[di Enrica Buccarella]
Giorni fa sono entrata nella stanza adibita a Biblioteca scolastica, nella scuola dove lavoro, e ho notato che, come ogni anno, si cominciano ad ammucchiare le pile dei libri di testo che le case editrici propongono agli insegnanti per l’adozione. Siamo in un paese dove spesso si denuncia la scarsa familiarità con la lettura e con il libro, dove i dati parlano di una diminuita capacità di comprensione dei testi letti, di un analfabetismo di ritorno che diventa sempre più preoccupante. La domanda che tutti si pongono è: Quali sono le cause di questa disaffezione nei confronti della lettura, del libro, della parola stessa? La domanda che mi sono posta io come insegnante mi ha portato a una serie di riflessioni e decisioni riguardo al mio lavoro che ho avuto modo di proporre in forma di seminario nella scuola estiva ABC… leggere insieme n.1 del gruppo Leggere per Leggere, di cui faccio parte. Sono riflessioni che spesso si sono scontrate con una scuola che non mi trattengo dal definire indolente, abitudinaria, pigra. Ve le propongo con umiltà, consapevole che l’argomento meriti approfondimenti seri e puntuali. Quello che segue è solo il frutto di un semplice ragionamento logico, un due più due che mi ha portata già da tempo a sperimentare un’eccezionale ovvietà: insegnare la lettura attraverso i libri.
Nella scuola primaria l’apprendimento della lettura e della scrittura è sempre stato la tappa fondamentale del primo anno di scuola. Una meta da raggiungere per rassicurare insegnanti e genitori di un corretto sviluppo cognitivo del bambino, della sua buona propensione allo “studio” e al successo scolastico e non ultimo, per tranquillizzare il bambino rispetto alle aspettative degli adulti che molto spesso condizionano le tappe dell’apprendimento, le anticipano, le valutano e le considerano in funzione delle proprie ansie o della propria esperienza scolastica, che sia negativa o positiva.
La lettura, soprattutto nei primi due anni di scuola, prevale quindi come strumentalità, tecnica da apprendere mediante esercizi che, per quanto giocosi e soddisfacenti, non mirano a costruire un rapporto tra il bambino e l’oggetto della lettura, il libro, né tantomeno, con la funzione della lettura nella sua dimensione di utilità, capacità di mettersi in contatto con un codice che “governa il mondo”. Spesso i bambini, di questa opportunità, si accorgono da soli, quando cominciano a leggere le insegne e i cartelli per le strade, suscitando la gioia e la sorpresa degli adulti, che fino a quel momento hanno immaginato la lettura dei bambini come un fatto scolastico avulso da un contesto reale di vita e quotidianità. Negli anni successivi, terza quarta e quinta, alla strumentalità della tecnica si sostituisce quella della “comprensione”, una comprensione “formale” fatta di domande, riassunti, analisi dei generi letterari.
“A scuola si apprende la strumentalità del leggere e si attivano i numerosi processi cognitivi necessari alla comprensione”( pag. 37 Ind. Naz. per il curricolo della Scuola dell’Infanzia e del Primo Ciclo d’Istruzione, sezione Lettura).
Nello sforzo e nella preoccupazione di far apprendere la tecnica, al piacere della lettura viene assegnato un posto marginale. Immaginando che il bambino che non ha padronanza non possa apprezzare pienamente la soddisfazione di una lettura autonoma di libri e che la lettura ad alta voce dell’insegnante possa occupare, senza un “concreto vantaggio”, un tempo che viene tolto alla famosa programmazione, viene quindi trascurato o addirittura negato questo aspetto fondamentale per la costruzione di un rapporto duraturo tra libro e bambino. Accade così che, dopo la prima soddisfazione per essere riuscito in ciò che spesso viene posto come un traguardo e una sfida, la motivazione del bambino alla lettura si spenga proprio davanti alla ripetitività di ciò che si limita ad essere un esercizio. Quella del piacere della lettura e del libro, anche come oggetto, per se stessi, resta la dimensione scolasticamente meno considerata.
In realtà, come abbiamo detto, i bambini arrivano nella scuola primaria con grandi motivazioni, proprie o indotte. Arrivano anche dopo un percorso di scuola dell’infanzia dove, in molti casi, l’oggetto libro è stato per loro fonte di momenti piacevoli, libro gioco o giocattolo, di materiali tattili da toccare con soddisfazione, libro delle sorprese, di tagli e di buchi, di finestrelle e alette da sollevare, libro illustrato in modo vivace con personaggi accattivanti, libro letto dall’insegnante, animato da “lavoretti” e, quando si è davvero fortunati, spunto di veri e propri laboratori creativi.
