Rendere il libro indispensabile

[di Laura Toneatto*]

La piccola biblioteca allestita in classe da Laura Toneatto.

Non so o, meglio, non ricordo come tutto sia nato. Di certo sono sempre stata un 'geyser' riguardo alla lettura e all’amore per i libri e confesso che l’80% delle mie letture hanno tutte il bollino 3-18 anni. Quattro anni fa non era la prima volta che il mio geyser soffiava fuori libri, letture, racconti, mettendoli al centro del mio lavoro in classe, sicuramente però era la prima volta che riuscivo a controllarne la potenza nei modi e nei tempi. Ero matura.

Il primo giorno di scuola avevo preparato le isole-banchi con le scatole delle matite colorate e al centro una bella piantina. Accogliendo genitori e bambini, mi è subito chiaro che il gruppo è quanto di più eterogeneo abbia mai visto in vent’anni di insegnamento. A mezzogiorno, al suono della campanella, le isole-banchi ai miei occhi hanno assunto l’aspetto delle Galapagos e io mi sono trasformata in un Darwin alla ricerca di un principio che unisca tanta varietà umana. Con la mia collega Stefania ci guardiano stravolte: è chiaro che è la fragilità il trait d’union e che l’evoluzione sta operando per vie misteriose: tartarughe, bradipi, varani, pappagalli, formiche, cicale, gazzelle, leoni, tapiri, formichieri, lemuri. C’è di tutto, ma ciò che ci spiazza e ci rende evidente che la scalata dalla prima alla quinta sarà come il K2 di Confortola, è il vuoto di senso attribuito a questa giornata, contrapposto al carico emotivo esagerato che quasi tutti quei bambini si portano dietro. Noi maestre saremmo state, per i prossimi cinque anni, il troppo e il troppo poco.

A casa, la sera, riguardando il 'film' della giornata, come faccio sempre, ho buttato giù qualche considerazione sul taccuino. In aula avevo fatto portare un tavolo e sopra avevo disposto diversi libri per bambini, da me acquistati per rendere l’aula più accogliente. Un solo bambino, però, mi aveva chiesto se poteva prenderne uno (quello che poi ho capito sapeva già leggere come me, a sei anni), gli altri si erano buttati nell’angolo morbido che avevo allestito svuotando due ceste di giochi. Forse i libri dovevo metterli più in basso, forse non erano abbastanza accattivanti, forse non dovevo mettere i giochi, forse il libro che avevo letto per accoglierli, Federico di Leo Lionni, non era azzeccato, nonostante l’aiuto delle marionette a dita fatte a uncinetto da una zia volenterosa.

Per fortuna, l’accoglienza in prima è sempre lunga e lascia tutto il tempo per conoscersi e annusarsi ben bene. Ho avuto modo di pensare che erano le storie il giusto modo per dare equilibrio e senso. Di sicuro non avrei catturato tutti ogni volta, ma la varietà e la scelta accurata dei libri avrebbero risolto il problema.

Albi illustrati Topipittori tra i libri selezionati : Il paese degli elenchi (Cristina Bellemo e Andrea Antinori, 2021), Acerbo sarai tu (Silvia Vecchini e Francesco Chiacchio, 2019) I Cinque Malfatti (Beatrice Alemagna, 2014), Poesie per aria (Chiara Carminati e Clementina Mingozzi, 2021), La capra canta (Giusi Quarenghi e Lucio Schiavon, 2021)

Quella notte, ripercorro il mio percorso di programmazione, mettendo insieme le mie letture didattiche e i corsi frequentati: A scuola con gli albi della Capetti, Associazione Hamelin con i suoi molteplici incontri sulla letteratura per l’infanzia, il W.R.W. (Writing and Reading Workshop), approccio metodologico entusiasmante che ora applico con regolarità. Metto tutto insieme, ma non trovo il bandolo della matassa. Certo, la strada mi è chiara: i libri, oggetti di carta, parole e immagini. Per me, più sfavillanti e luminosi di un luna park. Ma per loro? Mi convinco che se lo saranno, questo dipenderà da me. Non devo limitarmi a leggere o a mettere in mostra i libri, non basta. Si tratta, invece, di rendere il libro indispensabile. Dal giorno dopo, cominciamo: in tutto ciò che propongo, in ogni attività didattica, a un certo punto mi fermo e dico: “Oh, questo mi fa venire in mente una storia che dovrebbe essere qui…”, “Questa persona mi fa pensare a un personaggio che ho conosciuto in questo libro che è proprio qui”. Il tempo si ferma: prendo la sedia del lettore e tutti si mettono in cerchio ad ascoltare. Poi, silenzio. Aspetto le reazioni che nei bambini, per fortuna, non tardano mai ad arrivare. Nei giorni successivi prendo in prestito alcune idee dagli autori che studio per conoscere strategie di scrittura e di lettura (in primis quelle di Jennifer Serravallo); dopo averle studiate, le sperimento con la classe e registro ciò che riesce e ciò che non riesce, cercando di comprenderne le motivazioni.

