In questi mesi ci siamo occupati spesso, su questo blog, di DAD, ovvero didattica a distanza. Lo abbiamo fatto attraverso le voci di diversi insegnanti: Michele Longo, Barbara Cuoghi, Enrica Buccarella, Anna Mazza, Elena Turetti che hanno dedicato diversi articoli al difficile passaggio della scuola nelle strettoie della pandemia e dell'emergenza sanitaria. Naturalmente non siamo stati gli unici perché ovunque si è parlato di questo tema, in ogni ambito mediatico, culturale e politico. Le scuole chiuderanno l'8 giugno, così, a fronte di questa data che segnerà l'uscita, almeno per la prima parte dell'anno, da questa contingenza, abbiamo accolto un'altra voce, quella di un ragazzo di 16 anni, che frequenta un liceo lombardo, e che la scuola (che non è stata comunque solo DAD intesa come fatto tecnologico), proprio come gli insegnanti, l'ha vissuta giorno per giorno. Quelle che leggerete sono le sue parole. Come gli insegnanti hanno punti di vista diversi, così è per i ragazzi. Questo è uno sguardo fra i molti che sarebbe interessante sondare, perché una cosa è certa: fra le mille voci adulte, spesso coinvolte in polemiche feroci, poco si sono sentite quelle di bambini e ragazzi che la scuola la fanno tutti i giorni, a distanza e non. E sarebbe importante ascoltare.
[di S.B., di anni 16]
Come ho vissuto il lockdown?
È molto difficile individuare un termine preciso che possa rispondere adeguatamente alla domanda.
Si potrebbe definire questo periodo come uno stallo, come un periodo concessomi dal destino solo e unicamente per farmi riflettere sulla mia figura e per donarmi l’opportunità di osservare la mia vita da spettatore e di conseguenza pormi la domanda essenziale che segnerà senza ombra di dubbio la mia vita su questo mondo.
Sono davvero colui che credo di essere?
Questo periodo mi ha dato la possibilità di volgere uno sguardo su passato e futuro districandomi quasi del tutto dal presente (fatta eccezione per gli impegni scolastici) dandomi appunto l’opportunità di fare un confronto tra ciò che ero, ciò che sono e ciò che voglio essere.
Tutto ciò, accompagnato dal ronzio del computer che ormai è onnipresente durante le mattine degli studenti italiani da circa tre mesi a questa parte.
Pensandoci, è terrificante quanto sia profonda e indistruttibile la catena che ci lega alla tecnologia. Se un domani dovesse saltare completamente il Wi-Fi, io sarei fuori dal mondo, e non si parla solo di quello scolastico, ma letteralmente di tutto il mondo.
Non che io sia contro la didattica a distanza, anzi, è l’unico sistema che si possiede per continuare, seppur in maniera spicciola, il programma annuale. Certo però dev’essere che l’orario di video lezione giornaliero non deve assolutamente arrivare alle quattro/cinque ore perché, dal mio punto di vista, è inumano parlare per cinque ore con un oggetto pseudo inanimato.
La vita scolastica è divenuta, come d’altronde tutto il resto del panorama sociale, molto insolita. Per dare un assaggio di essa a chi non ha avuto modo di averne a che fare, la mia mattinata si svolge in tal modo: la sveglia varia a seconda dell’orario, dunque a seconda della prima materia, seguendo l’originale orario scolastico, disponibile per le video lezioni. Dopo la sveglia, mi concedo una breve colazione, mi sistemo e accendo il computer. L’accensione del computer la vedo un po' come il suono della campanella che segna l’inizio delle lezioni. L’orario e la quantità delle lezioni vengono poste a seconda dell’originale orario scolastico e di media sono circa due ore e mezza al giorno (nel mio caso). Talvolta, tra una lezione e l’altra vi sono presenti ore buche. In quel caso, mi dedico a staccarmi dal computer per riprendermi, svolgendo attività quali la lettura o brevi passeggiate con un atteggiamento da lobotomizzato mugugnante (è pur sempre mattina) in giro per casa.
In definitiva, il lockdown lo sto vivendo come un’opportunità di rivedere me stesso, ma anche di provare la mia capacità di affrontare grandi cambiamenti.
Attenderò con impazienza l’arrivo del prossimo anno scolastico.