Cosa succede allora nel passaggio dalla scuola dell’infanzia alla scuola primaria?
Succede che il libro e la lettura non coincidono più. Per vari motivi.
Quasi sempre, nella scuola primaria, i bambini non incontrano la lettura attraverso i libri, ma attraverso un solo libro, quello di testo, che per tutto il primo periodo della classe prima è poco più di un eserciziario. L’unico, spesso imbarazzante, tentativo che il libro di testo fa per costruire la relazione bambino/libro/lettura è di presentare un tema o dei personaggi ricorrenti che vengono utilizzati per imparare l’alfabeto (della serie Ada, Eva, Ivo, Otto e Ugo…). Si interrompe quindi quella relazione virtuosa introdotta in molte scuole dell’infanzia, in cui il libro era appunto oggetto di gioco, da toccare e guardare, sempre diverso e sorprendente, ma anche momento condiviso, di attenzione da parte del docente che con la sua lettura ad alta voce, dedica un tempo importante e qualitativamente alto a una pratica che dovrebbe poi avere una continuità negli altri ordini di scuola, mantenendo il suo valore di appuntamento, abitudine, strategia e strumento di conoscenza e di piacere.
La naturale evoluzione del rapporto bambino/libro, prevederebbe che quest’ultimo accompagnasse il bambino nella scoperta e acquisizione dei suoi nuovi apprendimenti, delle sue maturate capacità, stimolando la curiosità e la necessità di decifrare la scrittura per appropriarsi di una nuova dimensione di lettore, non più solo di pagine tattili e di illustrazioni ma anche di parole, di frasi, di racconti, sostenuta dalla forte incentivazione che la lettura ad alta voce dell’adulto può suscitare.
Il motivo principale per cui ciò non avviene, oltre alla fretta degli adulti, è anche il ritenere tutte le discipline e le attività ad esse collegate, subordinate alla padronanza della lettura e della scrittura, per cui questo apprendimento non nasce dall’esigenza graduale e interiore del bambino e dalla continuità del suo rapporto con il libro, ma come bisogno trasmesso dall’adulto di conquistare la meta, il codice, e collocarsi nell’ambito della “normalità”. La velocità con cui negli ultimi tempi i bambini vengono catalogati BES, DSA, dislessici o affetti da sindrome di iperattività non fa che aumentare ansie da prestazione sia negli adulti che nei bambini.
Anche il ripetersi degli stessi esercizi e il loro essere slegati da contesti di utilità e gratificazione (se si esclude la gratifica legata alla valutazione, che non sempre però risponde alle aspettative dei bambini) fanno sì che nel bambino non maturi il “piacere della lettura” o che questo piacere duri poco, cioè il tempo della conquista e, nel caso i risultati conseguiti non siano “nella media”, diventi addirittura fonte di frustrazione e quindi di rifiuto.
E, ancora, indagini statistiche dimostrano che l’interesse dei bambini nei confronti del libro decade quando, sia in casa che a scuola, i libri non ci sono o sono pochi, consunti, sempre gli stessi, obsoleti nello stile, noiosi e soprattutto incompatibili con l’età e la capacità di lettura dei bambini.
Questo quindi è in sintesi il quadro dell’incontro e dell’approccio tradizionale tra bambini e lettura nel passaggio dalla scuola dell’infanzia alla scuola primaria.
In realtà però, anche dal punto di vista normativo, riguardo a programmazioni e tempi di apprendimento, le cose sono molto cambiate nella scuola, ma gli insegnanti fanno ancora molta fatica a tenere conto del cambiamento.
Se andiamo a considerare le Indicazioni nazionali per il Curricolo, riportate in corsivo, troviamo degli importanti passaggi che ci invitano a cambiare prospettiva e a rimettere in gioco la fantomatica programmazione a cui i docenti spesso si appellano per “giustificare” il proprio operato.
