[di Giorgia Atzeni]
Da quando mi sposto per gli anditi del Liceo Artistico Foiso Fois di Cagliari con il mio nuovo trolley, ovvero la mia biblioteca-laborator-armadiomobile carica di libri, timbri, aghi, lana rossa e altri accessori per scopi para-letterari, le mie spille sono passate in secondo piano. Nessuno le nota più! Nel mio nuovo anno di precariato alle superiori sono diventata la prof con la valigia. «Dove va, signora Atzeni, parte?». Sì, come ogni giorno, parto. Non da sola però! Porto gli alunni in viaggio. Un bel tour nel mondo della poesia. «Ah, quindi leggete testi poetici?». A dire il vero li scriviamo. Componiamo. Giochiamo con le parole. Copia. Taglia. Ritaglia. Incolla. Scrivi. Cancella, riscrivi. Prendo in prestito le parole di Joël Bastard e dico «Considero la scrittura come un bricolage».
«Un progetto ambizioso!». Certo, conoscere e apprezzare le opere dei Grandi è indispensabile; catalogarle, metterle in fila su una linea del tempo è un esercizio utilissimo. Poi ci sono le figure retoriche, c’è la metrica: un linguaggio complicatissimo, un delicatissimo gioco di incastri ritmici. Insomma non è facile trovare la passione per i versi, catturare l’attenzione di un gruppo di quindicenni quando il testo non è in prosa. In più, diciamolo, non siamo più alle Scuole Medie, dove gli alunni hanno gli occhi che brillano, argento vivo, pieni di entusiasmo per tutto ciò che il docente propone. Alle superiori tira aria di diffidenza e, talvolta, di indifferenza.
Quando, con i miei soliti voli pindarici, dico loro che anche il rap ha le sue regole (perché le norme esistono anche – soprattutto - nell’ambito delle sfide in freestyle con le sue rime strutturate o meno, comprensive di assonanze e giochi di parole che tanto piacciono) e propongo l’arricchimento lessicale attraverso l’uso dei dizionari e dei rimari, mi guardano perplessi. Anche se Novalis asserisce che la lingua non è mai troppo povera per il poeta, non credo sia facile rappare coi soli sì, però, cioè, bo, questo, quello, essere, avere, mi piace, non mi piace!
«Ma no» mi sono detta «vedrai, questi studenti son più grandi, più seri». Più curiosi di sicuro, all’Artistico pensano per immagini! Ma, dice bene la Szymborska, solo ad alcuni piace la poesia. Ad alcuni? Cioè non a tutti. E neppure alla maggioranza, ma alla minoranza. Senza contare le scuole, dov'è un obbligo. E allora, entro in classe e compongo una Poesia imperativa:
Rompi le regole. Non pensare troppo, scrivi!
Inizia la sfida. Perché, come dice Palazzeschi, «La poesia è in tutti e di tutti, è patrimonio comune universale». Il foglio bianco non aiuta. Muniti di forbici e pennarelli si parte con alcuni esercizi facili per dare il via alle danze: con il classico cut-up dadaista, cerchiamo la poesia nascosta smembrando i quotidiani, e con il caviardage cancelliamo le parole superflue con il bianchetto o gli evidenziatori, per lasciare solo le parole davvero sentite. I componimenti vanno rigorosamente trascritti sul quaderno e in un secondo momento digitati su file da consegnare alla sottoscritta. Divertente, ma per loro inizia subito lo sconforto. «Questi testi non hanno senso».
Tirare fuori un’idea valida - valida per loro - e coerente con la loro visione di poesia è stata una lotta. Scommettere su menti eccentriche, su giovani che optano per l’indirizzo artistico, è molto interessante: si tratta di personalità orientate a scoprire tutti i segreti dei processi ideativi. Confortata dalle mie continue incursioni in ambito creativo extra-scolastico (in particolare coi più piccoli) mi dico che basta invitare le menti liceali ad avventurarsi fuori dalla zona di comfort e sperimentare nuove idee e metodi di lavoro.
I ragazzi, lo vedo, disegnano con disinvoltura. Ma produrre immagini in versi… deve essere stata una tortura cinese! «No prof», «Legga qui. Questa non è poesia! Io non ce la faccio!», «Non sono capace. Le poesie dei miei compagni son belle, è vero, ma le mie…!». Alcuni hanno iniziato a guardarmi con sospetto. Non sanno se fidarsi o meno di questa prof che parla di poesia (oh, è nel programma, mica decido tutto io!) a partire dalla fase creativa. Una prof che chiede di scrivere versi e poi, solo dopo, di studiare i nomi dei poeti, classificarli, analizzare i testi. Arricchiamo i contenuti leggendo i classici presenti nell'antologia adottata dall'Istituto. Mettiamo a confronto Foscolo con Leopardi, Baudelaire con Umberto Saba. I ragazzi capiscono subito che questi autori parlano soprattutto di natura e di nostalgia. Ognuno ha attraversato una crisi e prova a soddisfare la sua ricerca di infinito. Mentre leggiamo a voce alta compaiono le luci e le ombre del pensiero umano espresso fra la fine del Settecento e il Novecento. Sandro Penna ci racconta la vita dentro le mura scolastiche e Rodari ci ricorda che in giro ci sono ladri di erre e per questo i ponti, a volte, crollano. Percorriamo la sezione dedicata alla scrittura al femminile: la lettura di Emily Dickinson, Alda Merini, Daria Menicanti, Wislawa Szymborska ci mette di fronte a un album fotografico ricco di episodi quotidiani, di gioie e fallimenti.
