[di Cecilia Marcon]
Valmirtilla è nata il 16 settembre, con una festa di intensità inattesa. Ma in Valmirtilla, in realtà, io ci sono nata e cresciuta, sotto una montagna altissima chiamata Croda Granda, con il rumore del torrente sotto casa e il bosco da esplorare appena fuori dal portone. Gosaldo, qualche centinaio di anime a 1.200 metri di altezza fra le dolomiti bellunesi, un posto meraviglioso abitato da leggende antichissime e paurosissime come l'Om Salvarech, el Matharol, le Cavestrane (storie da rabbrividire che all'epoca si potevano, anzi, si dovevano raccontare), un posto dove ho imparato a costruire capanne, a difendermi dai minacciosi nemici a colpi di pigne e a inventarmi l'arcobaleno da un foglio bianco. Quando un po' più grandicella sono approdata a nuovi lidi, quel bagaglio di curiosità mista a spensieratezza è stato il modo irrinunciabile con il quale ho affrontato (quasi) ogni cosa, persino la creazione di una libreria e giocattoleria per l’infanzia.
Confesso subito una cosa: da bambina non ero una grande lettrice. Ricordo di essere sempre stata attratta da una raccolta di fiabe e di averla spesso sfogliata da sola, soffermandomi sulle illustrazioni di Barbablù che mi raggelavano ogni volta, ma che non riuscivo a smettere di guardare. Ricordo anche la pesantezza dei riassunti e delle schede sui libri, alle medie. E quella domenica sera che mio fratello si lesse tutto d’un fiato Cuore per aiutarmi a finire i compiti.
Il vero piacere per la lettura è arrivato più tardi, quando le montagne che mi circondavano iniziavano a starmi strette e i libri mi aiutavano a scavare gallerie verso nuovi orizzonti che un po’ alla volta sono andata a conoscere di persona, salutando il mio paese, ma lasciando sempre la porta aperta. Per una piccola Heidi che approdava in città (Trieste prima, Verona poi), i libri sono stati rifugio e ali, indispensabili rocce alle quali aggrapparsi o dalle quali spiccare il volo. Quando è nato il mio primo nipote ho pensato subito che io sarei stata la zia dei libri, perché gli volevo troppo bene per regalargli altro. E così è stato per i miei figli: sono stata e sono la mamma dei libri. Non perché da grandi debbano per forza diventare lettori, ma per regalargli parole, immagini, per presentargli un mondo di possibilità. E perché non c’è niente di meglio dell’accoccolarsi sul divano e approfittare di un tempo lento per annusarsi e ascoltarsi.
Uno dei primi libri destinati a mio nipote Alessandro si intitola Gustavo Super Caribù. Non è il libro più bello, ma per certi versi è il più importante, come quelle canzoni che ti ricordano un'estate unica, o quei film che non entreranno mai nella storia del cinema, ma di cui conosci a memoria ogni scena e ogni dialogo. Gustavo è, per l’appunto, un caribù, impegnato a inseguire gli scrunfi, mostriciattoli violacei goffi e paffuti che hanno rubato tutti i dudù agli abitanti del paese di Valmirtilla. Questi esserini ancora oggi gironzolano nei nostri pensieri, ma soprattutto ogni tanto spuntano in qualche angolo della casa perché, magia delle storie e magia dei bambini, anche se io non so disegnare, uno scrunfo ve lo dipingo a occhi chiusi. A poco a poco ho sentito il desiderio sempre più martellante di far rotolare tutte quelle storie oltre le mura della mia casa, di rendere accessibile anche agli altri tutta la bellezza che avevo trovato. Sono nati quindi prima i pomeriggi di lettura condivisa nella biblioteca del mio paese, che ho sempre vissuto come una grande responsabilità: lo facevo da volontaria, ma volevo regalare ai bambini e ai genitori libri di qualità e allora i pomeriggi liberi sono diventati missioni in biblioteca, alle fiere, ai festival, nelle librerie.