Libertà di insegnamento: innanzitutto le indicazioni ribadiscono la libertà di insegnamento, come già fa anche la nostra Costituzione all’articolo 33. A partire quindi dalle indicazioni nazionali si definisce un curricolo di Istituto che è espressione della libertà di insegnamento e dell’autonomia scolastica. All’interno di questo curricolo sono proprio gli insegnanti a individuare “le esperienze di apprendimento più efficaci, le scelte didattiche più significative, le strategie più idonee…” Il docente inoltre è invitato ad una forte progettualità e a una regia pedagogica che si ispiri a “criteri di ascolto, accompagnamento, interazione partecipata, mediazione comunicativa.”
Piacere della lettura: “la lettura va costantemente praticata su un’ampia gamma di testi… senza mai tralasciare la pratica della lettura personale e dell’ascolto di testi letti dall’insegnante realizzate abitualmente senza alcuna finalizzazione, al solo scopo di alimentare il piacere di leggere.”
Relazione col libro: “la consuetudine con i libri pone le basi per una pratica di lettura come attività autonoma e personale che duri per tutta la vita. Per questo occorre assicurare le condizioni (biblioteche scolastiche, accesso ai libri e loro uso costante…)”.
Nel caso dell’apprendimento della lettura, intesa in senso ampio, come educazione, è quindi fondamentale la capacità del docente di immaginare, programmare e predisporre percorsi di lettura e conoscenza del libro che accompagnino la crescita e l’apprendimento del bambino e del gruppo classe e che favoriscano la costruzione di competenze.
Competenza è la parola chiave delle indicazioni nazionali per i curricoli. E l’idea stessa di competenza ci conferma come l’apprendimento della tecnica non sia affatto il fine ultimo del lavoro dell’insegnante ma solo lo strumento di cui servirsi per costruire la relazione duratura con la lingua, i libri, la conoscenza, la comprensione, intesa sia in senso specifico che generale, come la definisce Gardner: capacità, a partire da ciò che si è compreso e che continuamente si aggiunge a questa comprensione, di costruire autonomamente un nuovo apprendimento.
Le indicazioni nazionali invitano inoltre a costruire le competenze attraverso compiti autentici, cioè proposte nelle quali gli studenti possano costruire il loro sapere attivamente e in contesti reali, utilizzandolo poi in modo adeguato e pertinente.
E quale compito più autentico e quale contesto più “reale”, nel percorso di apprendimento della lettura e nella costruzione di una relazione felice con il libro, se non l’uso, la conoscenza, la lettura dei libri e delle storie? La regia dell’insegnante si realizzerà quindi proprio nella costruzione del curricolo di letture da proporre ai propri alunni in modo che questo ne rispetti, accompagni e consolidi le fasi di sviluppo cognitivo ma anche sociale, psicologico ed emotivo.
Questo naturalmente presuppone una conoscenza, un aggiornamento, una formazione continua riguardo al mondo dei libri per bambini e ragazzi e perchè no, una formazione anche come lettori ad alta voce e fautori di una pratica che, proprio nella sua continuità, trova i migliori risultati. Mediare la proposta al bambino e veicolare la conoscenza del libro tramite la lettura ad alta voce, di tipo espressivo, comunicativo e immaginativo ha molti più vantaggi di quanto si possa pensare.
Perché allora la scuola è così restia a mettere in pratica queste indicazioni e offrire ai bambini il “compito autentico della lettura attraverso i libri”?
Molto probabilmente ancora non si è presa piena coscienza dei vantaggi della lettura ad alta voce e questo fa sì che resti un’attività che pur praticata, è considerata estemporanea, ricreativa, di svago, un riempitivo nelle pause tra un “vero lavoro” e l’altro. Sono invece tantissimi gli apprendimenti “nascosti” che la lettura ad alta voce suscita nei bambini, e esserne maggiormente consapevoli rende coscienti di avere tra le mani una strategia di grande efficacia soprattutto in relazione a quel percorso di continuità e gradualità della Scuola Primaria, che non si verifica in nessun altro ordine di scuola.
Provo a riassumere questi apprendimenti in alcuni punti che ritengo fondamentali.