Ho capito che non c’è miglior buongiorno di una poesia regalata (Vecchini, Rodari, Carminati, Quarenghi, Tognolini), né miglior momento di raccoglimento, prima del saluto, della lettura di un albo. Nel tempo, poi, gli spazi si sono dilatati e le pratiche, consolidate. La lettura di una storia lunga che duri qualche settimana e, poi, addirittura, mesi, è un successo. La lettura, le storie hanno cominciano a entrare nella tessitura del percorso di apprendimento della letto-scrittura. Sempre più parole fanno riferimento a quella storia, un aggettivo a quel personaggio. A quel punto, apro a un momento settimanale in cui i bambini possano esprimersi liberamente su un taccuino (un quadernetto da me regalato) con disegni e parole. Poi inizio la pratica del prestito di classe: i libri sono tutti miei e me lo posso permettere (la biblioteca scolastica lasciava molto a desiderare). Ogni tanto ne porto uno nuovo e, prima di leggerlo, lo presento, con il risultato che spesso viene subito preso in prestito. La presentazione dal vivo, sorta di book trailer, funziona, così chiedo loro se voglono imitarmi e presentare un libro ai compagni. La proposta è accolta con entusiasmo. Il dover indicare anche l’autore, oltre al titolo del libro, pian piano è servita a far riconoscere i nomi degli scrittori e a entusiasmare, quando a essere riconosciuto era anche l’illustratore. Da lì mi è venuta l’idea di dare un volto ai nostri cantori di storie e di spiegare che grazie a loro anche noi avremmo potuto imparare a scrivere storie e a illustrarle. Adesso, in quarta, quando i ragazzi scelgono un nuovo libro da leggere, le domande sono: “Mi dai un libro di Dahl?”, “Mi piacciono quelli di Ulf Stark. Ne hai un altro?”, “Mi è piaciuta la presentazione fatta da Lia. Mi presti il libro di cui ha parlato?”, “Marco mi ha consigliato un libro di Cristina Bellemo. Posso prenderlo?”.

Il Grattacielo degli Obiettivi di Lettura.

Sì, forse abbiamo avuto un percorso accidentato, con il Covid di mezzo e ostacolati dalle enormi difficoltà di questo gruppo classe. Non sappiamo ancora fare bene l’analisi grammaticale, ci sfuggono i tempi dell’indicativo e le doppie non sono nostre amiche. Ma una cosa è certa: se di venerdì, poco prima della campanella, stiamo per finire un libro e non ne abbiamo preso in prestito un altro, ci viene l’ansia. E se dobbiamo scrivere una storia, abbiamo dimestichezza con incipit a effetto e, in più, la sappiamo raccontare anche con effetti grafici. Non mi resta che sperare che, anche quando saranno alla scuola secondaria, su queste piantine appena nate continui a piovere e che non patiscano la siccità.


[*Mi chiamo Laura e ho 52 anni… quasi. Ciò che mi caratterizza è la mescolanza: metà toscana e metà friulana di origine, residente in Trentino. Ma il miscuglio che mi contraddistingue dipende anche dalla molteplicità di città nelle quali ho vissuto dalla nascita, a causa dello stravagante lavoro di mio padre, e dalla quantità di scuole che ho frequentato e che mi hanno portato a fare questo mestiere, insieme all’amore appassionato fin da piccola per il mondo dell’infanzia: Foggia, Bari, Cagliari, Siena, Taranto, Pisa, Pistoia, Terni, Reggio Emilia. Queste sono state le mie esperienze, dalla scuola dell’infanzia al liceo scientifico. Le mie estati, però, sempre nella casa di campagna nei dintorni di Siena. Dopo il diploma, mi sono iscritta alla facoltà di Lettere e Filosofia, a Siena, fino ad arrivare alla scrittura di una tesi sulla letteratura del fantastico nell’opera di Anna Maria Ortese, mai discussa perché sono fuggita in Trentino. Dopo alcuni anni trascorsi come libraia, proprio nel reparto bambini, mentre frequentavo all’università, ho scelto il mestiere di maestra. Ho dovuto prendere anche il diploma magistrale perché allora serviva quello e ora insegno da vent’anni. Ho due figli, un ragazzino di tredici e una ragazza di diciotto con i quali, nemmeno a dirlo, ho sperimentato di tutto in ambito librario e didattico; ho un cane di nome Dobby (come l’elfo) e un marito paziente. La mia casa è piena di libri: sono ovunque, soprattutto under 18; e le mie uscite in centro sono da brivido per tutti, perché non si sa mai quanto sarà piena la mia borsa dei libri, al rientro.]