Veronica, pupazzaia per vocazione

[di Veronica Alemagna]

Sono un architetto, ma amo da sempre cucire e rendere tridimensionali immagini in due dimensioni, mantenendo le proporzioni, riproducendo le espressioni.

La fonte principale d'ispirazione per me sono le parole, le immagini e i personaggi dei libri scritti e illustrati da mia sorella: Beatrice Alemagna. Mi piace l'idea di poter toccare il protagonista di un suo libro e provare a farlo uscire dal libro stesso. Adoro cucire: un paio di forbici, un ago, un filo e divento felice, mi rilasso, entro nel mio mondo. Quello che segue è il racconto di come questa cosa ha avuto inizio.

Erano i primi anni Ottanta, forse il 1981. Avevo tra gli 11 e i 12 anni e mia sorella Beatrice ne aveva all'incirca 8. Era un interminabile pomeriggio di una domenica d'inverno e Beatrice, per affrontare la noia, aveva avuto l'idea di crearsi una collezione di orsi di peluche. Ne aveva solo due o tre, allora, e procurarsene altri in quel momento non era possibile. Così cominciò a disegnare gli orsi che sognava nella sua collezione immaginaria, inventando disegni fantasiosi e dettagliati. Disegnavamo moltissimo durante l'infanzia, lei e io: lunghi pomeriggi con matite e pennarelli, sul grande tavolo di cucina.

Fu allora, guardandola mentre disegnava con quell'energia, che mi venne l'idea di creare io un orso per lei, partendo da uno dei suoi disegni, da quello che più le piaceva: così decisi di farle una sorpresa, andai a prendere un asciugamano marrone dall'armadio (alla fine degli anni Settanta la biancheria per la casa era spesso di colori autunnali) e mi chiusi in camera, disegno alla mano, a cercare di copiare e di fare uscire il mio orso dal suo foglio.

Va detto che avevamo una nonna, maga del cucito, che ci confezionava vestiti, gonne e abiti meravigliosi, e avevo già provato con lei a tenere un ago in mano, essendone da sempre molto affascinata. Dunque non era la prima volta, lo sapevo fare già un pochino. Così cominciai, tremante, a tagliare l'asciugamano, cercando di capire che forma dovevo scegliere per trasformarlo, una volta imbottito, nel disegno.

Mi industriai in mille modi , tagliai, cucii (malissimo, ma reggeva), rigirai, imbottii con del cotone idrofilo preso tra i medicinali, improvvisai il muso con tre bottoni spaiati per gli occhi e il naso, ricavai le orecchie dagli angoli dell’asciugamano... e dopo parecchio tempo uscii trionfante dalla camera con una cosa informe che vagamente si apparentava ad un orso.

Fu grande la mia delusione perché Beatrice non ne fu affatto entusiasta: l'idea le piacque ma era delusa dal risultato. Mi disse che non assomigliava per niente al suo disegno: la testa era troppo piccola, il corpo troppo largo. Dunque, un po' contrariata, scucii e tagliai, ricucii, disfai e rifeci e in effetti, dopo gli aggiustamenti, il risultato finale era molto migliore e Beatrice applaudì entusiasta e saltellò di gioia ringraziandomi e chiamandomi la sua pupazzaia.

Poi corse a mettere l'orso insieme ai suoi, sulla mensola che avrebbe ospitato la sua collezione.

Che soddisfazione! Perfino nostra madre, pur non avendo assistito all’evolversi della vicenda, visto il nostro comune entusiasmo e la nostra felicità, non mi sgridò per avere sacrificato uno degli asciugamani più alla moda di casa.

Questo è l'inizio della mia storia. Da quel giorno ho sempre amato l'idea di dare, con la stoffa, una terza dimensione ai personaggi dei disegni di mia sorella: il gatto di un suo manifesto, la bambina di una sua cartolina. Ma anche altre cose: personaggi e oggetti che mi ispirano e che tento di riprodurre, cercando di affinare nel tempo la mia personale tecnica sartoriale.

Quando Beatrice poi ha cominciato a scrivere e a pubblicare libri, questo è diventato un appuntamento praticamente fisso: ogni regalo di Natale o compleanno è stato, ed è, il personaggio di stoffa del suo ultimo libro. Non ho una tecnica precisa per farli: alcuni sono più elaborati, altri più semplici, alcuni necessitano di giorni di studio e lavoro preciso e minuzioso, altri sono realizzati in poche ore.

Il Perfetto, il Piegato e il Capovolto, da I Cinque Malfatti.

Un grande giorno di niente.

 

Il meraviglioso Cicciapelliccia.

Per ognuno di essi studio in primo luogo che dimensione finale dargli per ottenere il risultato migliore, poi faccio una ricerca sui materiali: la loro similitudine con il disegno, infatti, è fondamentale per la riconoscibilità e dunque la riuscita dell'oggetto finale.

Il pelo perfetto per fare il Cicciapelliccia, ad esempio, l’ho trovato solo a Parigi, in un negozio di stoffe estrose e pellicce dai mille colori di Pigalle, ma la maggior parte dei materiali viene dalla mia ricca collezione di vecchie stoffe e bei vestiti dismessi.

La camicia del Perfetto, infatti, è ricavata dalla stoffa di vecchi pantaloni estivi di mio padre, la gonna di Edith invece deriva da una mia giacca, ormai fuori moda, in tessuto di lana mélange. Altri materiali sono improvvisati e inventati al momento: per fare l’impermeabile del bambino protagonista del libro Un grande giorno di niente ho utilizzato il tessuto di un ombrello rotto; il corpo del Molle, invece, è imbottito di una sabbia particolare, che rimane umida e, appunto, molle.

Creare questi pupazzi e cucirli è diventata una grande passione per me e persino un po' una sfida. Trovo parecchio stimolante l'esercizio di dare una dimensione tridimensionale a immagini piatte. Oggi a casa mia ho ricavato un angolo-laboratorio, dove lavoro con ago e filo appena posso.

Piccolo grande Bubo.

Ultimamente mi sono dedicata anche ai laboratori con i bambini: pomeriggi dedicati alla lettura animata dei libri di Beatrice con l’aiuto dei pupazzi, e all’attività di realizzazione da parte dei bambini di manufatti materici che riproducono i protagonisti dei libri letti, anche attraverso l’identificazione nei personaggi e il riconoscimento delle proprie emozioni.

Non è la mia attività principale, ma adoro il mio mondo di pupazzaia.

Qui di seguito alcune immagini dei miei pupazzi, esposti alla mostra di Beatrice Alemagna, À tirà i salti!, in corso a Bastia, fino al 22 dicembre, al Centre Culturel Una volta.