«Noi preferiamo scrivere a casa, per noi stessi».
Non credo sia il caso di comunicare loro che io non mi arrendo! Procedo, imperterrita, ora dopo ora, senza spiegazioni con il laboratorio. Ci vuole tempo? Il tempo c’è e ce lo prendiamo. Insieme alla produzione scritta, parte anche l'assemblaggio di piccoli libri cuciti e scatoline per contenere i testi.
Gli comunico che è arrivato il momento di pensare anche a una veste grafica accattivante per valorizzare i loro componimenti e veicolare i contenuti. Scegliamo i nostri colori: il nero, il rosso, il bianco. Citare Maria Lai è inevitabile.
Sarebbe bello che i vostri lavori uscissero dall'aula. «Non so, non credo di voler far leggere agli altri quello che scrivo!». Sono convinta che non si impara né dalle nuove tecnologie, né dagli insegnanti. Almeno mai in modo passivo. Si impara mettendo in azione il pensiero. Leggere poesie e studiare la biografia dell’autore non basta. Bisogna attivare i processi di rielaborazione attraverso la produzione o la ri-produzione, ovvero imitando i maestri e poi ricreando gli stessi procedimenti, mettendosi in gioco. «Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco».
Quando si legge si produce una conoscenza inerte. E quando si presenta l'occasione di usarla fuori dall’ambito scolastico, essa non viene usata. Convinta dei principi appena enunciati do il via alle danze. L’invito è "tagliare e riassemblare pensieri già scritti" per nuove idee gradite alle nuove generazioni operando scelte autonome, scevre da giudizi e valutazioni poco rassicuranti. Accolgono il mio invito con un atteggiamento quasi di rifiuto. Allora mi concentro su punti per me fondamentali. In sintesi: cosa è l’ispirazione. Come nasce un’idea. Scopi del poeta e della poesia nella società. Disegno brutto e poesia brutta. Importanza della scrittura creativa nel mestiere artistico. Quanto incide il giudizio sulle nostre prestazioni. Sono partita dalla mia esperienza da ex-studentessa al Classico. Io non sono né scrittrice, tanto meno poetessa: pure io in passato ho avuto qualche difficoltà con il testo in versi. Va detto, quindi, che il laboratorio poetico non sarebbe stato possibile senza uno strumento bibliografico indispensabile. Quest’anno scolastico insieme è - e continuerà a essere fino alla sua conclusione - Un anno di poesia con il geniale libro di Bernard Friot (Lapis 2019).
Un volume esaustivo, uno strumento efficacissimo e pieno di stimoli, un’agenda poetica miracolosa. Un esercizio al giorno, un suggerimento diverso in ogni pagina, tutti validi e concreti. Ne seleziono alcuni, il tempo a nostra disposizione non è illimitato. Nel contempo la via che percorriamo è la stessa del Disegno brutto di Alessandro Bonaccorsi.
L’obiettivo non è la bellezza a tutti i costi, ma il rincorrere il bello attraversando tutte le fasi del brutto. Ovvero, intanto prendiamoci la libertà di scrivere, bene/male, chisseneimporta, intanto facciamolo e non smettiamo più. Il problema è sempre il solito. Insicurezza, senso del pudore, eglialtricosadiranno e laprofcosadiràdimesemilascioandare? Questi giovani alunni hanno subìto qualche trauma? Sono troppo inquadrati? A scuola si ascolta, poi si ripete e si porta a casa un voto? Io lo so, alcuni hanno perso la spontaneità che li caratterizzava nei primi anni della scuola elementare. Ormai, arresi, non si concedono errori e ricevono soddisfazione solo dalla media numerica dei voti che noi adulti gli affibbiamo. Non conoscendo altri modi per aiutarli a trovare l’ispirazione e coltivare dei talenti mi son sentita pronta per arrotondare i loro spigoli e procedo confortandoli passo passo con l’ esercizio continuo. Qualcuno ha ucciso il famoso fanciullino? Bene. Pronta per la sala di rianimazione! Ho detto loro che per conoscere i classici bisogna creare un dialogo fra noi e loro.
Per concludere, insieme alla collega di Storia dell'Arte, gli abbiamo suggerito di cercare nuove suggestioni nei testi di Fabrizio De André, incluso di diritto nella lista dei nostri autori preferiti. Con grande sorpresa, scopro che alcune alunne conoscono a memoria alcuni brani. Li riascoltiamo in classe: la canzone é un genere letterario molto antico e sempre giovane. Scegliamo piccoli contenitori di cartone, scrigni neri pronti ad accogliere le parole del cantautore genovese e ci prepariamo per la prima esposizione.
Non credo sia il caso di insistere troppo con la descrizione delle nostre sedute di poet-terapia in classe.
Allego sotto, con orgoglio, alcuni dei loro lavori e i commenti a margine della mostra ludico-poetica nel corso della manifestazione Buon compleanno Faber tenutasi alla Casa della Cultura di Monserrato negli scorsi giorni. Intitolata Tesori del pensiero: scatoline poetiche e pensieri sparsi inediti, dai testi di Fabrizio de Andrè e oltre ha visto in esposizione le preziose opere dei miei alunni di Seconda F.