Come sono arrivata da qui a licenziarmi e ad aprire Valmirtilla? È una bella domanda. Perché al di là di sogni, passioni, trecce e occhi a cuoricino che mi accompagnano, c’è la forte consapevolezza di andare controcorrente e di fare largo a un’idea folle, chissà quanto e per quanto sostenibile. «Sei coraggiosa» è quello che mi sento ripetere più spesso ed è una frase che, più che un’iniezione di stima, suona come un «Auguri» a denti stretti. E ci sta: potevo rimanere una mamma appassionata di letteratura d’infanzia e invece no, ho voluto improvvisarmi libraia.
Un mestiere meraviglioso quanto complicato, sotto molti aspetti: ho capito che amare i libri non è sufficiente, bisogna saperli leggere, valutare, selezionare. Io non ho vergogna nel definirmi una libraia acerba, ma che ha voglia di crescere e imparare. Nell’intraprendere da sola questa strada c’erano molte paure: prima su tutte la fatica per la gestione a 360° di un negozio, poi la ricerca, giorno dopo giorno, di nuove idee per educare alla lettura e offrire qualcosa di utile al proprio territorio. Nell’est veronese, dove vivo, non esisteva una libreria dedicata ai bambini e peraltro nemmeno una giocattoleria. La sensazione, dopo queste prime settimane di vita, è che l’esigenza non la sentissi solo io: sono molte le famiglie che vengono a trovarmi e che si aggirano tra gli scaffali con aria beata e grata. Questa è sicuramente la prima soddisfazione.
Quando pensavo a Valmirtilla la immaginavo come uno spazio aperto, arioso, profumato di legno, tanto bianco e piante verdi, un luogo che destasse curiosità e invitasse a entrare. La credenza della nonna, dimenticata per trent’anni in cantina e portata a nuova vita grazie a un lavoro di squadra con babbo e fratello, s’intravede dalla strada ed è sicuramente il primo biglietto da visita: mi piace pensare che ricordi le botteghe di un tempo e trasmetta un senso di casa. Lì di fianco, il mio primo chiodo fisso: un angolo morbido per la lettura molto artigianale che ha già i suoi estimatori, costruito con pazienza dopo varie missioni da Brico e Leroy Merlin. Poi l’ambiente spazioso mi ha permesso di organizzare un angolo gioco, grazie a un tavolino a cassetti (uno cerca un lettino montessoriano… e poi compra un tavolino!) che permette ai piccoli e ai meno piccoli di esplorare, giocare, inventare. E se tutto questo non fosse sufficiente, a Valmirtilla ci sono anche una scrivania con carta e colori e una parete dove appendere le opere d’arte. Non è una ludoteca, ma una libreria da vivere con calma, dove l’acquisto non sia necessariamente fulmineo, ma possa prevedere un’esperienza in più, che sia di gioco o di lettura.
Ho sudato le fatidiche sette camicie per arrivare all’apertura e, come la piccola Alison di Wondriska, posso ritenermi orgogliosa perché ho fatto tutto da me, come mi ripeto ogni mattina alzando la serranda in Piazza del Popolo. Da soli, però, si fa poca strada e del resto per indole ho sempre avuto bisogno di confrontarmi con gli altri: ecco perché prima di partire per questa avventura ho sentito l’esigenza di salutare Lucia di Farfilò e il suo magico armadio custode di tanti miei pomeriggi. Ed ecco perché, già dai primi giorni di vita, Valmirtilla ha fatto capolino fra gli eventi di alcune associazioni del territorio: in futuro le porte della libreria saranno sempre aperte a collaborazioni con realtà locali, incontri con gli autori e iniziative promosse con altre librerie, perché solo mettendo insieme energie e competenze possiamo nutrire di parole e immagini il mondo attorno a noi.
Nel frattempo chi fosse affamato di storie può programmare il suo viaggio a San Martino Buon Albergo: fra la valle di Marcellise e la valle di Mezzane, è spuntata Valmirtilla. Se vi va, potete aggiornare le vostre mappe.
Il taglio del nastro a Valmirtilla.