APPRENDIMENTI DI TIPO SOCIALE ED EMOTIVO: capacità di ascolto, apertura sociale, immedesimazione, empatia, condivisione, confronto…
“La pratica della lettura, centrale in tutto il primo ciclo d’istruzione, è proposta come momento di socializzazione e di discussione dell’apprendimento di contenuti, ma anche come momento di ricerca autonoma e individuale, in grado di sviluppare la capacità di concentrazione e riflessione critica, quindi come attività particolarmente utile per favorire il processo di maturazione dell’allievo.” ( pag. 37 Ind. Naz. Lettura)
Ascolto Lo sviluppo della capacità di ascolto risulta vantaggiosa sia a livello sociale che nelle specifiche situazioni di apprendimento. Il bambino predisposto e educato all’ascolto trasferisce questa capacità in tutti gli ambiti sia scolastici che quotidiani. È quindi un apprendimento trasversale che dovrebbe essere favorito da tutti i docenti e non solo da quelli di lingua.
Immedesimazione Attraverso l’ascolto di storie, mediate dalla voce e dalla presenza del maestro-guida, il bambino sperimenta una serie di situazioni emotive che o anticipano o rispecchiano tutta una serie di sentimenti e sensazioni a cui impara a dare un nome e un senso, li sperimenta o li riconosce, impara a non averne paura o vergogna, ha l’opportunità di confrontarli con il gruppo e l’insegnante.
Empatia La capacità di sviluppare empatia è fondamentale in un contesto di condivisione e nascita delle relazioni come quello della classe, permette ai bambini di accettare le diversità, ricomporre i conflitti, interrogarsi non solo sui propri bisogni ma anche su quelli degli altri e sulle reazioni e ricadute che i suoi comportamenti possono avere sui singoli compagni e sul gruppo.
A proposito degli aspetti sociali, importante è anche la capacità del docente di comunicare le proprie scelte pedagogico-didattiche alle famiglie dei bambini, incentivando anche presso i genitori l’interesse e la conoscenza nei confronti dei libri e della letteratura per l’infanzia. La partecipazione della famiglia nel riconoscere l’importanza di un vero percorso di educazione alla lettura è fondamentale per la motivazione del bambino, così come si è rivelato essere importante, per diventare “lettori forti”, appartenere a una famiglia di lettori. I dati Istat del 2015 sulla lettura evidenziano infatti come le abitudini di lettura di bambini e ragazzi siano molto condizionate da quelle dei genitori: i figli di genitori che leggono, tra i bambini in età scolare di 6-10 anni (63,7 per cento) e tra i ragazzi di 11-14 anni (66,8 per cento) sono più del doppio rispetto ai figli di genitori non lettori (rispettivamente 26,7 e 30,9 per cento). Questo ribadisce l’importanza di una “familiarità” con la lettura che può e deve essere realizzata anche a scuola, lavorando sulla continuità, sulla presenza costante e varia del libro e sulla qualità del tempo e degli interventi ad esso collegati. La scuola dovrebbe quindi appropriarsi di un ruolo che le appartiene di diritto, ruolo a cui pare invece avere abdicato lasciando bambini e genitori “preda” delle proposte di lettura maggiormente pubblicizzate e spesso più scadenti, quello di orientamento del mercato del libro e dei suoi utenti, formando il gusto e il senso critico dei lettori e provvedendo in maniera diretta o indiretta anche alla formazione dei genitori.
APPRENDIMENTI DI TIPO COGNITIVO: la comprensione a vari livelli, la capacità di cogliere metafore e registri espressivi e comunicativi diversi e la loro padronanza; l’arricchimento e l’approfondimento lessicale.
La comprensione è un processo dinamico di integrazione tra le informazioni fornite nel testo e le conoscenze pregresse del lettore.
Alcuni studiosi individuano quattro livelli di comprensione che corrispondono ad aspetti sempre più complessi che si possono cogliere durante la lettura:
1) Comprensione letterale: riguarda esclusivamente le informazioni che sono date nel testo.
2) Comprensione inferenziale: permette di poter ricavare tramite inferenze ciò che nel testo è implicito, sfruttando sia le informazioni che sono date esplicitamente, sia le informazioni sul mondo e sul linguaggio che ognuno possiede.
3) Comprensione critica: è la capacità di fare delle valutazioni sul testo riguardo all’accordo o al contrasto con le proprie idee o con altre letture o con fatti della propria esperienza, e riguarda anche la capacità di distinguere tra fatti e idee dell’autore ecc.
4) Valutazione estetica: riguarda l’apprezzamento degli aspetti formali dello stile di scrittura, la capacità di esprimere le sensazioni e le emozioni che il testo suscita.
