgere a casa e poi li ho sfidati a realizzare delle riprese originali in cui mostrare i loro talenti. Io, dal mio canto, ho cantato dal vivo A spoon of sugar dal musical Mary Poppins e senza inibizioni gliel’ho inoltrato sulla classroom, nostro canale a distanza. Non so assolutamente quale sia stata la loro reazione all’ascolto, ma vi garantisco che nessuno si è tirato indietro. Se lo fa la prof...!

Alcuni hanno recitato monologhi (scritti da loro), altri hanno cantato e suonato insieme in inglese, alcuni hanno cucinato, gli alunni stranieri ancora hanno tradotto poesie dal cinese e altri hanno condotto tutorial su “come si fanno le treccine”. Ed ecco che sono venuti fuori coraggio, autostima, creatività, self-control, capacità organizzative e approccio proattivo. I miei alunni di terza hanno appena sostenuto l’esame di licenza, mettendo in campo il bagaglio delle competenze maturate, sorprendendo la commissione che ha premiato i loro sforzi senza dimenticare la curva epidemica. Perché questi ragazzi sono molto migliori di quanto noi adulti possiamo solo immaginare. Basta solo avere fiducia in loro.

«Chissà» gli ho detto licenziandoli, «magari ci rivediamo alle superiori!»

Messaggistica analogica in classe.