Leggere libri a scuola dà l’opportunità di realizzare questi livelli di comprensione grazie alla continuità e gradualità delle proposte del curricolo di letture e grazie alle possibilità di animazione che ogni libro contiene e che a scuola possono essere realizzate immaginando una continuità di appuntamenti.
L’animazione più importante ed efficace in contesto scolastico è presentare il libro come una finestra sul mondo, come un contenitore di linguaggi, argomenti, interessi, informazioni da approfondire continuamente facendo riferimento a precedenti esperienze e ad altri libri letti, conquistando gradino per gradino la capacità di comprensione di lessico, immagini, generi, registri narrativi, metafore.
Lettura ad alta voce e approfondimento lessicale Nella lettura autonoma il lettore trova in sè tutto ciò che sa su una parola (la pronuncia, il modo in cui è scritta ecc.), bisogna però avere la capacità di attribuire il giusto significato alla parola in base al contesto nel quale è inserita. Una stessa parola può avere più significati, il lettore deve operare una scelta tra i significati possibili scegliendo quello appropriato al testo letto, una scelta sbagliata è causa di incomprensione. Nella lettura ad alta voce l’ascoltatore usufruisce anche della conoscenza di chi legge, del suo modo di pronunciare, inserire vocalmente le parole nel contesto, dargli forza e quel vigore comunicativo che a volte completano o addirittura rivelano il significato. La lettura ad alta voce si compie attraverso la sensibilità e le conoscenze dell’autore, di chi legge e di chi ascolta. Questo favorisce un livello di comprensione dei vocaboli “oltre il dizionario” e un’abitudine a ricercare nella frase e nel contesto il loro significato, rendendo più elastica e pronta la capacità di comprensione semantica.
Insomma, il libro che leggo oggi costruisce la mia competenza di lettore di domani, mi dà la possibilità di progredire nel pensiero e nella volontà, di riconoscere non solo il piacere della lettura ma anche il piacere della conoscenza attraverso i libri.
Ed è per questo che realizzare percorsi di lettura richiede la presenza e il ricambio continuo dei libri a scuola, che siano a disposizione diretta degli studenti e riferimento costante della didattica dell’insegnante.
Ma come procurarsi tutti questi libri?
Una possibilità per avere un continuo ricambio di libri a scuola è l’accordo degli insegnanti con le biblioteche, per un prestito cumulativo di libri, la cui durata può variare in base agli accordi presi. Questa pratica, prevista da molte biblioteche, oltre a stabilire un rapporto di collaborazione tra la scuola e le strutture culturali del territorio, risulta molto efficace per gestire i momenti di lettura autonoma e di ricerca da parte dei ragazzi a scuola e permette loro di avere sempre la possibilità di nuove scelte.
Ma, ancora più importante, tutti i docenti sanno che la scelta di strumenti alternativi all’adozione del libro di testo unico è prevista dalla normativa (“Il collegio dei docenti può adottare, con formale delibera, libri di testo ovvero strumenti alternativi, in coerenza con il piano dell'offerta formativa, con l'ordinamento scolastico e con il limite di spesa stabilito per ciascuna classe di corso.”) e dà la possibilità di utilizzare i fondi definiti a livello ministeriale e destinati al libro di testo, all’acquisto di altri libri scelti dall’insegnante. Naturalmente i bambini non avranno un testo unico uguale per tutti ma una serie di libri che l’insegnante ha scelto in base al progetto didattico pensato per la classe. I libri, inoltre, in questo caso, restano patrimonio della scuola andando ogni anno ad arricchire la biblioteca di plesso, moltiplicando quindi la ricaduta dell’investimento economico, contrariamente a quanto succede con il libro di testo che conclude la sua funzione con il termine dell’anno scolastico. In una scuola che lamenta sempre la mancanza di fondi, questo particolare mi sembra davvero di fondamentale importanza.
Per chi fosse interessato a saperne di più, segnalo il link di ICWA, associazione italiana scrittori per ragazzi che riassume i passi necessari e la normativa a cui fare riferimento per la realizzazione di un Progetto di sperimentazione di Biblioteca di Classe. A tal proposito faccio infine notare che la scelta di una Biblioteca di Classe alternativa al libro di testo, pur essendo possibile da decine di anni, e realizzata da alcuni, viene ancora definita con il termine poco incoraggiante di “sperimentazione”. E questa è, a mio parere, un’altra delle grandi contraddizioni della nostra scuola.